Contro l'imperialismo o contro l'America?

Il motto di sempre

Proletari di tutti i paesi, unitevi! è l'appello, la parola d'ordine con cui si chiude il Manifesto del 1848, scritto da Marx ed Engels su mandato della Lega dei comunisti, ed è anche l'imperativo con cui Marx nel 1864 termina l'indirizzo inaugurale dell'Associazione Internazionale degli Operai: la Prima Internazionale.

I fondatori del socialismo scientifico avevano assolutamente chiaro che, già allora, lo spartiacque cruciale, quello in ultima analisi più netto, che divideva la battaglia per il comunismo da qualsiasi altra forma di critica alla società capitalista era l'internazionalismo proletario, cioè il perseguimento da parte dei comunisti degli interessi mondiali della classe lavoratrice al di là e contro tutte le frontiere nazionali. E questo in un'epoca in cui, a detta degli stessi Marx ed Engels, le lotte anticoloniali e i movimenti di liberazione nazionale avevano ancora una funzione oggettivamente progressiva.

Sarà poi il Partito bolscevico di Lenin che, opponendosi al fronte unico guerrafondaio di reazionari e socialdemocratici, guiderà gli operai e i contadini russi fuori dal macello fratricida del conflitto imperialista. E saranno ancora i bolscevichi che nel 1919 promuoveranno la fondazione della III Internazionale; quell'Internazionale che, al momento della sua nascita, avrà come obiettivo centrale l'allargamento della rivoluzione proletaria su tutti i continenti nella prospettiva irrinunciabile del Soviet Mondiale.

Perchè irrinunciabile? Perchè l'internazionalismo proletario è da sempre il principio su cui i comunisti autentici hanno dovuto insistere di più?

I motivi sono essenzialmente due, che potremmo definire uno di natura strutturale, e l'altro di natura sovrastrutturale. Il motivo di natura strutturale è legato all'impossibiltà oggettiva della costruzione del socialismo in un solo paese, e quindi alla necessità che l'economia socialista, una volta instaurato il potere proletario in uno o più paesi, sostituisca progressivamente e velocemente il modo di produzione capitalistico su scala mondiale. Per cui ne discende la necessità dell'instaurazione a livello internazionale del potere proetario stesso.

Il motivo di natura sovrastrutturale è invece legato alla durissima lotta contro la più viscida arma ideologica dei padroni: il nazionalismo. È attraverso il veleno patriottico che la borghesia riesce a intruppare la classe lavoratrice dietro la propria bandiera - che ha sempre i colori mistificanti della patria - e impedisce così ai proletari di riconoscere l'effettiva inconciliabilità dei propri interessi con gli interessi capitalistici della propria borghesia nazionale, quando, al contrario, sono gli interessi proletari che, su scala mondiale, vanno a coincidere oltre e contro gli stati nazionali.

Le guerre di popolo contro popolo sono l'esempio più terribile di questo dominio ideologico, a cui i comunisti hanno ancora da rispondere con il motto di sempre dell'unità proletaria internazionale.

Le lotte di liberazione nazionale

Le rivoluzioni nazionali sono state lo strumento principale attraverso cui le borghesie d'Occidente hanno spazzato via i residui del sistema economico feudale in Europa e negli Stati Uniti d'America (dove la Guerra di Secessione può essere letta come l'ultima tappa di tale processo). In particolare nel periodo che va dal 1789 (Rivoluzione francese) al 1871 (Comune di Parigi) si è avuta in Europa tutta una serie di rivoluzioni democratico-borghesi grazie alle quali ogni borghesia nazionale ha potuto fondare il proprio stato moderno, mezzo indispensabile per lo sviluppo del modo di produzione capitalistico. Data la natura progressiva di queste rivoluzioni, il giudizio di Marx ed Engels su di esse fu ovviamente positivo.

Nel 1900 il quadro cambia radicalmente. Il capitalismo non si fonda più sul libero mercato ottocentesco, ma sul monopolio, e il capitalismo monopolistico produce inevitabilmente la guerra imperialista. L'Europa delle nazioni scatena il primo conflitto mondiale, che sancisce definitivamente la fine del capitalismo progressivo e l'inizio della sua fase decadente. Dal 1914 insomma capitalismo significa imperialismo.

