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Home ›I cinesi (in margine al contrasto Mosca-Pechino)
Recensione al libro di Luciano Vasconi - Ed. Azione Comune, 1964
Vorremmo dire, senza particolare acrimonia, che il limite maggiore di questo pur interessante saggio sta nell'essere scritto con una forma mentale da ex-picista giolittiano ed attuale nenniano (un inserto reca il parere appunto super-socialdemocratico e fiaccamente capitolardo di Pietro Nenni sulla liquidazione di Krusciov, la atomica cinese e la vittoria elettorale dei laburisti in Inghilterra): non che l'Autore impieghi i canoni socialdemocratici usuali, venendo in sostanza spinto da anticomunismo che fa della dittatura del proletariato e del capitalismo di Stato un sol fascio: ma indubbiamente toglie alla capacità medesima di analisi concreta, materialistica e dialettica pertanto, del libro, la sua linfa vitale ed il suo terreno medesimo di espansione proprio l'assenza di una visione complessiva della lotta di classe su piano internazionale. Certo la provenienza e la collocazione stessa del Vasconi (attuale nenniano, ed ex membro del PCI, uscitone col gruppo di A. Giolitti) giocano qui in modo tale - ma largamente prevedibile! - da escludere la impostazione corretta e storicamente valida di questa generale problematica: e le questioni che vengono via via trattate sono sottoposte allo specchio deformante di non pochi “tabù” cari all'opportunismo, come (per dirne solo due) la evitabilità della guerra pur continuando a sussistere l'imperialismo, donde “coesistenza pacifica” ecc. ecc., e la critica antistaliniana (rivolta quindi anche alla direzione attuale dell'U.R.S.S.) risolventesi quasi sempre in chiave democratica ed umanistica banale, sostanzialmente piccolo-borghese. Tale distorsione, a livello complessivo, riveste un duplice carattere, che vorremmo dire macroscopico, nel senso che si pone come immediatamente evidente a chiunque, e cioè:
- pur riconoscendo che il dibattito Cina-U.R. S.S., in un modo o nell'altro, pone sul tappeto pur mistificate questioni generali, e comporta una ridiscussione di problemi dati per morti e sepolti dall'opportunismo, quale ad es. la rivoluzione permanente (doppia rivoluzione), e pur respingendo il criterio corrente di associarsi alla... dichiarazione di morte, l'A. resta paralizzato innanzi al feticcio della coesistenza davanti alla visione di una “apocalissi nucleare” (si parla non so quante volte del... dottor Stranamore dell'insulso filmetto neo-wilsoniano);
- così negando implicitamente la rivoluzione mondiale, tirano o qua e là qualche sassata contro la violenza rivoluzionaria, e la “esportazione della rivoluzione” intesa come estensione della distruzione armata del potere capitalistico a tutto il mondo, si giunge anche nel tirare le somme ad ignorare il problema della natura di classe della Cina, della Russia e satelliti. Ed è anzi a questo proposito significativo che si continui a cita; e Isaac Deutscher, facendo magari immeritato regalo a Lev Trotsky delle contorsioni revisioniste di questo suo epigono, teorizzatore, con Michel Pablo e compagnia, della “rivoluzione politica pacifica” e simili. Ma quando si inveisce contro Bordiga con argomenti ultra-gramsciani da “bolscevizzazione”, o quando si definisce “mitica” la visione internazionale di Lenin e Trotsky sulla rivoluzione mondiale ecc. non si possono evitare simili conclusioni: e si finisce anche a criticare magari giustamente Togliatti, dicendo però che aveva “illusioni rivoluzionarie (!)”, o a fare l'apologia di Kardelj o di Nehru...
Questi vizi strutturali comprimono gravemente la stessa tessitura espositiva del lavoro, che risulta così in un certo modo acefalo, cioè decapitato della sua indispensabile introduzione (lotte del 1927 - polemica leninista della Sinistra e di Trotsky, ivi compresa la posizione di Mao rispetto al “blocco delle quattro classi” ed alla “permanenza”, ecc.), se non ci si accontenta delle poche ed inesatte righe del testo, non certo completate dagli accostamenti meramente occasionali tra rivoluzione ininterrotta” e “permanente”. Ed anche il problema centrale, verso cui l'A. fa convergere tutta la trattazione - quello della guerra - risulta privo di concretezza. A parte la accettazione delle tesi pacifistiche-utopistiche, per la mancanza di una definizione del carattere di classe dello Stato cinese, di quello “sovietico” (anche se privo di “soviet”) ecc., resta aperta una grande questione: si tratta, per l'A., di un conflitto inter-imperialistico, o di un cozzo tra un “blocco socialista” ed un “blocco imperialista”? L'A. accusa Krusciov di essere stato poco pacifista, ed i cinesi di creder di poter affrontare la guerra atomica. Per il resto, come abbiam detto, un agnosticismo sostanziale: il che non toglie che il lettore provi la sensazione fastidiosa di trovarsi (e probabilmente è così effettivamente) in presenza di una posizione più destrorsa ancora di quella del criticato P.C.I. e dei suoi padroni moscoviti: estranea comunque ad una coscienza reale di classe.
Ma, soppesate adeguatamente queste carenze basilari, il volumetto può essere assai utile, sul piano puramente informativo, specialmente per quanto riguarda gli avvenimenti più recenti, anche non registrati nei documenti ufficiali, come i vari maneggi diplomatici, e, per l'opposto, lo status per esempio delle masse cinesi (anche se si filosofeggia in modo alquanto dilettantesco sull'orientalismo). L'A., che al tempo della sua appartenenza al P.C.I. aveva criticato le “comuni” passando per anti-cinese teme ora di passare per filo-cinese, e certa di far dei “distinguo”: ma la sua posizione resta estremamente confusa: per altri versi, risulta chiaro l'uso tutto particolare che egli fa di alcuni elementi terminologici: l'“internazionalismo” per lui si misura solo nelle relazioni tra “Stati sedicenti socialisti” e fra “Partiti operai”, ma ha ben poco da fare con la solidarietà e l'unità rivoluzionaria del proletariato mondiale per l'abbattimento violento del capitalismo: nozione, questa, che gli è evidentemente estranea: come quella di “rivoluzione permanente”, anzi “doppia”, sfalsata in chiave trotskista deteriore (deutscheriana), come infine quella pur essenziale del rapporto concreto, economico, tra le “masse” ed i “dirigenti” (vedi sempre il capitalismo di Stato): tutti problemi che solo una interpretazione marxista, e quindi non basata sul rapporto “nazioni socialiste povere” e “ricche” oppure “staliniani più” o “meno”, può rendere esplicito e lampante a chi vi si accosti con serietà scientifica inscindibile dall'impegno rivoluzionario.
F. V.Prometeo
Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
Prometeo #7
III Serie - Gennaio 1965
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