Letture

The New International (Marzo e aprile 1948)

Chi si diletti di studiare le perplessità e le ambasce dei trotskisti di fronte agli avvenimenti più clamorosi della storia più recente, legga questi due numeri della rivista dissidente americana di Shachtman, interamente dedicati al “colpo di stato” staliniano in Cecoslovacchia e in particolare un articolo di H. Draper: Il triangolo delle forze.

I trotskisti, da due anni a questa parte, lanciar" a ripetizione lo slogan: “Governo socialista e comunista”, nell’illusione che l’andata al governo dei partiti di massa sotto la spinta di un “moto popolare” crei le premesse di una situazione di sommovimento e di commozione sociale in cui inserirsi, nuovissimi “dei ex machina, con la parola d’ordine finale della rivoluzione proletaria. Sennonché, la crisi cecoslovacca ha posto a questi casisti della preparazione tattica della conquista rivoluzionaria del potere un amletico problema: abbiamo un governo “comunista” che ha bensì liquidato le vecchie formazioni borghesi cecoslovacche, ma non è stato accompagnato dal tanto sospirato “entusiasmo rivoluzionario” delle masse operaie e contadine e, quel che è peggio, ha - contrariamente alle previsioni del programma tattico transitorio - consolidato una situazione di stasi politica e sociale. Non accadrà altrettanto in qualsiasi altro caso di assunzione di “socialisti e comunisti” al governo?

E d’altra parte (qui la casistica raggiunge il vertice del parossismo) se i “comunisti” di Gottwald hanno, da una parte, frantumato le vecchie formazioni politiche borghesi e, dall’altra, messo la camicia di forza al proletariato ceco invece di lasciarlo sbrigliarsi in un autentico “moto popolare”, che cosa diavolo è questo stalinismo? Un movimento borghese no, perché liquida senza tanti complimenti i borghesi; un movimento proletario neppure, perché conquista il potere con una rivolta di palazzo: non c’è che una conclusione da trarne, lo stalinismo è una forza politica e sociale nello stesso tempo... anticapitalista e antiproletaria. Cosi, lungo la via cruda del loro intermedismo, i trotskisti raggiungono, da una parte, i teorici della “Terza Forza”, che passeranno, com’è noto, alla storia per aver introdotto nell’antitesi marxista capitalismo-socialismo un terzo termine, il “totalitarismo”, e, dall’altra, il deprecatissimo Burnham della “rivoluzione dei tecnici” per il quale la Russia non è né capitalismo né socialismo ma qualcosa di nuovo, e le classi sociali, da Marx ridotte in ultima istanza a due sole, sì arricchiscono di una prepotente sorella minore, la burocrazia del capitalismo di stato sovietico. E, nell’un caso e nell’altro, finiscono nel più complicato pasticcio revisionista.

Che è la fine di tutti coloro che camminano sui trampoli dei “programmi transitori”.

Left Wing (Maggio 1948)

I gruppi di opposizione comunista staccatisi in America dallo stalinismo e passati per la quarantena del trotskismo sono in un processo di continuo logorio e disfacimento per l’incapacità di trovare un ubi consistam sulla via maestra del marxismo.

Comune a tutti questi gruppi e gruppetti a germinazione e scissione continua è la reazione - frutto più di esperienze negative che di un reale superamento ideologico - alle contorsioni tattiche dell’intermedismo trotskista: comune a tutti è l’ambizione di costituire il “partito rivoluzionario di classe” partendo da premesse eclettiche o da un minimo disposizioni critiche non inquadrate in una concezione generale della natura e dei compiti del Partito. Left Wits non sfugge alla regola: è il portavoce di un gruppo variopinto di oppositori provenienti chi dal laburismo, chi dallo stalinismo, chi dal trotskismo, e raggruppati, a voler dar retta alla dichiarazione programmatica (“Why Left Wing?”, Perché Ala Sinistra?), intorno ad una prima “conquista” ideologica: l’impossibilità di istituire un’antitesi fra democrazia e fascismo, il riconoscimento che la tattica trotskista della difesa della democrazia contro un eventuale pericolo reazionario è proprio la premessa maggiore del trionfo di qualunque movimento fascista. È ovvio che quando si parte da questa premessa, non centrale ma derivata, non si costruisce nulla: e infatti, quando C. Allen, dopo aver passato sotto il vaglio della critica il riformismo laburista e staliniano e la concezione anti-partito dei sognatori di una democrazia operaia aziendale pura, si pone il problema del partito di classe, la più spaventosa delle confusioni si genera: il patito è bensì riconosciuto come la spina dorsale della rivoluzione proletaria, ma la soluzione del problema della dittatura del proletariato non la si cerca nella dinamica dei rapporti fra partito e classe ma nell’ideazione di un sistema perfetto di organismi elettivi collegati gli uni agli altri e destinati a garantire il massimo di “democrazia operaia”.

