Appendice - Coerenza di un metodo e di una impostazione tattico-strategica

Le analisi e le elaborazioni critiche sulla questione sindacale, svolte dal nostro partito nell’arco dl mezzo secolo, evidenziano la validità di un metodo teorico e di una impostazione strategica e tattica. Metodo e strategia che hanno trovato più di una conferma nelle vicende successive del movimento operaio e nelle manovre messe in atto dall’opportunismo socialdemocratico espresso dalle organizzazioni sindacali. Come ben dimostrano le prime nostre prese di posizione nell’immediato dopoguerra, e gli stralci di alcuni articoli che di seguito pubblichiamo, tratti da Battaglia Comunista alla fine degli anni settanta.

L’avvenuta scomparsa del Pci, in parte aggiornato e in parte rimpiazzato, e l’ampliarsi drammatico della crisi strutturale del capitalismo (all’origine del crollo degli stessi paesi pseudo-socialisti) hanno obiettivamente aperto spazi e possibilità maggiori alla propaganda e all’intervento dei comunisti rivoluzionari. Rimane però ancora in piedi il grosso ostacolo rappresentato dallo stato di confusione presente non solo nella classe operaia in generale, ma anche fra i suoi sparuti gruppi di avanguardia, così come si manifestano nel corso dei momenti di maggior tensione sociale.

E anche questa situazione conferma, purtroppo, quanto il processo di ricomposizione della classe necessiti - oltre ai condizionamenti oggettivi fondamentali - dell’intervento politico concreto e organizzato, in grado di dare un contenuto e una guida alla volontà d’azione collettiva del proletariato.

Occorre soprattutto la presenza funzionale del partito rivoluzionario, in grado di stabilire quei rapporti dialettici con la classe, che stanno alla base della azione di ritorno delle sovrastrutture ideologiche e politiche sulla struttura economica da abbattere e trasformare.

La sconfitta dell’opportunismo controrivoluzionario non sarà mai il frutto dei fallimenti dell’opportunismo medesimo, ma unicamente dell’operare del partito di classe e della sua conquista di influenza sulle avanguardie operaie, nel travaglio del movimento operaio, delle sue sconfitte e delle sue faticose rimonte. Questo significa non solo rifiutare ogni messianico attesismo, ma contemporaneamente ogni operazione di piccolo cabotaggio politico fra le masse operaie.

Il compito dei comunisti è quello di spostare in avanti quanto più possibile i contenuti delle lotte del proletariato, ovverossia i livelli di coscienza della classe. Il processo di aggregazione è attuabile con precise indicazioni tattiche, con un saldo orientamento strategico, con una propaganda costante degli obiettivi che contraddistinguono il programma del comunismo.

Contro queste caratterizzazioni esclusive non sono mai mancati - e ritornano oggi - i “ripensamenti politici” e le “ridefinizioni teoriche”; continuamente riafforano i tentativi di ricondurre il proletariato nelle gabbie strumentali e organizzative che lo tengono vincolato allo sfruttamento e all’oppressione del capitale. Ciò avviene sotto il segno mistificatore delle “scelte concrete”, invocate in contrapposizione alle “pure istanze dei principi”. (La classe che avrebbe sempre meno bisogno di “coscienza esterna”, e che produrrebbe in proprio la coscienza della sua funzione rivoluzionaria...)

E i professionisti della dialettica delle idee trovano posto, ruolo e giustificazione della loro esistenza in ogni articolazione di forme e contenuti del movimentismo sociale, plaudendo alla pluralità di “opzioni e forme organizzate nel campo rivoluzionario”. Nessuna meraviglia se da simili visioni derivino, quale unico risultato di rilievo, le più retrogade e riformistiche posizioni. Come quella recente: costruire la autorganizzazione operaia per sostenere le “battaglie referendarie sulla rappresentanza sindacale e il controllo democratico dei lavoratori su poteri sindacali e contrattazione”. Vale a dire l’ennesimo assemblaggio - mascherato da democrazia diretta - delle illusioni gradualistiche e legalitarie, con la tutela giurisdizionale del “Pretore in funzione di giudice del lavoro”, ecc. ecc.

