Il capitale all’attacco del lavoro

Stato padroni e sindacato d’accordo sui contratti d’area

L’introduzione della microelettronica nei processi produttivi e nel sistema delle telecomunicazioni, ha favorito il trasferimento di interi segmenti dei processi di produzione in ogni parte del mondo. La Fiat ha investito, per esempio, in Brasile dove, oltre a poter usufruire degli incentivi offerti dal governo locale, ha trovato manodopera a bassissimo costo. In generale, fra gli anni 1984 e 1989, le grandi industrie dei paesi OCSE hanno delocalizzano oltre il 50% della loro produzione.

Ed ecco, quindi, quindi la Moulinex piazzare le sue fabbriche in Messico pagando i suoi dipendenti a 14 franchi al giorno e la Nike fabbricare le sue scarpe in Indonesia usufruendo della manodopera dei bambini locali pagata a 70 centesimi l’ora; e cosi via fino all’isola di Batam giustamente definita da Michel Barillon la “fabbrica del diavolo”. Dal 1990 in quest’isola si sono installate 83 imprese, dalla Philips alla AT&T; dalla Sanyo alla Panasonic; dalla Moulinex alla Elettrolux ecc.; ed ecco come ci viene descritta l’isola indonesiana dallo stesso Barillon:

la scenografia è orwelliana: alti reticoli, trincee, telecamere di sorveglianza. Il sistema di ingaggio non è dissimile: l’85% dei 47.000 dipendenti sono giovani donne, reclutate nell’isola di Java. Il loro contratto è di due anni perché disturbi della vista ne riducono l’efficienza. Esse vivono in sedici in una camera, lavorano quaranta ore la settimana per un salario base mensile di 110.000 lire. Godono di dodici giorni di ferie annuali, ma rischiano il licenziamento in caso di matrimonio o di gravidanza.

Ma nonostante ciò la riduzione dei posti di lavoro nei paesi di origine non ha dato luogo a una corrispondente crescita di posti di lavoro nei paesi periferici e quindi a una fase di sviluppo dell’economia mondiale. La conseguenza più vistosa è stata invece l’attivazione della tendenza al livellamento dei salari sui livelli più bassi. Con un fenomeno di questo tipo è evidente che anche nei paesi a maggiore industrializzazione la disoccupazione non poteva no trasformarsi in disoccupazione strutturale e con tassi a due cifre. In Europa si aggira, oramai, attorno al 12%, raggiungendo punte del 22% in zone particolarmente depresse come il mezzogiorno d’Italia. E negli Stati Uniti, se calcolata con gli stessi criteri con cui è calcolata nel vecchio continente, è tra il 14 e il 15% .

Ma la borghesia, pur allarmata dalle proporzioni fenomeno, è spinta dalle sue stesse contraddizioni a trarne il maggior vantaggio possibile cosicché è perennemente alla ricerca di una struttura salariale e di forme di contrattazione che favoriscano la massima flessibilità sia dell’uso che del valore della forza-lavoro.

Con la complicità dei Sindacati sono stati così introdotti i contratti di formazione lavoro, il lavori a tempo parziale, quello interinale e l’apprendistato al lavoro interinale, ma poiché nei paesi a capitalismo avanzato i livelli salariali, nonostante risultano ancora più alti di quelli periferici, si punta ora a introdurre nuovi meccanismi capaci di rimuovere gli ultimi ostacoli. In Italia, in particolare, approfittando della presenza nel Sud del paese di una percentuale di disoccupati doppia rispetto alla media nazionale è stato dato il via ai cosiddetti contratti d’area. Secondo il Governo, le forze politiche che lo sostengono, la Confindustra e i Sindacati questi contratti dovrebbero incentivare il rilancio dei processi di industrializzazione del Mezzogiorno e a creare nuova occupazione.

A Crotone e a Manfredonia sono già stati siglati i primi due contratti; alquanto appetibili per gli investitori, che potranno usufruire di una riduzione del costo del lavoro di almeno il 30%, 5.800 £. all’ora per un apprendista e 7.500 per un operaio; di contributi a fondo perduto fino al 65% dell’impegno finanziario complessivo; e del blocco della contrattazione articolata per 4 anni.

Da questi pochi dati si capisce subito che dietro i contratti d’area non c’è proprio il dramma della disoccupazione nel Sud; infatti, se questa politica di sconti contrattuali fosse veramente sufficiente per lo sviluppo del Sud, oggi questa sarebbe l’area a maggior concentrazione industriale d’Europa visto che esistono già salari di 100 mila lire la settimana per 12 13 ore di lavoro giornaliere. Allora ecco che è lo stesso rappresentante della Confindustria nel Sud D’Amato, a chiarire i veri obiettivo dei contratti d’area: “mettere in soffitta i minimi contrattuali e introdurre un minimo di sussistenza”. Poiché è impensabile che questi contratti rimarranno confinati nel sud è evidente che il vero scopo è quello aprire varchi da utilizzare poi a livello nazionale in modo da allineare i livelli salariali nelle aree a capitalismo avanzato con quelli presenti nei paesi di più recente industrializzazione.

Si tratta insomma di quella liberalizzazione del mercato del lavoro già attuata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e che ha scaraventato nella miseria non solo coloro che hanno perduto il lavoro, ma anche quelli che un lavoro ce l’hanno. In America, dal 1973 al 1992 il 20% delle famiglie più ricche ha visto il proprio reddito crescere del 19%, e il 20% delle famiglie più povere ha visto il proprio diminuire del 12%. Mentre la produttività media è aumentata, negli stessi anni, del 30%, il salario medio reale è diminuito del 13% e il 18% dei dipendenti full-time è al di sotto della soglia ufficiale di povertà. In Gran Bretagna tra il 1979 ed il 1992 il reddito del 10% più povero della popolazione è diminuito del 17% mentre il 10% della popolazione più ricca ha avuto un aumento medio del suo reddito del 62%. Nello stesso periodo la popolazione vivente sotto la soglia di povertà è passata dal 9 al 25%. E nel Galles, che è stato il primo paese in Europa ad attuare i contratti d’area, tanto è basso il costo della mano d’opera che ormai sono arrivate ormai anche alcune imprese coreane. Insomma sono Torino e Milano che debbono diventare come Taiwan; Napoli è già Africa.

Gaetano

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.