L’onorevole Veltroni e le elezioni inglesi

E voilà come per incanto l’Unione Europea è diventata “socialista”. Dopo le elezioni francesi, su quindici paesi, ben tredici sono governati da socialisti o da coalizioni di centro sinistra. Fanno eccezione solamente la Spagna di Asnar e la Germania del Cancelliere Kohl. Scherzi del destino o imperscrutabili giochi della storia? È mai possibile che dopo il crollo del muro di Berlino e il disfacimento del capitalismo di Stato sovietico le “sinistre” abbiano avuto una opportunità in più nell’area del capitalismo occidentale, o è più verosimile che le cosiddette sinistre, abbandonato anche il più residuale riferimento alla politiche di classe, schieratesi incondizionatamente sul terreno degli interessi del capitale, sono state chiamate a recitare il ruolo di conservazione la dove le destre avrebbero potuto fallire, non tanto sul piano dei programmi di politica economica, quanto su quello del contenimento del disagio del mondo del lavoro? O che l’avvento al potere delle “sinistre sia stato favorito per comprimere il disagio sociale dovuto alla politica dei sacrifici creato da Governi di destra e per ultimarne in maniera indolore gli impopolari obiettivi? Le recenti storie dei Governi Italiano e inglese stanno a testimoniare la seconda delle ipotesi.

In Inghilterra i commentatori borghesi, per quanto riguarda la vittoria dei socialisti, sì annunciata, ma non assolutamente nei termini nei quali si è determinata, non hanno saputo dare altra spiegazione se non quella dell’alternanza. Ovvero dopo diciotto anni di conservatori l’elettorato inglese si sarebbe rivolto ai laburisti per puro spirito di cambiamento, nonostante che il programma di Blair non fosse molto dissimile da quello di Major e soprattutto nonostante che il neo Presidente, in campagna elettorale, non abbia mai criticato i Governi precedenti in materia di politica economica se non con accenti ed enfasi molto blandi. Nei fatti la spiegazione si basa su più complesse articolazioni. Blair è partito alla conquista dell’elettorato democratico rompendo ogni legame con quello che resta del sindacalismo inglese. Si è assicurato i voti dei Gallesi e Scozzasi promettendo loro due Parlamenti con relative autonomie regionali. Ha assicurato i “poteri forti” che il suo Governo non avrebbe rappresentato in nessun caso stravolgimenti di sorta. Con l’elettorato di sinistra, ovvero con quella parte peraltro consistente di classe operaia, da decenni isolata, politicamente distrutta, organizzativamente inconsistente, ideologicamente confusa al punto di aver perso anche la sua identità di classe, Blair ha vinto a mani basse. Gli è stato sufficiente raccogliere sotto forma di voti di protesta le conseguenze delle penitenze che in diciotto anni i Conservatori sono riusciti ad infliggere al mondo del lavoro inglese. L’Inghilterra dei Conservatori è stata la prima in Europa ad incamminarsi sul terreno delle privatizzazioni, del controllo dell’inflazione, della riforma del fisco, dello smantel-lamento dello Stato sociale, della politica dei sacrifici a colpi di mobilità e contenimento del costo del lavoro. Il risultato è stato che sul campo sono rimasti il 24% della popolazione inglese che vive sotto la soglia della povertà, un esercito di diseredati che sopravvive alla giornata, e un tasso di disoccupazione pari all’8%-9%, solo di poco inferiore alla media europea, salari di fame per quei “fortunati” che hanno un posto di lavoro e insicurezza sociale per tutti. Non fa nemmeno testo il relativamente basso tasso di disoccupazione in quanto , secondo la legislazione inglese, si entra nel computo ufficiale dei disoccupati solo se si fa domanda agli organi governativi e non si entra nel solito computo se nel nucleo famigliare già esiste un percettore di reddito. Il che ha fatto sì che molti, in modo particolare i giovani, stanchi di stazionare nelle liste di attesa nella speranza di un lavoro che non arriva mai, non si iscrivono nemmeno più negli elenchi dei disoccupati, e non poche sono le famiglie nelle quali, accanto ad un lavoratore, ruotano almeno un precario a vita e un disoccupato. Se la legislazione inglese in materia di disoccupa-zione fosse uguale a quella dell’Europa continentale sarebbero uguali, se non superiori, anche le percentuali di disoccupati, riallineando così, anche nei numeri, l’esperienza inglese a quella del resto del capitalismo occidentale.

Queste sono state le condizioni che hanno favorito la vittoria del partito laburista.

L’onorevole Veltroni, ha ovvia-mente plaudito al successo elettorale di Blair. Ha altrettanto ovviamente plaudito al senso di responsabilità dei socialisti inglesi nel non rinnegare il lavoro “necessario” fatto dai laburisti, concorda inoltre sul fatto che oggi, nella fase storica del post comunismo, il liberismo economico debba com-piere il suo corso senza ostacoli di sorta, soprattutto di natura ideologica e che la differenza tra destra e sinistra non si gioca più ( quando mai) attorno al perimetro degli interessi del mondo del lavoro ma su quello sociale e culturale. L’ex “comunista”, oggi neo keynesiano vice Presidente del Consiglio, si auspica che i percorsi economici e politici dei due paesi abbiano tempi e modi simili e che la vittoria del partito laburista inglese favoris-ca il cammino del Governo di centro sinistra in Italia così come la “sinistra” al potere nei tredici quin-dicesimi dell’Europa comunitaria e nell’Italia sua e di Prodi fungano da viatico ai cugini socialisti d’oltre Manica. In questa enfasi di affinità elettive e di comuni ambiti ideo-logici, conservatori nella prassi normale, reazionari nel momento in cui, da qualche parte anche solo per accenni, frange di lavoratori dovessero tentare di togliere la schiena dal peso crescente delle politiche dei sacrifici, l’onorevole Veltroni dimentica due cose.

La prima è che la tanto ricercata affinità ideologica con il partito laburista e con la nuova situazione politica inglese in realtà nasconde una insidiosa diversità. In terra d’oltre manica il partito laburista è arrivato al potere spinto dai voti della protesta sociale dopo che i conservatori avevano dovuto fare il “lavoro sporco” di creare disoccupazione, di smantellare lo Stato sociale e di preparare il terreno più opportuno al capitale nazionale legiferando per tempo sul costo del lavoro, sulla sanità e sulle pensioni. “Lavoro sporco” che ha creato oltre ad un esercito di disoc-cupati almeno pari a quello degli altri paesi europei, statistiche ufficiali a parte, e una fascia di diseredati pari ad un quarto della popolazione totale. In Italia, invece, sono le forze politiche del centro sinistra che devono fare il “lavoro sporco” di spezzare reni e gambe al proletariato. Detto in altri termini, mentre al partito laburista il capitale inglese sta chiedendo di ammini-strare e di continuare il lavoro fatto dai conservatori, al capitale italiano interessa che il grosso dell’attacco anti operaio venga amministrato da quella forza politica che abbia ancora un minimo di ascendente sulle masse lavoratrici. Che faccia cioè quel lavoro che anche la destra saprebbe fare nei medesimi termini ma con minori possibilità di contenimento della “piazza”.

La seconda è che la nuova “sinistra” , sia nella versione inglese che in quella italiana, sia che il “lavoro sporco” sia chiamata a farlo fin dall’inizio o che ne debba amministrare i risultati ottenuti, ha il compito di provvedere alle necessità di valorizzazione del capitale colpendo ferocemente la classe lavoratrice con l’obiettivo di contenerne nel migliore dei modi l’eventuale risposta.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.