Brexit 2018

Durante la preparazione del referendum del 2016 sull'appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea (UE) abbiamo chiarito (Revolutionary Perspectives 08) che si trattava di un dibattito in cui i lavoratori dotati coscienza di classe non avrebbero dovuto lasciarsi coinvolgere, da nessuna delle due parti. Partecipare al dibattito poteva solo produrre l’allineamento dei lavoratori dietro l'una o l'altra fazione della classe dominante. Le storie spacciate da entrambi i lati – sul fatto che in qualche modo i lavoratori avrebbero tratto giovamento dall’uscita o dalla permanenza dello stato britannico nel rapporto con le istituzioni dell'UE – erano farciti di bugie e di benefici immaginari.

Il voto per l’abbandono dell'UE (la cosiddetta “Brexit”) non è stato il risultato desiderato dalla maggioranza della classe dominante. Siamo consapevoli che una tale affermazione necessita di una spiegazione e in quest'articolo discutiamo su come la borghesia britannica sia arrivata a ritrovarsi in un tale pasticcio. Esamineremo anche come lo stato britannico, e in particolare il suo il governo, continuino a fronteggiare la necessità di attenuare gli effetti negativi di quest’evento sfavorevole, ovviamente sempre nella loro prospettiva e agendo nell'interesse della minoranza che possiede e controlla i mezzi di produzione.

La strategia preferita dai padroni dagli anni 1960 in poi

Il ruolo post-imperiale britannico è un argomento che ha vessato la borghesia britannica almeno dall'avventura di Suez (1) che si svolge poco prima del trattato di Roma (2). In seguito ai discorsi sui “Winds of change” (3) e al “Non” di De Gaulle ai primi approcci britannici al Mercato comune, la classe capitalista britannica ha continuato a bilanciarsi tra l'imperialismo USA e l'impegno in una sfida contraria proveniente da un'Europa rigenerata – vale a dire, all'interno della NATO, ma mantenendo legami di lealtà (di fatto relativa subordinazione) sia agli USA che al cuore franco-tedesco del mercato comune/CEE/UE (4).

In coerenza con quanto sopra, lo stato britannico ha mantenuto all'interno dell'UE un atteggiamento “al rallentatore” rispetto alla prospettiva dell'integrazione europea. Esemplificativo di ciò è il suo rifiuto di aderire allo spazio Schengen e alla moneta unica. Anche nel dicembre 2017 il Regno Unito, insieme a Danimarca e Malta, ha mantenuto tale approccio, rifiutandosi di impegnarsi per la nuova forza di difesa europea, che, per inciso, rappresenta un ulteriore passo nei preparativi verso la guerra. Il voto sulla Brexit ha però posto una sfida esistenziale alla capacità della borghesia britannica di mantenere quell'approccio strategico.

2015-16 – Falliscono i piani della classe dominante

“Spesso i migliori piani di uomini e topi vanno storti” (Robert Burns, A un topo) ... e così è stato per l'attuale classe dirigente britannica, coi suoi piani malati costruiti su ipotesi arroganti.

Per riassumere, abbandonare gli accordi commerciali e la posizione politico-economica all'interno dell'UE non è nell'interesse della borghesia britannica nel suo complesso (5). Ciononostante, siamo arrivati a un momento storico in cui il governo deve fornire un pacchetto di provvedimenti che rompa con almeno gli ultimi 50 anni di strategia politico-economica borghese. A parte la perdita della rete di accordi commerciali e dei vari istituti “reciprocamente vantaggiosi” che forniva l’UE, lo stato britannico si trova ora di fronte a tutta una serie di problemi spinosi, incluso lo stato di Gibilterra e i “Territori d'Oltremare” nei Caraibi. Più vicino a casa, ci sono altri grandi enigmi da affrontare, in particolare sulla circolazione dei lavoratori tra l'UE e il Regno Unito e la questione apparentemente insolubile dell'Irlanda del Nord e dei suoi confini terrestri e marittimi.

L'attuale crisi è stata scatenata dalla decisione folle e arrogante della cricca di Cameron di indire il referendum. Erano fiduciosi nella vittoria di un voto per il “Remain”, il risultato desiderato da entrambe le borghesie britannica ed europea. Uno dei loro maggiori errori è stata la sottovalutazione del grande strato di elettori, principalmente di classe operaia, o vicini a questa, spesso diffidenti riguardo alla farsa elettorale, che hanno visto in questa votazione una rara opportunità di dare una bella botta all’ “establishment”.

