I MORTI DA NON CELEBRARE

Il due di novembre,come è consuetudine, si è celebrato in Italia il giorno dei morti volto a ricordare le persone care defunte. Ma esattamente due giorni dopo questa celebrazione, il 4 novembre, è stata celebrata una giornata molto più importante per la classe dominante ed il suo apparato statale, una giornata che sempre ha a che fare con i morti: il Giorno dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate.

Questa data,il 4 novembre appunto, non è una data casuale, infatti fu il giorno dell’entrata in vigore dell’Armistizio di Villa Giusti, 1918, che sancì la fine del primo conflitto globale e la vittoria della borghesia Italiana su quella Austro-Ungarica.

Di questa guerra, però, c’è da ricordare un piccolissimo fatto spesso occultato nei giornali, scuole e telegiornali.

Durante la prima guerra mondiale l’esercito italiano è stato il primo per le cosiddette “fucilazioni per l’esempio”. Uno dei primi a sostenere questa pratica fu proprio il generale Luigi Cadorna, guerrafondaio e fervente nazionalista alla pari dei suoi colleghi Europei, che nella circolare riservata nr. 2910 del 1 novembre1916 afferma: “…. ricordo che non vi è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello della immediata fucilazione dei maggiori responsabili, allorché l'accertamento dei responsabili non è possibile, rimane il diritto e il dovere ai comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte."

Innocenti e colpevoli di “sedizione”, termine usato per indicare chi si rifiutava di lanciarsi in cariche suicide contro le mitragliatrici nemiche, venivano uccisi come cani. A molti verrebbe da chiedersi, dunque, qual è la giusta pena per punire i responsabili di massacri di migliaia di innocenti, massacri degni delle rappresaglie fasciste della seconda guerra mondiale? Qual è la giusta pena per i macellai di un’intera generazione? Intitolargli una scuola elementare, come è stato fatto, per esempio, a Firenze, con la scuola primaria Luigi Cadorna situata al confine con Sesto Fiorentino.

E le vittime di questo spietato macello? Le migliaia di ragazzi, spesso poco più che adolescenti, assassinati ingiustamente; cos’hanno ottenuto di risarcimento in cambio della loro vita? Loro non hanno ottenuto alcuna forma di riabilitazione nazionale. Per le classi dominanti chiunque si rifiuti di sottomettersi alle loro barbarie viene prima assassinato e poi, subito dopo, aggiunto alla lista di morti da non celebrare.

I signori generali, oggi come ieri, attizzano, inoculano la crudeltà nei soldati per poi lasciarli morire quando la loro utilità si è estinta. Creano dai giovani dei boia “usa e getta”.

Per quanto riguarda invece gli odierni Cadorna, loro non pensano troppo neanche a quei morti “bravi” perché devono già pensare ai morti che sono in preparazione. Come afferma il capo di stato maggiore Luciano Portolano1:

“disponiamo di una struttura organica e di mezzi che, pur essendo adeguati per affrontare crisi locali, necessita di un potenziamento significativo per poter far fronte a scenari complessi e multipli

E aggiunge poi “In Italia si potrebbero implementare programmi educativi nelle scuole e realizzare campagne di formazione e sensibilizzazione accessibili a tutti. Iniziative, in linea con i principi democratici e costituzionali, per rafforzare il senso di responsabilità collettiva verso la difesa del Paese […] Bisogna riflettere seriamente sull’importanza di una maggiore partecipazione attiva della popolazione, nella sua interezza, ai temi della sicurezza nazionale e internazionale. Gli sforzi intrapresi da alcuni partner europei vanno proprio nella direzione di rafforzare i legami tra le forze armate e i cittadini, attraverso programmi di formazione che mirano non solo a preparare la società in caso di emergenze, ma anche a promuovere una cultura della difesa e della sicurezza senza un ritorno formale alla coscrizione».

Spogliando il discorso della classica parlata istituzionale, ciò che viene detto in queste righe, è che la cucina della morte ha bisogno di più ingredienti: forniteceli! Dateci salario e figli, noi li cuciniamo e i nostri borghesi clienti saranno lieti di avere lo stomaco ancora più pieno!

Ma chi pagherà questo salatissimo conto che, ricordiamoci, fu di ben 650.000 morti, più 550.00 civili e 500.000 mutilati per quell’orrore detto guerra ‘15-’18? La risposta venne data proprio in quegli anni: ai salariati e le loro famiglie il conto e ai briganti imperialisti il bottino!

Oggi questi strumenti di morte vanno ancora fabbricati e dunque si toglie ai salariati ancor di più, frugando in ciò che resta del misero stipendio mensile tramite tasse e imposte varie o tramite i famosi “tagli” che hanno ridotto il welfare ad un mito che i nonni raccontano ai nipoti come si fa con le favole. E' l'economia di guerra! Domani busseranno casa per casa a strappar figli, e figlie, grazie all’eguaglianza borghese che ha reso il cappio della stessa lunghezza per ambo i sessi, per portarli alle caserme e poi al fronte.

Il fatto innegabile è questo: finché sarà il sistema capitalistico e il suo prodotto, ovvero l’imperialismo - che esso si dica “democratico” o “autoritario” - a dominare i rapporti di produzione, guerre, massacri e barbarie saranno elementi endemici di questa realtà.

Allora, davanti a questi massacri, a queste morti, a queste torture che ci sono imposte dalla borghesia, una domanda sorge quasi spontanea: che fare?

La risposta è stata già data in una giornata, sempre di novembre, che nessun borghese osa nominare ma che ognuno di loro ha ben in mente: il 7 novembre del 1917 e a darla furono i lavoratori di Pietrogrado.

Oggi più che mai quella lezione deve indicare la strada a chiunque si trovi sotto il giogo del capitale, dai giovani proletari, oggi magari studenti o universitari o liceali, che sono sempre le prime vittime della leva, ai salariati, a cui viene chiesto di viver la fame per far ingrassare i padroni, fino ai pensionati che stanno vedendo le loro pensioni ridotte all’osso così che i borghesi possano comprar la morte dei loro nipoti. La lezione dell’Ottobre ‘17 è un faro per tutti gli sfruttati di ogni nazione, di tutto il mondo.

Un “No!”categorico ad ogni nazionalismo né arabo né israeliano, né ucraino né russo, né Italiano. La risposta non sta in nessuno stato, espressione della tirannia della classe borghese, la risposta è nella classe operaia di tutto il mondo e nella sua unità contro ogni borghesia.

Per fermare il massacro mondiale, nel 1917 c’è voluto un partito di classe capace di intervenire e di imporsi sulla classe borghese.

Oggi il compito di sviluppare questo partito a radicarsi e prepararsi a rompere le catene dei lavoratori è il nostro. La lezione di ottobre è proprio questa: per fermare la guerra, per un’umanità libera dalle barbarie imperialiste, l’unico motto da sostenere è “Proletari di tutti i paesi unitevi!”

Fonte

1: roma.corriere.it

Lunedì, November 11, 2024