La quarta strategia -- quella appunto propugnata dall’autore -- è per l’organizzazione di un partito politico della classe operaia che faccia dei luoghi di produzione il centro del suo programma strategico, che riconosca nei luoghi di produzione la Sede effettiva del potere e la base reale del futuro stato operaio [...] come i capitalisti contrapposero il suffragio territoriale alle antiche forme feudali, così la classe operaia contrapporrà il suffragio per industrie alle forme territoriali.

Tutto questo dopo di aver demolito nella pagina precedente la tattica della conquista proletaria delle aziende senza conquista preventiva del potere politico e senza direzione centralizzata degli impulsi rivoluzionari delle masse e della gestione dei fattori produttivi.

Inizia male chi, propostosi di costruire il partito della rivoluzione, comincia col fare della rivoluzione l’atto di sostituzione di un metodo giuridico di suffragio all’altro!

Southern Advocate for Workers’ Councils (Aprile 1948)

Avevamo parlato di questa rivista australiana quando era ancora il “Southern Socialist International Digest” - una palestra piuttosto eclettica di gruppi di opposizione comunista - e prima che assumesse la veste attuale di portavoce delle correnti operaiste, in particolare del gruppo olandese “Spartakus”, di cui il numero al quale ci riferiamo riporta il programma e, come inserto, un opuscolo sui Consigli Operai scritto nel 1941-42 durante l’occupazione tedesca dell’Olanda.

Questa pubblicazione di documenti ufficiali del movimento olandese dei Consigli, richiamantesi più o meno direttamente alle concezioni di Hermann Gorter e di Anton Pannekoek, permette di situare storicamente il problema di certi gruppi di opposizione radicati in una tradizione rivoluzionaria e in un insieme di posizioni ideologiche, che hanno almeno il titolo storico della omogeneità e della coerenza.

Abbiamo sempre giudicato l’ideologa dei Consigli come un’interpretazione idealistica e volontaristica del marxismo. I tribunisti olandesi come gli uomini del Partito Operaio Comunista Tedesco, hanno al loro attivo la lotta condotta da più di vent’anni contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e della Russia proletaria, la costante riaffermazione del carattere internazionalista del movimento operaio, la tenace difesa di queste posizioni prima e nel corso della seconda guerra mondiale, il rifiuto di ogni forma di collaborazione di classe, la denuncia del contenuto controrivoluzionario della parola d’ondine della nazionalizzazione e l’analisi dell’evoluzione in senso totalitario del capitalismo imperialista: ma si direbbe che la storia delle sconfitte proletarie e, in particolare, il fallimento della rivoluzione russa abbiano esasperato il fondo volontaristico, democratico, anarchicheggiante di una ideologia che già nel 1918-21 si era contrapposta all’impostazione programmatica e tattica della III Internazionale. L’opposizione spartachista alle forme più avanzate dell’evoluzione capitalistica - totalitarismo, capitalismo di Stato, nazionalizzazioni ecc. - e a quella particolare sua filiazione che è il regime russo nato dalla degenerazione della rivoluzione di ottobre non nasce infatti da una analisi della struttura interna del regime di produzione, dei rapporti di forza fra le classi che in esso si sono stabiliti ecc., ma da una postulazione di ordine generale e permanente: la rivendicazione della libertà e della democrazia contro regimi spietatamente accentratori, monopolistici e totalitari. Alla concezione materialistica del socialismo come regime di produzione fondato sull’abolizione del profitto, sulla gestione collettiva dei mezzi di produzione e sulla soddisfazione dei bisogni umani, i comunisti di Spartaco sostituiscono la versione idealistica - non molto dissimile da quella degli anarchici - del controllo democratico dei fattori produttivi da parte della classe operaia. All’interpretazione marxista della parabola degenerativa della rivoluzione russa come prodotto storico della dinamica dei rapporti di forza tra le classi in una determinata fase dello sviluppo internazionale della lotta fra proletariato e borghesia, essi sostituiscono l’interpretazione idealistica, di una sua derivazione causale dalla legge immutabile ed eterna che “il potere significa dominazione, e la dominazione porta al privilegio, alla formazione di nuove classi e allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, da cui deriva la negazione del partito e una concezione della dittatura del proletariato che, escludendo il partito ed escludendo lo Stato, dissolve essa dittatura - esattamente come nel pensiero anarchico - nell’avvenuta realizzazione della società senza classi.

