In Sudafrica è guerra fra i poveri

Ora è dimostrato: anche l’aparheid era un problema di classe

I drammatici fatti accaduti in Sud Africa, che hanno visto una cruenta guerra tra poveri, non sono solamente eventi di dolorosa attualità, ma la punta dell’iceberg di fenomeni che caratterizzano il corso della società capitalista sino dalle sue origini, allorché gli individui spogliati di qualunque avere o possibilità di sopravvivenza sono stati costretti a vendere la propria forza lavoro entrando in concorrenza gli uni contro gli altri.

In questo paese le contraddizioni sono ingigantite dalle sue stesse caratteristiche, il Sud Africa è il primo produttore mondiale di oro, il “nobile” metallo che da sempre per antonomasia rappresenta la ricchezza assoluta da una parte, la cupidigia e la bramosia dell’uomo per possederlo, dall’altra. Oltre all’oro, il Sud Africa è tra i primi fornitori di materie prime strategiche per l’industria militare: platino, cromo, antimonio, manganese, vanadio.

Il Sud Africa è la 23a potenza industriale del mondo e di gran lunga il paese più avanzato del continente africano. Malgrado tutto questo, l’estrema concentrazione della ricchezza e le enormi disuguaglianze, ne fanno a tutti gli effetti un paese con caratteristiche da terzo o quarto mondo.

In tale contesto di grande degrado è scoppiata la violenza contro gli immigrati neri provenienti dalla Somalia, Mozambico, Malawi, Congo, Nigeria e soprattutto dallo Zimbabwe afflitto dalla carestia e da un feroce regime dittatoriale. Gli incidenti sono partiti l’11 maggio da Alexandra, la più infernale delle township del paese, un sobborgo non molto distante dagli scintillanti grattacieli della zona più esclusiva di Johannesburg, per poi estendersi a tutto il paese. Il bilancio ad oggi è di 56 vittime e decine di migliaia di sfollati.

Con la fine dell’apartheid nel 1994, il regime di segregazione razziale instaurato dagli africaneers del National Party nel 1948, i discendenti dei colonizzatori olandesi e inglesi, e l’ascesa al potere dei neri dell’African National Congress (ANC) di Nelson Mandela, si sarebbe dovuta aprire una nuova era di democrazia e prosperità per il Sud Africa.

Esattamente quanto si prospettava per il mondo intero. Tutto coincideva, ricordiamo: la fine della guerra fredda, le trombe altisonanti della borghesia internazionale per aver sconfitto il “comunismo”. Insomma le circostanze dischiudevano sotto i migliori auspici la nuova stagione neoliberista, e anche il Sud Africa con le sue immense risorse, il ritiro delle sanzioni economiche contro il precedente regime razzista e l’interesse delle grandi multinazionali ad investire capitali, faceva sperare in una ventata di aria nuova, che quanto mento limasse le palesi disparità tra poveri e ricchi.

Ebbene, da allora ad oggi, malgrado tassi di sviluppo sostenuti nell’ordine del 4-5% l’anno, a fronte dell’ascesa ai posti del potere politico-economico di una piccola minoranza di borghesia nera, che ostenta alla luce del sole la propria ricchezza, sono state frustrate, viceversa, le speranze di migliori condizioni di vita per milioni di proletari. Anzi, in linea con la dinamica capitalistica internazionale, le politiche liberiste del successore di Mandela, l’attuale presidente Thabo Mbeki, hanno acuito le distanze tra una minoranza sempre più ricca e una maggioranza sempre più povera e in costante aumento.

Naturalmente un paese sviluppato e in crescita ha fatto da catalizzatore per la forza lavoro dei poverissimi paesi circostanti, su quasi 50 milioni di abitanti si calcola che gli stranieri siano dai 3 ai 5 milioni, una cifra certamente non esorbitante, ma che si è venuta a concentrare nell’arco di pochi anni, contribuendo a gonfiare i già invivibili ghetti delle grandi città, ma soprattutto i nuovi arrivati hanno fatto comodo alla borghesia proprietaria di fabbriche e miniere per comprimere ulteriormente i già magri salari dei lavoratori indigeni, innescando conseguentemente la prevedibile lotta tra poveri, come nel più classico film già visto mille volte.

I comunisti devono denunciare le cause dei misfatti del capitalismo ovunque, ed evidenziare che anche la questione razziale sudafricana considerata in se stessa, slegata dalla critica al sistema capitalista, risulta essere solamente uno specchietto per le allodole imbastito dalla borghesia per sviare dai reali motivi dell’attuale situazione e impedire un’adeguata risposta di classe del proletariato.

La segregazione della maggioranza nera ad opera della minoranza bianca, in particolare nel secondo dopoguerra, sancita dallo Stato con il sistema dell’apartheid, che negava ai neri il diritto di sciopero, l’accesso al pubblico impiego, il voto e i diritti civili in generale, che separava i neri stessi tra di loro per lingua ed etnia in territori chiamati bantustan, non è stato altro che un gigantesco strumento di super sfruttamento del proletariato attuato dalla borghesia. Il razzismo è stato un mezzo specifico, di inaudita ferocia e disumanità utilizzato per la totale sottomissione della forza lavoro al capitale.

Tutto questo faceva comodo anche alle grandi potenze imperialiste che avevano bisogno di materie prime a buon mercato per le necessità produttive crescenti del nuovo ciclo di accumulazione.

Come tutte le cose che hanno un inizio e una fine, ad un certo punto anche l’apartheid si è dimostrato insostenibile, sia perché aspramente criticata e invisa all’opinione pubblica di tutto il mondo, ma anche perché imbarazzante per i gli stessi capitalisti che con quel regime facevano affari. Ma soprattutto la cosiddetta “globalizzazione”, ovvero l’apertura dei mercati e la mobilità dei capitali e della forza lavoro rendevano anacronistico e superato quello strumento.

Infatti, come abbiamo visto, nella nuova fase l’armamentario neoliberista e la farsa democratica sono stati mezzi più efficaci per perpetrare l’oppressione capitalista. Un giogo che allarga i suoi tentacoli e colpisce pesantemente anche il proletariato bianco, a conferma della sostanza classista della questione. Sebbene ancora oggi i capitalisti bianchi controllino la stragrande maggioranza delle risorse del paese, oltre il dieci per cento della popolazione bianca è sprofondato sotto la soglia del limite di povertà.

Molti bianchi hanno dovuto trasferirsi nei ghetti neri, e capita sempre più spesso di vederli chiedere la carità, fare la fila per un pasto davanti agli enti caritatevoli, o arrangiarsi in qualsiasi altro modo per cercare di sbarcare il lunario. Insomma un quadro a tinte fosche, che solamente l’unità di tutti i proletari contro il capitale potrebbe invertire. Ma la strada è ancora lunga, decenni di razzismo alimentato ad arte non si possono superare dall’oggi al domani, anzi sono proprio i bianchi poveri i più intolleranti nei confronti dei neri, atteggiamento che riflette la paura e la reazione al precipitare della loro condizione. Nondimeno l’unica risposta possibile alla barbarie è l’unità di classe e la lotta anticapitalista di tutto il proletariato.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.