Il deludente spettacolo di spezzoni di strutture sindacali alla deriva, e di frange della mediazione politica allo sbando, ha una sua comune regia nel tentativo di ricostruire altre organizzazioni di massa attorno a strategie basate sul solito e alternativo minestrone riformista. Quanto è accaduto e potrà ancora accadere esige la massima chiarezza nelle valutazioni di principio e nelle indicazioni pratiche. Le esperienze parasindacali, qualunque sia la buona fede che le anima, si rivelano fallimentari nella loro illuzione di una opposizione antagonistica. Illusione tanto più pericolosa in quanto, nelle istanze democratiche per un rilancio delle funzioni sindacali, si confonde e si disperde un potenziale di critica e di forze necessarie per il passaggio a forme organizzative autonome e classiste.

La ricomposizione e il rilancio della lotta di classe non potranno avvenire che col superamento del sindacato, contro le sue indicazioni e le sue strutture organizzative. Radicalmente diverse saranno infatti le strutture che si darà la classe.

La prospettiva da affrontare è quella di un rovesciamento della prassi opportunistica e il passaggio del proletariato a forme di organizzazione in rottura con i sindacati. Il problema che si pone è quindi quello di una direzione comunista di questi futuri organismi. Con ciò il partito di classe è chiamato a dimostrare, teoricamente e praticamente, la propria originalità tattica di fronte alle politiche e ai modi di intervento di altre organizzazioni e tendenze.

Obiettivi, indicazioni e attività del partito del proletariato devono sforzarsi di creare le condizioni affinché le future contrapposizioni di classe si trasformino in scontri politici per il potere secondo il programma del comunismo.

E tali lotte avranno una direzione politica comunista solo attraverso la operatività - nel corpo stesso della classe - di una avanguardia operaia organizzata.

La trasformazione del Sindacato da organo tendenzialmente di classe in organo di difesa legato allo Stato non è che un riflesso della evoluzione generale del capitalismo verso forme monopolistiche. La fase dell’imperialismo imprime necessariamente anche ai sindacati un carattere di netta dipendenza dagli organi fondamentali dello Stato borghese. Il problema che allora si pone è questo: possono gli organi sindacali, come emanazione dello Stato, ritornare alla loro funzione originaria senza il preventivo abbattimento di questo Stato?

dalla Relazione sul problema sindacale al Convegno Nazionale del P.C.Internazionalista - Torino, dicembre 1945

Le posizioni del Partito furono nel merito indirizzate a dare una risposta negativa al quesito posto, e a indicare nella organizzazione politica di operai di avanguardia, legati al programma comunista, il necessario elemento di congiunzione tra programma politico (il partito) e movimento reale delle masse operaie. Le posizioni del Partito furono nel merito indirizzate a dare una risposta negativa al quesito posto, e a indicare nella organizzazione politica di operai di avanguardia, legati al programma comunista, il necessario elemento di congiunzione tra programma politico (il partito) e movimento reale delle masse operaie.

Altri, sostenendo come immutata la natura di classe del Sindacato anche nell’era della decadenza imperialistica (perché gli operai in esso si riconoscevano ancora) oscillarono a lungo fra periodi di totale indifferentismo o di sfrenato attivismo, e fra obiettivi di riconquista del Sindacato o di costruzione di uno nuovo e più rosso.

In proposito, si presenta come una opinione del tutto personale quella di chi ha sostenuto, o sostiene, che “ai gruppi comunisti salvatisi dal disastro riformista e stalinista non rimaneva che una vita da setta”. È un punto di vista che risale a una corrente liquidazionista del Partito, che poco o nulla ha avuto a che fare con la Sinistra italiana storica e con il P.C.Internazionalista. Il quale non ha mai, fra l’altro, lanciato la parola d’ordine: “Fuori dai Sindacati”. Fu questa una delle posizioni (da estremismo infantile) del KAPD tedesco nel primo dopoguerra, quando sosteneva l’abbandono dei sindacati e la costituzione di altri sindacati rivoluzionari.

Gli internazionalisti di Battaglia Comunista e di Prometeo non hanno mai rinunciato a operare anche dentro il Sindacato quando ciò è stato possibile. Le scelte sono dipese dal fatto, del tutto indipendente dalla nostra... volontà, che un militante comunista viene sempre allontanato dall’organismo sindacale. E, spesso, discriminato sul posto di lavoro.