MONACO: SI PREPARA IL PEGGIO

Siamo solo ai preliminari ma le linee guida sono state tracciate. Prima che parta il tavolo delle trattative sulla “pace” tra Russia e Ucraina, le parole di Vance, che riecheggiano quelle del suo strabordante presidente, sono chiare ed inequivocabili. Prima di analizzarle però va fatta una premessa che serve da cornice a tutto quello che sta per accadere, sia da un punto di vista dei nuovi equilibri di potere imperialisti, sia per il clima di guerra che sta peggiorando mentre si parla di pace. La cornice è rappresentata dalla crisi strutturale che vive il capitalismo mondiale. Crisi che sta trascinando l’economia dei maggiori imperialismi internazionali verso una economia di guerra sempre più vessatoria. Verso il riarmo, anche al costo di tagliare quel poco che resta del welfare, e verso una catastrofe umanitaria mai vista, con il devastante rischio di un conflitto generalizzato. A Monaco, presenti come “uditori” l’Europa e l’interessato Zelenskyj, il vice presidente americano si è espresso perentoriamente in questi termini, lanciando minacce e ultimatum: gli Usa non spenderanno un dollaro in più per la difesa dell’Ucraina. A questo ci deve pensare l’Europa, tassandosi pesantemente (dal 2% al 5% del PIL) per un riarmo militare adeguato, se vuole continuare la guerra contro la Russia, che è in Europa e non in America. E’ finita l’epoca in cui l'ombrello americano della difesa europea (NATO) era sempre aperto. Ora tocca ai 27 paesi del vecchio continente mettere mano al portafoglio.

Come se non fosse chiaro che la guerra nell’est dell’Europa non era quella tra Russia e Ucraina, ma tra Russia e Stati Uniti. Gli Usa hanno fatto pagare le conseguenze della guerra in primis al popolo ucraino, poi alla Russia stessa, costringendola ad un lungo logorio bellico, armando l’Ucraina. Poi ai paesi europei in termini di approvvigionamenti energetici e relativi costi, di blocchi commerciali e di transazioni finanziarie, nella duplice speranza di sostituirsi alla Russia per le forniture di gas e petrolio e di continuare a renderli dipendenti dal dollaro comprimendo il ruolo dell’euro. Detto per inciso, un megawatt di gas in America costa 7 dollari, in Europa 40 (1), con profitti enormi per le Company americane, spese di trasporto comprese. Come dire: prendere o lasciare, altrimenti la scure dei dazi non sarà soltanto un deterrente ma una salata punizione a chi non si adegua. A Trump conviene un'Europa debole economicamente e suddita politicamente. Non sarà invitata al tavolo delle trattative, la sicurezza dell’Europa non è più una priorità degli Usa e i dazi minacciati, se necessari, arriveranno anche per i vecchi alleati.

1) Le trattative di pace, una volta scaricato Zelenskyj, ruoteranno attorno al principio di garantire a Putin il raggiungimento di tutti quegli obiettivi che sul campo non è riuscito a raggiungere. La penisola della Crimea non è più in discussione, è territorio russo e tale rimarrà. La regione del Donbass con le sue terre rare, in quanto territorio russofono, farà parte della grande Russia. Proposta in contrasto con le ambizioni americane di avere una prelazione su questi giacimenti. Ma Trump prima “spara” e poi guarda l’effetto che fa. Infine, l’ingresso dell'Ucraina nella Nato, che è stata una delle cause dello scoppio della guerra, non è più all’ordine del giorno.

Per l’Ucraina resta soltanto la “sicurezza” dei suoi confini, un processo di ricostruzione fisica ed economica, al quale gli Usa si sono prenotati, ma a condizione che quota parte importante degli investimenti (intesi come spese) siano europei e i profitti speculativi (edilizia) siano americani; il tutto suonerà come il danno che accompagna la beffa, perché a Kiev costerà un indebitamento complessivo praticamente insostenibile.