La rivoluzione d'Ottobre dovette subito fare i conti con la questione nazionale, poichè nel 1917 esistevano ancora molte colonie ed esistevano ancora, oltre i confini delle repubbliche sovietiche, numerosi regimi semi-feudali. Lenin sostenne che a certe condizioni - prima fra tutte la presenza del Partito comunista - le lotte anti-coloniali potevano inserirsi nella strategia complessiva del movimento operaio internazionale, che allora poteva contare sulla forza trascinante e propulsiva dello stato sovietico. E per favorire la resistenza dello stato sovietico stesso, accerchiato dal cordone sanitario anticomunista, i bolscevichi ritenevano auspicabile l'alleanza temporanea con quelle borghesie nazionali che si opponevano all'imperialismo occidentale. Sbagliavano. Sbagliavano non solo per una questione di principio - dato che ormai le maglie economiche del capitalismo, come lo stesso Lenin sosteneva, dominavano ormai a livello mondiale e integravano nel sistema di dominio imperialista le residuali aree precapitalistiche - ma anche perchè nei fatti, quando quest'alleanza fu tentata, come in Turchia e in Persia, i comunisti non ne ebbero vantaggio alcuno e l'imperialismo occidentale non fu affatto indebolito (1).

Ma l'errore dei bolscevichi riguardo alla questione nazionale non è stato tanto l'appoggiare o l'assecondare quei popoli che rivendicavano l'autodeterminazione, quanto l'aver trasformato in dottrina un espediente tattico che poteva essere comprensibile - anche se scorretto - solo alla luce della situazione assolutamente particolare in cui era maturato.

Il fatto che in conclusione -- diceva Rosa Luxemburg -- la questione delle rivendicazioni e tendenze separatiste nazionali è stata gettata nel mezzo della lotta rivoluzionaria [...], ha portato il massimo disordine nei ranghi del socialismo ed ha scosso la posizione del proletariato appunto dei paesi limitrofi [alla Russia rivoluzionaria - ndr]. (2)

Alla fine della seconda guerra mondiale la situazione cambia nuovamente: si impongono due blocchi imperialisti contrapposti - USA e URSS - che dopo essersi spartiti precise aree di influenza sull'Europa, scatenano l'incandescente guerra fredda per il dominio sul mondo.

È a questo punto che gli Stati Uniti d'America diventano il nemico numero 1: non solo per gli stalinisti - come era normale che fosse - ma anche per i gruppi trotzkisti e, almeno fino agli anni '60, per Bordiga e i bordighiani. Per i gruppi trotzkisti infatti l'URSS non era un paese capitalista, ma uno stato operaio degenerato. Senza soffermarci troppo sulla questione, la conclusione di questa analisi è: non essendo l'URSS capitalista, non può essere nemmeno imperialista. Ergo, l'unico imperialismo è quello americano.

Bordiga, invece, nel dopoguerra non riusciva a sostenere che in URSS ci fosse il capitalismo di stato, e preferiva parlare di industrialismo di stato, cioè, in sostanza, un capitalismo ancora in formazione. Così, se è vero che l'URSS era un paese imperialista, quello messo in atto era comunque un imperialismo di serie B rispetto a quello di serie A degli americani! Dunque, due pesi e due misure.

Ne conseguiva che le lotte di liberazione nazionale andavano appoggiate eccome, anche se dietro di esse si nascondevano - e nemmeno troppo bene - gli interessi imperialistici dell'URSS: per i trotzkisti perchè non erano interessi imperialistici, ma interessi di un paese che, malgrado la sua degenerazione, aveva questa sana abitudine di esportare la pianificazione economica che era - di per sé - un germe di socialismo, retaggio misteriosamente sopravvissuto della Rivoluzione d'Ottobre; per Bordiga & Co. perchè, oltre a non aver perso la loro funzione progressiva, rappresentavano comunque un ostacolo all'imperialismo di serie A.

Per chi invece, come noi, ha sempre ritenuto che l'URSS fosse un paese a capitalismo di stato e imperialista, in contesa mondiale con gli USA per estendere il proprio dominio a discapito del blocco imperialista avversario, le lotte di liberazione nazionale, oltre a non essere più progressive da molto tempo, non potevano affatto sfuggire alla logica di questa contesa e rappresentavano anzi una delle forme più evidenti attraverso cui la guerra fredda si sviluppava. Se da una parte l'URSS appoggiava i fronti di liberazione in lotta con i regimi legati all'imperialismo occidentale, dall'altra...