La liberale Joseph Rowntree Foundation ha riassunto questo fenomeno in termini sociologici nei 4 punti seguenti (disponibile il 7 gennaio 2018 su jrf.org.uk):

Le famiglie più povere, con un reddito inferiore a 20.000 sterline l'anno, pare siano state molto più a favore dell’uscita dall'UE rispetto alle famiglie più ricche, così come i disoccupati, le persone con occupazioni poco qualificate o manuali, quelli senza qualifiche e chi percepiva la propria situazione economica in peggioramento.
I gruppi più a rischio di povertà erano più propensi a sostenere la Brexit. Età, reddito e istruzione quindi contano, ma è la disuguaglianza educativa a rappresentare il fattore più importante. A parità di altre condizioni, il sostegno alla Brexit era di 30 punti percentuali più alto tra le persone con istruzione secondaria o inferiore, rispetto ai laureati. In contrasto con ciò, il sostegno all’uscita dall’UE era di solo 10 punti in più tra quelli con meno di 20.000 sterline all'anno di quello che si aveva tra chi ha un reddito superiore a £ 60.000 all'anno, e 20 punti in più tra quelli di 65 anni di età rispetto a quelli di 25 anni.
Il sostegno alla Brexit varia non solo tra individui ma anche tra aree. Persone di ogni livello di qualifica erano più propensi a votare per l’uscita in aree a bassa specializzazione rispetto a chi vive in aree ad alta qualifica. Però quest’effetto è più forte tra i più qualificati. In comunità con scarsità di qualificati la differenza nel sostegno alla Brexit tra i laureati e quelli con qualifica di scuola secondaria (o inferiore) era di 20 punti. Nelle comunità altamente qualificate era oltre 40 punti. In aree di bassa qualifica la percentuale di voti per la Brexit dei titolari di un diploma di maturità era più vicina a quella delle persone con bassa qualifica.
Nelle aree ad alta qualifica il loro voto era molto più simile a quello dei laureati.
I gruppi che in Gran Bretagna sono stati “lasciati indietro” dai rapidi cambiamenti economici e si sentono in qualche modo tagliati fuori erano i più propensi a sostenere la Brexit. Questi elettori si trovano di fronte a un “doppio smacco”. Mentre la loro mancanza di qualifiche gli dà un significativo svantaggio nell'economia moderna, sono ulteriormente marginalizzati nella società dalla mancanza di opportunità che affrontano nelle loro comunità poco qualificate. Questo renderà estremamente difficile per chi è rimasto indietro adattarsi e prosperare nel futuro.

L'analisi ha indicato che la maggior parte dei più “svantaggiati” ha dimostrato la sua insoddisfazione in un referendum che non avrebbe potuto portar loro alcun beneficio.

Per chiunque voglia sradicare il sistema che genera disagio e alienazione tutto ciò indica quanto siamo lontani da un'analisi o da una resistenza basata sulla coscienza di classe.

Dittatura borghese e periodiche anomalie politiche

Nell'epoca imperialista elezioni e altri giochi di prestigio elettoralistici come i referendum fanno parte di una elaborata sceneggiata. Il loro scopo è mascherare la realtà della dittatura della borghesia. La macchina legislativa ed esecutiva non potrà mai sfidare veramente il potere del capitalismo, anche se lo desiderasse. Questa analisi materiale non ha nulla da spartire con le teorie complottistiche che vedono mani nascoste controllare nel dettaglio tutti i risultati di ogni votazione. Prendendo in considerazione solo le elezioni generali britanniche, è chiaro come la borghesia non sia in grado di gestire nel dettaglio ogni tornata elettorale. Subito dopo la prima guerra mondiale la borghesia britannica ha dovuto fronteggiare i nazionalisti irlandesi dello Sinn Fein che hanno conquistato tutti i seggi parlamentari irlandesi nelle elezioni generali del 1919. Nel 1974 il sistema elettorale ha prodotto due risultati incerti, proprio quando il Regno Unito era appena entrato nell'UE. Un'elezione a febbraio ha prodotto un parlamento in bilico, mentre un nuovo voto in ottobre ha creato una fragile maggioranza laburista. Nella corsa verso l'attuale caos politico, il circo elettorale ha prodotto un confuso risultato nel 2010 che ha prodotto la coalizione “ConDem”. Nel 2017, con le “sfide” della Brexit già ben evidenti, il tutt’altro che forte e stabile primo governo May viene sostituito dalla la litigiosa “nave dei matti”. La ciliegina su quella particolare torta è l'influenza sproporzionata, concessa a un considerevole costo finanziario, al Partito Democratico Unionista (DUP). Partito che ha un’ossessiva preoccupazione per l’Irlanda del Nord e per la sua posizione all’interno del Regno Unito. La sua visione è in assoluta contraddizione con l’impegno (presunto) del Regno Unito e della UE a non reintrodurre una frontiera fisica tra l'Irlanda del Nord e la Repubblica d'Irlanda. Anche al di là delle elezioni generali capitano occasionalmente “conseguenze inaspettate”. Abbiamo già commentato l'emergere di Jeremy Corbyn come leader del partito laburista. Di certo questo non era quanto si augurava l'establishment del partito laburista, che peraltro rappresenta un elemento fondamentale dell'ordine borghese. Tale risultato è stato facilitato dall'imposizione della regola “un membro un voto” che mirava a distruggere il potere dei “baroni” / “baronesse” del sindacato.