Se le cose dovessero andare sulla base di queste linee guida, la politica di Trump sarebbe quella di sdoganare la Russia dal ruolo di “cattivo aggressore”, dopo averla ricoperta di sanzioni commerciali e finanziarie (anch’esse saranno sul tavolo delle trattative di “pace”) e indebolita militarmente al punto giusto, tanto da non rappresentare più un pericolo imminente alla supremazia imperialistica americana. Una Russia debole significherebbe un indebolimento dell’asse Mosca-Teheran-Cina che ha reso bianche le notti di Biden e di tutte le amministrazioni precedenti, a partire da quella di Obama. In chiave Medio-orientale abbiamo lo stesso schema: Israele funge da gendarme armato in Palestina e nel resto dei paesi limitrofi (Libano, Iraq e Siria), lasciando liberi gli Usa di puntare tutti gli sforzi sulla Cina e sulle sue ambizioni imperialistiche. In cambio, a Netanyahu si regala la cancellazione dell'ipotesi di due popoli e due Stati, con la promessa di una deportazione di quasi 2 milioni di palestinesi in luoghi da destinarsi. Difficile prospettiva, ma a Trump non interessa, ben sapendo che Israele sarà in grado, con la forza, di trovare una sua soluzione.

Tutti questi vantaggi a Mosca non sono un “non senso” o una contraddizione di linea politica. Nella strategia di Trump c’è probabilmente spazio per il tentativo di staccare e/o indebolire il rapporto con la Cina. Non è verosimile che gli Usa possano tranciare di netto il legame che annoda gli imperialismi russo e cinese, ma le concessioni che verrebbero elargite a Mosca da parte di Washington, potrebbero fungere da leggero narcotizzante, se non altro nel breve periodo, per consentire a Trump di concentrarsi sul suo più pericoloso nemico che è Pechino. In una recente dichiarazione, Trump ha chiaramente espresso che il suo disinteresse nel dispendioso appoggio a Zelenskyj, cioè l’abbandono al suo destino, e nei confronti dell’Europa, è dovuto alla necessità di concentrare risorse economiche e finanziarie allo sviluppo militare e che l'area di maggiore interesse strategico è l'Indo-pacifico. Ma perché ciò avvenga occorre una Europa debole e vassalla, un fidato alleato in Medio oriente, una Russia avversaria sì, ma indebolita, e debitrice nei confronti degli Usa per i vantaggi concessi. Solo allora ci si può concentrare sulla vera “questione Taiwan” con tutti gli annessi e connessi.

Gli annessi e connessi non riguardano solamente Taiwan, che produce il 60% dei microchip mondiali. Non sono relativi soltanto al fatto che Pechino ha in programma di diventare entro il 2035 la prima potenza mondiale in termini commerciali, di produzione dell’alta tecnologia, di quelli nel campo dell’intelligenza artificiale a scopi civili e, soprattutto militari, il che già basterebbe per mettere in grave allarme l’imperialismo americano. C’è inoltre il tentativo di mettere in atto la Via della Seta, che rappresenterebbe la colonna dorsale cinese sulla quale strutturare la tanto declamata superiorità economico-produttiva con scadenza all’altrettanto enfatico 2035, cioè tra appena dieci anni. A chiusura del cerchio che contiene i progetti antitetici dei due maggiori imperialismi mondiali c’è, soprattutto, il dominio del mercato delle divise. In altri termini, la Cina ha in cima ai suoi ambiziosi progetti imperialistici quello di combattere la quasi assoluta supremazia del dollaro che consente agli Usa, pur essendo un paese in crisi produttiva, con deficit faraonici nella bilancia dei pagamenti con l’estero e con un debito pubblico che supera i 35 mila miliardi di dollari, di essere la pompa di drenaggio di immensi capitali che da tutto il mondo confluiscono nelle casse federali. Il sistema è semplice. Dopo il 1971, quando il governo Nixon dichiarò la inconvertibilità del dollaro in oro, il biglietto verde ha continuato così ad essere il coefficiente universale di scambio tra le merci su tutti i mercati mondiali, dando vita ufficiale al “dollar standard”, non dovendo più rispettare la parità aurea. Qualsiasi paese che volesse effettuare scambi commerciali li doveva fare in dollari. Se volevano comprare tecnologia, gas o petrolio, prima dovevano comprare dollari che la Federal Bank non aveva difficoltà a stampare come se fossero figurine. In aggiunta, di questa superiorità si giovavano anche i titoli di Stato americani che fungevano da ulteriore elemento di drenaggio di capitali internazionali. Il primato del dollaro consentiva (e consente) così alle varie Amministrazioni americane di sopravvivere alla grande nonostante i debiti e i deficit; per dirne una, oggi 23 stati della Federazione non sarebbero nemmeno in grado di pagare i dipendenti pubblici, se non ci fosse l’intervento finanziario dello Stato Federale. Da allora la musica, appunto, non è cambiata e il terrore americano è che possa progressivamente mutare con le interferenze cinesi appoggiate dai paesi del BRICS, con l’aggiunta dell'Iran quale New entry.