Ogni dittatore che si opponeva all'Unione Sovietica riceveva il supporto degli USA nel caso la "democrazia borghese" avesse prodotto un regime vicino all'imperialismo russo. (4)

E allora? Non bisognava forse sostenere i proletari che si opponevano strenuamente alle terribili dittature militari o alle pseudo-democrazie made in USA? Certo, ma a maggior ragione bisognava criticare spietatamente le organizzazioni-guida e i programmi di questi movimenti, che per decenni hanno stordito - e continuano a stordire - il proletariato della periferia capitalista con l'abbaglio dello stalinismo e della nazione liberata.

Nazione e globalizzazione

Tra il 1989 e il 1991 crolla definitivamente il blocco sovietico. L'URSS si sgretola e, secondo le previsioni della borghesia internazionale, si dovrebbe aprire un periodo di pace e prosperità. Non è così: la crisi - manifestatasi all'inizio degli anni 1970 - del terzo ciclo di accumulazione capitalistico apertosi con la fine della seconda guerra mondiale, si allarga e si approfondisce, e dopo aver causato la fine dell'obsoleto sistema-URSS, si abbatte ora con evidente violenza sui paesi occidentali. Esplodono guerre in continuazione: dal Golfo Persico alla Yugoslavia, dalla Cecenia alla Palestina, il capitalismo non dà pace.

Gli USA intervengono ovunque: forti soprattutto della loro assoluta supremazia militare, gli Stati Uniti possono oggi mettere mano in ogni luogo del pianeta per difendere, consolidare, allargare il proprio dominio imperialista.

Ora, l'aumento di ingerenza dell'imperialismo USA è andato più o meno di pari passo con l'aumento della cosiddetta globalizzazione, cioè la creazione di un mercato mondiale, senza frontiere, entro il quale il capitale delle multinazionali, e in particolare il capitale finanziario, può muoversi con libertà quasi assoluta. Per cui, tenendo conto del fatto che gli strumenti più potenti di ingerenza politica ed economica della globalizzazione - come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale - sono gestiti e controllati soprattutto dagli USA e in parte da un'Europa che è comunque sotto l'egida statunitense, agli occhi di molti la questione appare piuttosto semplice: imperialismo USA = globalizzazione = anti-nazione.

Se allora si vuole fermare l'imperialismo - che è come dire l'imperialismo USA - e al contempo opporsi alla globalizzazione, foriera di un capitalismo selvaggio e feroce, bisogna recuperare la nazione, soprattutto quando essa è aggredita direttamente dalla forza militare imperialista. Viva la Serbia dunque, viva i Tupamaros e le FARC, viva la Palestina e il popolo arabo (Israele è cane da guardia degli USA); viva anche la Cecenia? No, perchè la guerra cecena indebolisce la Russia... e questo favorisce gli americani!

L'inter-nazionalismo patriottico contro l'internazionalismo proletario

Non sorprende allora che certi rottami del neofascismo anti-americano riaffiorino ora dalla merda e allarghino le braccia verso una certa sinistra sempre meno classista e sempre più nazionalista. Interessante in proposito è la presenza al Campo antimperialista organizzato questa estate da Voce Operaia di una delegazione di Comunitarismo, gruppo italiano legato al Partito Comunitario Nazional-europeo: fascisti di sinistra a cui piace Lenin e Mussolini. D'altronde secondo Voce Operaia:

così come tanti ex-compagni si sono messi al servizio della borghesia, è ammissibile, anzi auspicabile, che avvenga il processo inverso, soprattutto tra i giovani proletari che oggi militano tra le file dell'estrema destra fascista e razzista.

Risposta su internet a Umanità Nova

Effettivamente, da certa destra a certa sinistra il passo è sempre più breve: perchè non discutere per tentare di chiarirsi?

Interessante è anche l'appello lanciato dal Fronte Nazionale di Adriano Tilgher a Che Fare:

... a Che Fare, che presta attenzione alle tesi del nostro giornale, rivolgiamo un doppio invito a fare. L'uno è di non ritenere la nostra posizione - socialista nazional-europea - "interclassista", ma di superamento delle classi. L'altro è di cogliere l'occasione di una certa comprovata comunicabilità [...] per immaginare percorsi contingentemente unitari.

Che Fare, sul numero 53 di settembre-ottobre 2000, ha dedicato una pagina alla risposta.

È fuori discussione, per noi, -- si dice -- che con formazioni politiche come quelle che fanno capo a Rinascita [giornale del Fronte Nazionale - ndr] non c'è niente che un'organizzazione comunista come la nostra possa "ideare insieme", o fare insieme, neppure contingentemente.