Fratture all’interno della borghesia

Per i marxisti il governo è in realtà un comitato per la gestione degli affari della borghesia nel suo complesso. Il corollario di questa affermazione è che il governo ha il compito di conciliare le differenze di interessi che si sviluppano all’interno delle varie sezioni della stessa borghesia. Lo stato di per sé è incapace di eliminare quelle divisioni.

La classe capitalista è essenzialmente divisa al suo interno. Al centro della rapace e distruttiva dinamica del capitalismo c’è la concorrenza, concorrenza che si è avviata prima tra imprese di singoli privati, in seguito tra società, società per azioni, trust, cartelli, multinazionali, ecc.

Tuttavia il loro sistema non avrebbe potuto sopravvivere senza i compromessi che erano stati originariamente identificati da studiosi del calibro di Hobbes e Locke (6) nei primissimi giorni del potere politico borghese in Inghilterra. I capitali in competizione hanno imparato presto il giochetto ideologico dell'«unità nazionale», dilettandosi nel far parte di una costruzione socio-economica in cui ogni sezione della borghesia poteva perseguire il suo interesse particolare contro le altre sezioni della stessa borghesia e contro le altre classi.

Il ruolo della sovrastruttura politica nell'imporre i compromessi necessari si è rivisto in diverse occasioni. A volte però le conseguenze economiche non sono state quelle previste. L'ultima volta che qualcuno ha provato a rifare “grande” la Gran Bretagna è finita in un disastro. Quando il cancelliere dello Scacchiere Winston Churchill nel 1925 riporta la Gran Bretagna nel gold standard viene clamorosamente applaudito dal Parlamento e lodato dalla stampa su entrambe le sponde dell'Atlantico. Stava cercando di ripristinare la posizione imperialista della GB come nazione finanziaria leader del mondo, ma Churchill (e la maggior parte della classe dominante) non si rendeva conto che la Gran Bretagna aveva già perso il suo potere finanziario nonché molti dei suoi mercati. Rendere le esportazioni britanniche del dopoguerra il 10% più costose, non solo ha accelerato il suo declino da potenza imperiale, ma ha portato allo sciopero generale del 1926 e ha peggiorato la Grande Depressione seguente al crollo di Wall St. Quando Ramsey McDonald, a malincuore ma definitivamente, nel 1931 porta la sterlina fuori dal gold standard, il danno era già fatto. Ora però la necessità di superare le divisioni interne della borghesia si manifesta non solo all'interno della struttura degli stati nazionali ma anche attraverso regimi commerciali regionali, blocchi militari e le varie organizzazioni transnazionali come l'ONU, il WTO, la Banca mondiale, ecc. Nondimeno, la capacità delle varie frazioni borghesi di mantenere efficienti quelle strutture non depone a favore del fatto che l'ordine capitalista sia in grado di superare le sue intrinseche divisioni e antagonismi.

La borghesia era divisa riguardo l'appartenenza del Regno Unito alla UE e una sua frazione significativa ha sostenuto una nuova relazione basata su una netta rottura col passato. Le divisioni nella borghesia sono diventate più marcate con il progredire del crisi economica, ma sono divisioni marcescenti ormai da molti anni. Ciò è dimostrato dal fatto che molti dei leader della brigata pro-Brexit di oggi erano i ribelli anti-Maastricht negli anni 1990. Da cosa nascono queste divisioni?

Con l'accelerazione della globalizzazione, il capitalismo all'interno degli stati nazionali diventa un complicato puzzle di istituzioni basate e focalizzate su un livello nazionale che interagiscono sempre più con le multinazionali e il capitale transnazionale. Le attuali catene di approvvigionamento internazionale di capitale industriale non possono essere comparate col commercio internazionale di alcuni settori, come nel 19° secolo. Oggi lo stato borghese deve rappresentare e difendere non solo gli interessi del capitale indigeno, ma anche il settore di capitale internazionale che si è situato entro i confini fisici dello stato nazionale. In Gran Bretagna questo è particolarmente evidente nel settore manifatturiero, in cui i capitali statunitensi, tedeschi, francesi, giapponesi e ora anche cinesi e indiani dominano settori come la produzione di automobili, prodotti chimici, prodotti farmaceutici, energia, acciaio ecc.