Per questa ragione le preoccupazioni di Trump, ovvero degli Usa, sono ossessivamente orientate verso la Cina. In questo caso le esternazioni del neo presidente sono ridotte al minimo, in compenso la mobilitazione militare è al massimo. La Cina non è il Messico o il Canada che si possono ricattare con la minaccia delle sanzioni. Non è nemmeno la Groenlandia, che la si vorrebbe comprare con un pugno di dollari. Con Pechino ci si deve armare fino ai denti per contrapporsi ai suoi obiettivi.

Intanto Trump ha fatto pressione al governo di Panama minacciando di occupare il Canale, ottenendo il risultato di far inibire l’uso di un paio di porti alle navi cinesi. Poi il confronto è continuato nel Mar cinese meridionale e nello stretto di Taiwan, dove le flotte militari dei due imperialismi si confrontano quotidianamente con “esercitazioni” funzionali ad uno scontro che potrebbe essere imminente o dilazionato nel tempo a seconda delle propensioni belliche dei due imperialismi. Questa è la loro postura.

La recente cronaca parla di due navi della marina militare americana, il cacciatorpediniere Ralph Jonson e il ricognitore Bowditch che hanno navigato nella zona contesa (stretto di Taiwan) nei giorni compresi tra il 10/12 febbraio, configurandosi come la prima missione americana sotto la presidenza Trump. Dopo pochi giorni la Cina ha risposto con dei pattugliamenti nella medesima area, mostrando di essere pronta e preparata a qualsiasi evenienza e in qualsiasi punto del contestato Mar cinese meridionale. Il comando militare di Pechino ha anche annunciato ufficialmente che le sue forze navali e aeree hanno effettuato operazioni di pattugliamento preventivo. Pattugliamento relativo alla dimostrazione di forza occidentale in cui, per la prima volta, una portaerei francese ha navigato nell'Indo-pacifico all’interno di una “esercitazione” con Stati Uniti e Giappone. Il pattugliamento è stata la risposta cinese che non si è fatta attendere. Secondo un rapporto della Hainan Maritime Safety Administration, si sono tenute nel Mar cinese meridionale anche alcune esercitazioni della marina di Pechino con navi da guerra pakistane.

Dunque, per la nuova Amministrazione americana occorre che l’Ucraina accetti i diktat americani, che la Russia trovi una soluzione di pace che la favorisca, anche se la indebita nei confronti della Casa Bianca per le “regalie” ricevute. Che l’Europa se la cavi da sola, perché gli Usa devono giocare la loro partita con la Cina e questo comporta il taglio, e/o la completa cessazione delle spese a sostegno di chicchessia per concentrare ogni risorsa economica e finanziaria all’obiettivo militare primario, quello del “risiko orientale”.

FD

1) Dati che risalgono ad agosto del 2024, come ben si sa, oggi la situazione è di molto peggiorata, infatti il gas ha tranquillamente superato la soglia dei 50 dollari per Megawattora

Lunedì, February 17, 2025