Rivolta sociale o inganno padronale?

E’ arrivato il momento di una vera rivolta sociale

È questo il grido di battaglia di Landini con cui, da molto tempo a questa parte, incita alla rivolta sociale contro lo stato attuale delle condizioni di vita dei lavoratori italiani. Dal punto di vista della CGIL lo sciopero generale del 29 novembre, e le “mobilitazioni” che sarebbero dovute conseguire, non puntano o non puntavano unicamente a cambiare o “migliorare” la manovra di bilancio, bensì – ascoltate bene – mirano a cambiare il paese. I sindacati, maestri dell’opera di conservazione del modo di produzione capitalistico, parlano ai lavoratori di “rivolta” mirata al cambiamento della società: l’inganno è così tanto palese da fare ridere, ma qui c'è davvero poco di buffo di fronte alle disastrose condizioni di precarietà in cui vive il proletariato, tra la crisi del capitale che lo spremono ed i sindacati che lo addomesticano, mantenendo le contraddizioni di questo sistema entro i binari della contrattazione – regolata su necessità capitalista – della forza-lavoro.

In che modo il sindacato vorrebbe opporsi alla crisi del sistema? sicuramente continuando a giocare il proprio ruolo da moderatore del conflitto sociale, piegandolo alla compatibilità del capitalismo e spacciando la gestione della compravendita di forza-lavoro per “rivolta” o “cambiamento sociale". La soggiogazione tradeunionista e l’assenza di qualsiasi grado di coscienza di classe in cui è coinvolto ad oggi il proletariato, è ciò che, purtroppo, non svela l'inganno ai lavoratori che si mobilitano con l’intenzione di mettere in atto questo “cambiamento”, senza rendersi conto però che quello in cui si è coinvolti riguarda unicamente la conservazione (senza alcuna messa in discussione) dello status quo capitalista. Ciò viene articolato in maniera esemplare nelle tesi sulla tattica d'intervento del quinto congresso della nostra organizzazione:

“La contraddizione fra la consistenza operaia e la funzione borghese dei sindacati riflette ed esprime la contraddizione fra l'obiettivo antagonismo storico del proletariato al capitale e la sua attuale soggezione ideologica e politica alla borghesia”

Il superamento della crisi e il vero cambiamento sociale, in rottura con il capitalismo, negano l’esistenza stessa della forma sindacato e del contrattualismo in quanto:

“L’elevarsi del proletariato a soggetto di storia, negli svolti rivoluzionari, segnerà quindi anche la fine del sindacato, in quanto la classe passerà dalla propria organizzazione contrattualistica a quella confacente alla condizione dello scontro frontale e della successiva amministrazione del potere.”

Questo significa una sola cosa, ovvero, i sindacati non possono e non potranno mai combattere la crisi del sistema, perché loro, a questo sistema e al modo in cui tale società organizza la produzione e la distribuzione, cari lettori, appartengono. Loro sono parte integrante e istituzionale della macchina statale-burocratica-militare borghese, e come spiega Marx nel suo opuscolo “La guerra civile in Francia”, la «condizione preliminare» per la rivoluzione proletaria – e quindi dell’autentico superamento della crisi – sta nella soppressione di tale macchina.

Ad oggi, però, il proletariato non dispone in maniera generalizzata e cosciente di un proprio strumento di lotta in rottura con i limiti del tradeunionismo. La lotta per il cambiamento sociale (quindi per il comunismo) non potrà fare passi in avanti finché la direzione organizzativa e politica sarà in mano ai sindacati, che, come già spiegato, sono unicamente dei mezzi per la contrattazione della forma di valore della merce forza-lavoro, il che presuppone un rapporto di scambio tra due merci (forza-lavoro, salario): che strumento meno rivoluzionario di così può esserci? È per questo – inoltre – che la soluzione non va trovata nei sindacati di base, dato che la sostanza è la stessa; ciò che esprimono è la messa in moto di questo stesso meccanismo di limitazione della lotta di classe sulla base delle necessità di contrattazione dello scambio tra due merci, che, appartenendo alla circolazione del denaro in quanto capitale (d-m-d`), rappresentano il presupposto e la messa in moto del processo di valorizzazione del capitale, vale a dire, la condizione di esistenza della crisi del modo di produzione capitalista.

Detto questo, possiamo benissimo affermare, come già ribadito, che sentire la frase “rivolta sociale” uscire dalla bocca di Landini o di qualsiasi altro sindacalista è del tutto ridicolo e dovrebbe alimentare negli elementi più coscienti della classe quel sentimento di rabbia di fronte alla propaganda capitalista. Le continue sparate dei settori politico-sindacali di questa società mettono ancor più in luce il ruolo dei rivoluzionari in quest’epoca, ovvero, rompere quel circolo vizioso di allontanamento della collettività lavoratrice dalla coscienza di classe – cioè il suo soffocamento prima ancora che possa nascere - e cercare mobilità di intervento nei nostri ambienti e tra le fila della classe sfruttata, ormai sempre più ingannata e spremuta da questo decadente ciclo di accumulazione. Gli apparati di questo sistema – il quale è generatore di crisi tramite l’inevitabile rapporto nella composizione organica del capitale intercorrente tra il capitale variabile e il capitale costante – in cui i cosiddetti sindacati, portatori di “rivolta sociale”, giocano un ruolo di primo piano per mantenere la cogestione della compravendita di forza-lavoro nei limiti delle necessità imposte dalla putrefazione attuale del modo di produzione. È possibile quindi che la nostra classe, costretta alla “spremitura del plusvalore” (data la nostra condizione di portatori di forza-lavoro e di nient'altro), debba sottostare agli ordini sindacali di questi padroni in veste rossa? Urlano alla “rivolta sociale”, ma la loro rivolta si fonda sulla base di quanto valore debba venir estratto da noi sfruttati rispetto alla quota necessaria al capitale.

Rivolta sociale significa rompere con chi ci concepisce come mezzi di consumo per gli ingranaggi della produzione di valore, credendo che cambiamento sociale significhi migliorare le nostre condizioni di vendita, che non coincideranno mai con un miglioramento delle nostre vite, che potrà essere reale solo se si trascende dal capitalismo.

La nostra posizione sul come superare la forma sindacale di organizzazione è già ampiamente discussa e messa in luce nelle nostre pubblicazioni e nell’insieme delle tesi di partito. Per noi è necessario agitare il protagonismo proletario e l’organizzazione autonoma della classe, fuori e contro i sindacati, anche il più a “sinistra” di essi, che per quanto si possa presentare come un'alternativa radicale, sempre un sindacato rimarrà. Per non capitolare di fronte ai padroni della contrattazione, la formazione di questi organismi, dove la lotta di classe non si limiti ai meccanismi mercantili e alla moderazione dell’antagonismo di classe, è indispensabile e necessaria.

In questi organi, tramite il partito, si potrà attivamente agitare il programma rivoluzionario comunista, unica fonte di cambiamento sociale, che dovrà essere messo in atto dal proletariato, senza deleghe esterne. In questi organi, il partito entrerà in rapporto dialettico con la classe e le sue direttive politiche d'avanguardia saranno ciò che porterà al compimento dell’impresa rivoluzionaria a cui la nostra classe è destinata (se non vuole perire schiacciata dal capitale) dato l’antagonismo in cui è coinvolta.

È l'ora di dare vita ad una lotta di classe indipendente dalle direttive di chi ci considera esclusivamente come dei numeri contrattuali da manovrare secondo le necessità e gli interessi del mercato della forza-lavoro.

DL

Venerdì, January 24, 2025