Questo è anche il caso delle industrie dei servizi, in particolare del settore finanziario, dove molte delle principali istituzioni sono straniere. La classe dirigente britannica quindi protegge non solo gli interessi del capitale britannico “indigeno” ma anche elementi di capitale transnazionale, che cerca di attrarre e ai quali cerca di offrire un “rifugio sicuro”.

La frazione della classe dominante favorevole al “Remain” ha capito quest'ultimo punto e ha compreso in particolare che gli interessi del capitale transnazionale sarebbero stati meglio serviti dal Regno Unito se questo fosse rimasto nella UE. Se il Regno Unito non sarà in grado di proteggere gli interessi del capitale transnazionale, questo certamente migrerà. Tale movimento è già diventato evidente in particolare nel settore dei servizi, dove da lungo tempo si era spostato a far profitti nel Regno Unito.

Il fatto principale rimane che il Regno Unito non è nella lista delle grandi potenze imperialiste, la sue la presenza economica è assolutamente gracile rispetto a potenze come USA o Cina. L'unico modo in cui potrebbe oggi esercitare un'influenza economica significativa a livello globale sarebbe all'interno della sovranità condivisa fornita dall'UE.

La borghesia (eccetto i fautori della Brexit) sta giocando tutte le sue carte per mantenere aperte le opzioni meno disastrose. La decisione di tenere un altro voto parlamentare prima del ritiro definitivo dalla UE è un tentativo di acquisire forza. I principali partiti stanno arrampicandosi sugli specchi per offrire un risultato che rispetti solo a parole la volontà popolare espressa attraverso quel referendum mal concepito. Ci sono molti segni di possibili scappatoie, in particolare l'opzione SEE / Norvegia che permetterebbe di mantenere il regime commerciale del mercato unico e l’unione doganale.

Sfortunatamente per la classe dominante, con l'attuale configurazione partitica nella Camera dei Comuni è difficile immaginare come un governo Tory, appoggiato dal DUP, possa realizzare una “Brexit morbida”. D'altra parte, una spinta verso una “Brexit dura”, con il Regno Unito che diventa una pedina di serie B nell'economia globale, sembra altrettanto impraticabile, data la presenza di una manciata di “Brexiters morbidi” tra i parlamentari Tory.

I marxisti non hanno capacità sovrannaturali di prevedere il futuro, ma è sicuramente possibile che la crisi che i padroni hanno generato possa portare ulteriori ritorni al voto “popolare”, lo stesso popolo che per molti decenni è stata la vittima “non consultata” della crisi economica. Come sempre, facciamo appello alla minoranza consapevole della classe di far propaganda per un rifiuto attivo di tali ulteriori referendum o elezioni.

2018 – Le opzioni borghesi non ci offrono nulla

La base materiale per l'attuale profonda divisione nella borghesia è data dall’impossibilità di uscire dalla crisi economica. I governi che si sono succeduti hanno utilizzato tutti gli strumenti possibili per gestire la crisi e per mantenere ora una relativa stabilità basata sull'aumento del debito e sulla compressione salariale.

La frazione della borghesia che credeva di poter staccare la GB dall'economia globale ha trovato potenti sostenitori tra i padroni dei media, comprese le corporazioni che pubblicano Mail, Sun, Express e Telegraph. Per accondiscendere quella lobby, il governo Cameron è stato felice di indire il referendum, mettendo così anche fine alla possibilità di essere aggirato elettoralmente dall'UKIP.

Le domande che continuano a tornare sono:

  1. Questo non era un responso elettorale ma una decisione referendaria – i referendum non fanno parte della costituzione e il parlamento non è obbligato ad accettarli.
  2. Non si è tentato in alcuno modo di prevedere che un passaggio di tale portata avrebbe dovuto richiedere una certo quorum (come è stato fatto in passato).

Questa mancanza quasi frivola di leadership non può essere semplicemente attribuita alla miope strategia di Cameron.

La classe politica nel suo insieme era d'accordo, e anche i sostenitori più duri della Brexit non pensavano che il voto sarebbe davvero andato contro gli interessi fondamentali dell'intera classe dominante.