Bene. Ma vediamo oltre:

Diverso è il caso di manifestazioni in cui, a stretto toccarsi di gomito, possano trovarsi fisicamente assieme individui e militanti anche diametralmente opposti tra loro per ideologia e indirizzi. In questo caso noi non ci opponiamo al fatto della mescolanza, ma lavoriamo a dar battaglia [...]. Noi siamo entrati nelle manifestazioni anti-Nato (ed anti-governo nazionale, giova ricordarlo) della Lega in tutta chiarezza agendo esattamente in questa direzione.

E verso la chiusura:

... noi non siamo interessati a dividere le energie di lotta in campo, ma a catalizzarle al programma ed all'organizzazione comunista.

Cosa? Quale manifestazione potrebbe vedere gomito a gomito comunisti internazonalisti e patrioti europei di sinistra? Un corteo contro la Nato a difesa di una nazione europea o araba aggredita forse, ma non certo un corteo che si richiama - anche confusamente - all'internazionalismo di classe e che rifiuta di schierarsi con i fronti borghesi che partecipano alla guerra. Le manifestazioni anti-Nato della Lega sono appunto un esempio di anti-americanismo di stampo reazionario con cui i comunisti non hanno nulla da spartire, indipendentemente dalla presenza di proletari nel corteo! Non bisogna dividere le energie di lotta in campo? Ma sono energie di lotta che cozzano - o dovrebbero cozzare - l'una contro l'altra!

Al di là di questi episodi che riguardano singole organizzazioni, da più parti, negli ambienti magmatici della sedicente sinistra antagonista, che vanno dall'ala movimentista di Rifondazione comunista alle Tute bianche, passando per una "Autonomia di classe" quanto mai frantumata ed eterogenea, si sente sempre più spesso parlare di Impero. Sì. Non ci sarebbe più l'imperialismo, che presuppone la presenza di interessi imperialistici contrapposti, indipendentemente dal fatto che una delle forze imperialiste sia - momentaneamente - dominante, ma un unico, grande Impero. C'è bisogno di dire quale nazione lo incarna? Dunque, una volta di più, tutto ciò che va contro questa strategia imperiale, è benvenuto.

Utilizzando un termine coniato da quelli di Indipendenza, la rivista "nazionalitaria" che tra l'altro ha visto partecipare ultimamente uno dei suoi intellettuali di punta, Costanzo Preve, ad una conferenza sulla Nato di Contropiani (area Tute bianche), definiremmo questa nuova idea di lotta antimperiale inter-nazionalismo. Quel trattino sta a significare che bisogna dare massima solidarietà a tutte le lotte di liberazione nazionale di questo mondo (eccetto quelle che indeboliscono i nemici dell'Impero!) per creare tante nuove frontiere che impediscano alla globalizzazione imperiale e alla oppressione straniera ad essa legata, di dilagare. Certo, nella prospettiva che queste nazioni si diano in futuro un impianto socialisteggiante.

Dalla Colombia al Chiapas, dalla Palestina al Kurdistan, tante patrie libere e rosse... e viceversa

Noi non siamo d'accordo. Noi riteniamo che questo inter-nazionalismo di stampo patriottico sia assolutamente agli antipodi dell'internazionalismo proletario. Noi pensiamo che tutte queste pestifere scorie nazionaliste rappresentino solo un gigantesco ostacolo sulla strada della maturazione classista e internazionalista del proletariato mondiale. L'imperialismo americano è ora come ora quello dominante in senso assoluto? Questo non vuol dire né che sia arginabile con le lotte di liberazione nazionale, né che sia l'unico imperialismo vigente, e l'imperialismo straccione e regionale di nazioni "anti-americane" come Iraq e Serbia non ci pare affatto progressivo per le sorti mondiali della classe lavoratrice. Indifferentismo? Noi lo chiamiamo internazionalismo proletario.

Non solo. Il profilarsi all'orizzonte di un blocco imperialista europeo o anche euro-asiatico in contrapposizione a quello americano non è più solo una fantasia dei fascisti di sinistra, ma un'ipotesi realistica di quelli che potrebbero essere i futuri equilibri geopolitici. Qualcuno forse ha già una mezza intenzione di schierarsi con il blocco più debole o con quello meno reazionario? Kautsky docet.

Giacomo Scalfari

(1) In proposito si veda il paragrafo Leninismo? dell'articolo Guerra e politica rivoluzionaria, Prometeo 17 - serie V - giugno 1999.

(2) R. Luxemburg: La rivoluzione russa - edizioni Prometeo, marzo 2000 - pag.17 3. Timor est pedina dell'imperialismo - Prometeo 18, serie V, dicembre 1999 - pag. 16.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.