Dunque, niente partito come arma di guida del proletariato nella preparazione e realizzazione dell’assalto rivoluzionario al potere. Sul Partito grava, per i comunisti dello “Spartakusbund” una specie di peccato originale che lo condanna irrevocabilmente alla degenerazione, alla sete di potere, allo schiavismo - peccato originale da cui sarebbero invece per vocazione ultrastorica esenti le masse e, in essa, gli individui.

Nessun partito, nessun comando può portare emancipazione; solo la massa della classe lavoratrice lo può. A questo fine si richiedono una più ampia conoscenza e una coscienza più matura da parte dei lavoratori, maturità che è data dall’esperienza pratica delle masse.
Il compito del Movimento di Spartaco è solo di dare aiuto e chiarificazione, consigli e orientamento.

Non dunque organo di direzione della lotta proletaria, ma ufficio-informazioni e assistenza: questo è la Lega di Spartaco. E non vale la considerazione marxista che le masse lavoratrici nella loro immediatezza e generalità, per il fatto stesso che subiscono lo sfruttamento economico della classe avversa, ne riflettono anche le ideologie e, come non riescono ad emanciparsi sul terreno dei rapporti di dipendenza economica, così non si emancipano sul terreno della coscienza finché non siano capovolte le basi del regime di produzione e di distribuzione. Nelle masse, per i comunisti dei Consigli, è immanente una coscienza intemporale dei loro interessi ultimi o, se non c’è, vi supplisce... l’esperienza bruta, aleatoria, non organizzata.

Niente partito e niente Stato dopo la distruzione del regime capitalista:

le varie tendenze e i diversi orientamenti della democrazia operaia discuteranno in congressi democraticamente eletti tutte le questioni e prenderanno decisioni in rapporto alla loro forza relativa. La minoranza accetterà il dominio della maggioranza, pur conservando piena libertà di critica.

E via di questo passo sulla via del più rancido “democratismo-puro”.

Che cosa sostituisce Spartaco al partito? I Consigli operai. Ma, anche qui, la scelta è determinata unicamente da criteri idealistici e di pura democrazia. Altri, constatato che le organizzazioni sindacali sono oggi preda dello Stato e strumenti dell’imperialismo, potrà pensar di trovare nei Consigli operai, in una fase d’incandescenza della lotta sociale, la più efficace leva di mobilitazione delle masse (non entriamo nel merito della questione): ma, per i teorici dello Spartakus, i Consigli sono in sé e per sé, in qualunque momento storico, la organizzazione tipica della battaglia rivoluzionaria del proletariato per il solo fatto di esprimere la più pura, incontaminata e diretta delle democrazie (anche in regime capitalistico, si badi!): perché:

# sono eletti direttamente dagli operai sul posto di lavoro;
# sono controllati e soggetti a revoca in ogni momento dalle masse che li eleggono;
# comprendono tutti gli operai senza distinzione di età, sesso, credo o affiliazione politica, e siano essi membri o no delle organizzazioni sindacali;
# si estendono ben oltre gli scopi dell’organizzazione sindacale;
# non spezzettano gli operai in diverse categorie professionali, ma li uniscono in una nuova organizzazione di massa;
# non tollereranno mai una burocrazia in cui i delegati cessino di essere operai o ricevano più del salario normale dell’operaio per l’espletamento dei loro compiti.

Programma del Gruppo Spartaco

È questa l’organizzazione “perfetta” della classe operaia, e i comunisti dei Consigli procederanno a costituirla fin da oggi, convinti che la sua “essenza” medesima la premunisca dal diventar preda dell’opportunismo, della degenerazione, del funzionarismo e, insomma, della classe avversa e del suo Stato...

Siamo qui fuori del marxismo, su un terreno volontaristico, idealistico, illuministico. E a proposito, dal momento che gli “spartachisti” olandesi si appellano alla esperienza, possibile che l’esperienza dei Consigli tedeschi e russi, per citare solo questi, non dica loro proprio nulla?