Quando si è tenuto il referendum, più di un quarto degli aventi diritto si è astenuto. È tuttavia chiaro che solo una minima parte di tali astensioni è basata su una chiara comprensione del fatto che il teatrino elettorale dei padroni non è altro che un paravento che nasconde la realtà del dominio di una classe minoritaria. Tali bassi livelli di coscienza e di consapevolezza della natura della lotta di classe sono il risultato di decenni in cui la classe operaia è stata schiacciata sotto il peso dell’attuale crisi di redditività. Molti lavoratori che non avevano mai votato, a cui non era mai stata data l’opzione tra un semplice “sì” o “no”, e che sono stati marginalizzati e alienati dalla globalizzazione, hanno avuto ora la possibilità di mandare a quel paese l’establishment. L'aumento della partecipazione in molti aree di classe operaia è stato ciò che ha ribaltato il voto che e che ha stupito la classe dominante.

Come può la borghesia britannica cavarsela con tutta questa idiozia politica e col caos causato dalla divisione tra fazioni che permea le sue strutture politiche? Solo perché attualmente si confronta con un proletariato la cui coscienza di classe è stata ridotta al minimo e in cui la capacità di iniziare anche la più semplice resistenza economica o sociale è flebile e di corto respiro.

La mancanza di una risposta della classe operaia (che dura ormai da lungo tempo) concede alla borghesia il lusso di poter vivere al suo interno un contrasto così dirompente senza che questo porti al crollo dello stato. Uno dei tre criteri che Trotsky ha citato per definire rivoluzionaria una situazione nella sua Storia della rivoluzione russa, era la presenza di una frattura all’interno della borghesia (gli altri erano la crisi economica e la presenza di una combattiva forza alternativa nella classe).

Riguardo alle opzioni sull'UE, ovviamente un dibattito impostato sul piano “nazionale” e non di classe è l’ideale per confondere la classe.

Le nostre conclusioni rimangono chiare: nessuna delle varie opzioni sul posizionamento dello stato britannico all'interno dell'ordine imperialista mondiale (compresa la dottrina Corbyn) (7) offre alcun reale vantaggio alla classe operaia. La sua emancipazione dallo sfruttamento capitalista avrà bisogno di più tempo. Richiede una lotta autonoma al di fuori di tutte le strutture e i programmi riformisti che il sistema cerca di usare per tenerci tranquilli. Richiede una riscoperta della nostra consapevolezza di classe e, come parte di ciò, la creazione di un partito rivoluzionario internazionale che coordini e guidi la lotta contro un sistema che è globale.

Non ci si arriverà presto, ma alcuni primi passi sono già stati compiuti da noi stessi e da altri rivoluzionari come noi. Per coloro che capiscono questo, ma che finora si limitano a leggere e commentare sui social o ovunque, è tempo di unirsi al movimento.

KT

(1) L'invasione messa in atto nel 1956 da Israele, Regno Unito e Francia mirante a contenere la rinascita dei nazionalisti egiziani che prende la spinta dalla nazionalizzazione del Canale di Suez da parte di Nasser. L’azione è rientrata in seguito alle pressioni dagli Stati Uniti. L’avvenimento è stato letto come un punto di svolta significativo che definisce il declino del ruolo imperialistico del Regno Unito nell'ordine mondiale dell’ultimo dopoguerra.

(2) Il trattato di Roma (marzo 1957) è stato firmato da Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo a fondamento della Comunità Economica Europea, che ha preceduto l'Unione Europea.

(3) “Winds of Change” – Discorsi pronunciati all'inizio del 1960 ad Accra e Cape Town dal primo ministro del Regno Unito, Harold Mac Millan. Gli interventi hanno preparato la strada della trasformazione dei territori dell'impero britannico in stati capitalisti indipendenti.

(4) Il Regno Unito ha aderito alla Comunità Economica Europea all'inizio del 1973, insieme a

Danimarca e Irlanda.

(5) La borghesia britannica non è la sola a permettere che la sovrastruttura politica sia causa di seri problemi. L'elezione di Donald Trump è forse l'esempio più sfacciato. Anche l'impasse Spagna/Catalogna si sta trasformando in una seria crisi per un altro membro importante dell'UE.

(6) Thomas Hobbes e John Locke – filosofi politici inglesi del XVII secolo.

(7) Discorso di Corbyn alle Nazioni Unite, Ginevra, 8 dicembre 2017, in cui chiedeva a “Governi,

società civile, movimenti sociali e organizzazioni internazionali” di creare un ordine mondiale più equo. Dal 7 gennaio 2018 è disponibile su labourlist.org. Per le nostre opinioni sul Corbynismo vedere leftcom.org e gli articoli precedenti.

Venerdì, June 1, 2018