La degenerazione dell’Internazionale Comunista e della Russia sovietica ha avuto fra gli altri tragici riflessi quello di rivalutare agli occhi di qualche militante di avanguardia gli “eterni principi” della democrazia diretta; qualcuno, per logica conseguenza, è finito nel materno grembo della socialdemocrazia; qualche altro è passato al limite fra democrazia ed anarchismo, sognando una rivoluzione senza partito e senza programma, affidata all’infallibile voce della “coscienza collettiva” o alla purezza di organismi, immuni per definizione dalle malattie infettive dell’ambiente capitalistico in cui sono chiamati a vivere ed operare. Gli uni sono finiti nel “concretiamo”, gli altri nell’utopia. Che sono, per un movimento rivoluzionario, entrambe due forme di liquidazione.

P. L. Tomori: "Qui succédera au Capitalisme?" (Cahiers Mensuels de Spartacus, Paris, Giugno 1947)

La sconfitta internazionale del proletariato. il fallimento delle realizzazioni dell’ottobre bolscevico, hanno seminato nelle correnti di opposizione allo stalinismo uno smarrimento che spesso si conclude o nella revisione o nell’abbandono del metodo di analisi storica marxista. Pur in una forma più letteraria che scientifica, P. L. Tomori ha invece tentato in questo pamphlet una appassionata riaffermazione del marxismo contro le dichiarazioni di invalidità o di insufficienza che hanno accompagnato sul piano ideologico il cammino tragico delle sconfitte proletarie.

Negazione, anzitutto, del carattere socialista del regime staliniano e sua caratterizzazione come capitalismo di Stato.

Un capitalismo di Stato la cui classe dirigente, detentrice privilegiata, con la proprietà statale, cioè con la quasi totalità degli strumenti di produzione, di tutte le funzioni socialmente utili ma non comportanti lavoro produttivo, è costretta, in vista di una accumulazione progressiva del capitale di Stato, a sfruttare fino al limite del possibile la forza-lavoro degli operai e dei contadini che possono vendersi soltanto ad un unico imprenditore - lo Stato, cioè la classe che lo detiene, lo sfrutta e ne trae i suoi redditi.

Negazione correlativa della tesi trotskista secondo la quale, non esistendo più in Russia proprietà privala, il regime staliniano costituirebbe tuttora, dal punto di vista economico e sociale se non da quello politico, un regime proletario; negazione d’altra parte delle teorie o pseudoteorie in cui amano sbizzarrirsi i delusi dell’esperienza russa e che caratterizzano la rivoluzione d’ottobre come rivoluzione borghese per il fatto stesso d’essersi conclusa nell’attuale regime di capitalismo di stato.

E, sbarazzato il terreno da queste prime deformazioni storiche del fenomeno russo, riconoscimento che il capitalismo di stato, il dirigismo, la tendenza alla nazionalizza, il carattere sempre più “sociale” della produzione, - tutti questi aspetti caratteristici della società d’oggi, che le varie categorie di liquidatori si affannano a presentare o come prime ed embrionali realizzazioni del socialismo (trotskismo, stalinismo) o come le manifestazioni di un nuovo regime non più capitalista ma neppur socialista, di un regime destinato a succedere a quello borghese senza essere, contrariamente alle previsioni di Marx, proletario (teoria della “rivoluzione dei managers”) - si inquadrano perfettamente nell’evoluzione prevista ed anticipata del capitalismo e nelle sue leggi di sviluppo, e non solo non escono dai limiti del sistema economico e sociale borghese ma ne sono la esasperazione e perciò la più drammatica e schiacciante conferma del marxismo, muovendosi sulla stessa linea di dialettica storica che ha portato dalla primitiva forma privatistica della produzione borghese al regime dei monopoli ed all’imperialismo, ed essendo (in tutti d Paesi del mondo - per quanto sotto forme diverse - non soltanto in Russia, ma in America, Inghilterra ecc.) l’altra faccia dell’economia di guerra e della crisi permanente come portato ultimo delle contraddizioni interne e della sovraccumulazione capitalistica e della caduta tendenziale del saggio del profitto. In altre parole, il capitalismo di Stato è il capitalismo nella sua fase di massimo declino - fase caratterizzata dalla impossibilità di risolvere le antitesi del regime di produzione borghese sul piano delle crisi cicliche e fuori di un’economia permanente di guerra e di periodica distruzione dei fattori produttivi - ; e, se porta in sé, come è nell’analisi e nella critica marxista gli elementi prefigurati di una società nuova...

questi nuovi elementi, queste nuove forme, rimangano integrati in un sistema di rapporti di dominazione e di sfruttamento capitalistici, un sistema di spinta necessaria verso la guerra, votato alla distruzione totale.

Niente “rivoluzione dei tecnici”, dunque: l’importanza economica e sociale assunta dai tecnici nel capitalismo decadente e di Stato non cambia i termini fondamentali della società capitalistica, del suo metodo di appropriazione del plusvalore: e niente...

scelta fra specie diverse di capitalismo di Stato. Bisogna scegliere fra socialismo e distruzione totale... o il socialismo o la guerra in permanenza; il socialismo o la morte [giacché, se...] per l’alto-capitalismo [termine con cui l’A. caratterizza il capitalismo della libera concorrenza e dell’iniziativa individuale] la distruzione dei capitali, unitamente al loro deprezzamento attraverso le crisi, era un espediente, una misura eccezionale, una cura straordinaria di depurazione, il basso-capitalismo non può vivere senza distruzione: la guerra è la sua ragione d’essere.

Non si tratta perciò di scegliere fra varietà diverse di un unico regime sociale: non si tratta di scegliere fra democrazia all’americana o totalitarismo alla russa o viceversa, perché gli uni e gli altri sono totalitarismo e significano guerra.

Il socialismo, che è per definizione anticapitalista, deve prendere posizione contro tutte le forme di capitalismo. Esso non può esistere che a con- dizione di essere insieme antiliberale, antifascista e antistaliniano.

Su tutti questi punti, è chiaro che non può non esserci accordo con l’A. È invece da lamentare la frequente imprecisione, la non scientificità del linguaggio, da una parte (alludiamo soprattutto al termine ambiguo di “postcapitalismo”, svuotato di ogni senso dalla stessa analisi condotta da P. L. Tornati), e, dall’altra, la frettolosità con cui è istituita una continuità storica e di fatto fra il “capitalismo di Stato” di cui parlava Lenin per caratterizzare la fase transitoria delle realizzazioni economiche postrivoluzionarie, e il capitalismo di Stato che ha trovato la sua giustificazione teorica e la sua attuazione pratica nel regime staliniano. C’è fra i gruppi di opposizione allo stalinismo una tendenza a civettare coi “dilemmi tragici di Lenin” ed a scambiarli con i dilemmi tragici della storia. È un altro aspetto della malattia contro cui ha reagito L. P. Tomori: e non c’è guarigione se non ci si sbarazza anche di quella.

Quatrième Internationale

Nella collezione di “Quatrième internationale”, giuntaci da poco e che ci ripromettiamo di considerare con maggior margine di tempo, si trovano interpretazioni veramente interessanti degli sviluppi della situazione politica nei vari paesi dei mondo.

Va a questo proposito rilevato che i trotskisti sono perennemente lanciati in un’alta strategia interpretativa e, dimentichi della natura basilare e magari elementare di ogni possibile interpretazione marxista, si affondano nelle tortuose vicende, determinate dalle necessità dei vari settori del capitalismo dominante, con una sorta di chiaroveggenza esistenzialistica atta a cementare programmi o rivendicazioni cui vada applicato il deus ex machina della quarta internazionale: il transitorio.

Costituzionalmente portati alla mediazione tra i termini contrapposti per inserirvi le loro parole d’ordine di lotta, i trotskisti negano a se stessi la possibilità di individuare l’essenziale. Per loro l’essenziale è di riuscire a porre un’azione tattica che abbia la capacità di sfruttare i singoli momenti storici e non di riuscire a individuare la genesi e la funzione dei contrasti imperialistici derivandone poi la possibilità o meno del proprio intervento.

Così, a proposito della Grecia, l’articolista di “Quatrième internazionale” (n. 6 del 1948) comincia col farci una gran tirata sul carattere dittatoriale del Governo greco, sulle brutalità dell’esercito mercenario e sulla “tensione” fra i diversi gruppi politici conservatori, allarmati dal distacco dell’opinione pubblica e preoccupati della reazione popolare alla tirannia, per poi passare ad una lacrimevole commiserazione dello scandaloso vassallaggio economico della Grecia rispetto all’America e all’esame del significato reale del Governo di Markos pedina della Russia, e dotato di un proprio motto confacente alle aspirazioni delle masse oppresse, e arrivare finalmente a piazzare le parole d’ordine e le prospettive.

E dopo aver fatto affermazioni piuttosto gratuite come quella sul fermento che la forma dittatoriale borghese provocherebbe nelle masse popolari (l’esperienza italiana, tedesca, spagnola, giapponese dimostrano visibilmente che la forma del dominio borghese si aggiorna in relazione a necessità economiche e politiche ma che il proletariato non trova maggior scintilla per la sua opposizione di classe nell’una forma piuttosto che nell’altra dell’ordinamento borghese), trae il succo e fa un ragionamento di questo genere: il partito comunista si è avvantaggiato in Grecia per l’oppressione che la borghesia esercita dittatorialmente sul proletariato e per il programma del governo Markos che si basa sulla riforma agraria, l’espropriazione delle imprese straniere e la nazionalizzazione delle grandi aziende, i tribunali del popolo, le libertà democratiche, la protezione delle minoranze nazionali e l’abolizione della monarchia.

D’altra parte l’azione del partito comunista non ha via di uscita positiva perchè esso è legato alla funzione diplomatica della Russia; e allora ecco che soccorre la magia trotskista: il compito dei rivoluzionari greci - essi dicono - sarà quello di combinare la critica del movimento di Markos, negativo per il suo carattere di strumento russo, con la impostazione di una politica “positiva” che si concreta in un appoggio critico a Markos con parole d’ordine come queste: democratizzazione dell’esercito dei partigiani; tribunali del popolo e comitati popolari eletti democraticamente dalle masse; una Grecia socialista in una federazione balcanica socialista.

E ne concludono naturalmente che se su queste parole i partigiani sapranno collegarsi con gli operai e i contadini, la prospettiva rivoluzionaria non potrà che aprirsi alla loro lotta: disinvoltura maggiore non è invero facilmente immaginabile.

Il fondamento, la natura di un movimenta, non costituisce materia di indagine da parte dei trotskisti; essi stessi dicono: il governo Markos non è che Una pedina della diplomazia sovietica; ma una considerazione di tal genere non li ferma. Anziché porsi allo smantellamento delle posizioni che quei servitori dell’imperialismo russo cercano di guadagnare nel seno del proletariato, essi ne avallano l’azione ponendo in sostanza le stesse parole d’ordine e semplicemente accompagnandole con una critica - del resto appeso accennata - alla funzione di pedina russa assunta dai partigiani greci.

Ciò che è importante stabilire è che per i trotskisti il determinino storico di Marx ha perso ogni sostanza e che essi non vanno a cercare le cause reali dei moti politici per inquadrarne la funzione rivoluzionaria o controrivoluzionaria, ma si fermano sulle parole d’ondine che vengono date a questa o a quella lotta e manovrano perché le parole medesime possano reagire positivamente - cioè rivoluzionariamente - su chi le ha tirate fuori in ubbidienza ai contrapposti fini della controrivoluzione.

In realtà questi individui seguono una sorta di volontarismo che, in quanto ammantata con frequenza di parole come rivoluzione, presa del potere ecc., esercita su minoranze di eccitati la stessa funzione deviatrice e controrivoluzionaria che già assolve il centrismo nazionalcomunista nei confronti di masse più vaste e meno ribollenti d’attivismo.

La loro fiducia nell’intermedismo, nel transitorio è già una chiara espressione della caduta nell’ideologia borghese: alla critica marxista non può sfuggire che ogni forma di intermedismo o di transizione non può essere che transizione verso il maggiore rafforzamento della classe avversa, e che a queste parole si può applicare, facendone la trasposizione adeguata, la condanna della gradualità riformista.

Quando un partito politico dà il suo appoggio a rivendicazioni come quelle di Markos, quando lo stesso partito parla di tribunali del popolo, di potere ai partigiani, contadini e operai, di elezioni democratiche et similia innestandole su quella po’ po’ di rivendicazione rivoluzionaria che è la nazionalizzazione delle grandi imprese, e puntando su una forza nata e sorretta esclusivamente per il sostegno della guerra imperialista non possiamo che rafforzarci nella nostra diagnosi di una forza intaccata irrimediabilmente dall’opportunismo, operante alla sinistra dei partiti nazionalcomunisti verso l’inevitabile risultato del frantumamento sempre maggiore della orientazione classista.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.