La disdetta americana del trattato di Kyoto - L'Europa contro Bush. Ma l'ecologia c'entra poco

Per prima cosa gli interessi dell'America vengono prima di tutto. Con questa frase, in quell'inglese dalla sintassi alla Di Pietro che gli è propria, il presidente Bush ha liquidato gli accordi di Kyoto del 1997 che prevedevano una graduale riduzione delle immissioni di gas nocivi nell'ambiente. Quasi certamente si è trattato di un atto dovuto alle lobby petrolifere statunitensi che ne avevano finanziato la campagna elettorale con un contributo pari a ben 70 miliardi di lire contro i 6 dati a Gore e alle lobby industriali, in particolare modo le compagnie elettriche californiane alle prese con una crisi energetica che non consente di andare tanto per il sottile. Si, è vero gli Usa sono anche questo: il paese in cui più di ogni altro la dipendenza del potere politico da quello economico è sotto gli occhi di tutti e non fa scandalo che un presidente venga da esso così massicciamente finanziato. Vi erano, però, mille altri modi per accontentare le varie lobby senza ricorrere a un voltafaccia così plateale da provocare la reazione di tutti i governi che quell'accordo avevano sottoscritto e in particolare di quelli europei in molti dei quali la componente politica ambientalista è piuttosto consistente. In realtà sin dal suo insediamento, Bush si è mosso in modo quasi provocatorio e non ha perso occasione per fare intendere a chiare lettere chi comanda sulla faccia della terra. Ha ripreso senza nessuna reale necessità militare i bombardamenti sull'Iraq; ha dato esplicito appoggio all'israeliano Sharon rendendo così più esigui i margini di trattativa con Arafat per il raggiungimento anche solo di una parvenza di accordo che potesse servire a raffreddare la tensione nell'area mediorientale; ha rilanciato il progetto dello scudo spaziale e così via. Ora, sicuramente, per ognuna di queste decisioni non mancano motivazioni legate alla lotta politica interna e al fatto che Bush, a causa dello scarso consenso elettorale, è una sorta di re Travicello più che mai in balia dei poteri forti che ne hanno sostenuto l'elezione, ma non si può non rilevare che tutte assieme esse costituiscono un vero e proprio fuoco di sbarramento nei confronti del resto del mondo e in particolare di quell'Europa che, guarda caso, su ognuna di queste questioni ha posizioni alquanto diverse. E la reazione europea non si è fatta attendere. Il voltafaccia sugli accordi di Kyoto è stato come la famosa goccia che fa traboccare il vaso, un vero pugno in un occhio sferrato a sangue freddo. " Se si vuole essere leader mondiali - ha replicato senza mezzi termini Romano Prodi - bisogna sapersi far carico del bene di tutta la terra e non solo dell'industria americana." Come se a parlare non fosse il rappresentante di una potenza industriale che in fatto di inquinamento ambientale è seconda, appunto, solo agli Usa e in quanto al farsi carico del bene della terra è meglio non parlarne visto come ha ridotto i fiumi, i mari e l'aria di casa propria. Ora, si sa, fra sporcaccioni, normalmente, ci si intende e anche il contenzioso fra Stati Uniti ed Europa, se avesse riguardato solo gli accordi di Kyoto, non avrebbe dato luogo a reazioni così dure. Ma il fatto è che esso è l'espressione di un contrasto di interessi più sostanziosi che i venti della crisi economica stanno inasprendo.

Gli Stati Uniti per evitare che l'ormai incombente recessione si trasformi in una vera e propria depressione hanno bisogno di ridurre drasticamente i tassi di interessi portandoli a livelli prossimi allo zero. Una simile manovra, però, senza una corrispondente riduzione dei tassi europei rischia di bloccare il flusso di capitali provenienti dall'estero con cui gli Stati Uniti finanziano il loro gigantesco debito sia privato sia pubblico e i cui titoli sono in gran parte nelle mani di sottoscrittori esteri e su cui lucrano gran parte della loro rendita finanziaria. Si tratta di un flusso di capitali pari ai due terzi del surplus del risparmio del resto del mondo per cui una sua consistente flessione o un suo riorientamento verso mercati diversi da quello statunitense avrebbe grosse ripercussioni sui mercati finanziari di tutto il mondo e di conseguenza sui processi di appropriazione e spartizione della rendita finanziaria. La domanda interna statunitense, già fortemente indebolita dalla crisi di Wall Street, potrebbe subire un vero e proprio tracollo e, a catena, anche quella di tutti i paesi che direttamente o indirettamente ruotano nell'orbita del dollaro. Anche per l'Europa ci potrebbero essere pesanti ripercussioni; ma una riduzione dei tassi di interesse nella misura auspicata dagli Stati Uniti, indebolendo ulteriormente l'euro, non sarebbe meno pericolosa. Crescerebbero, infatti, l'inflazione e i prezzi delle materie prime. In ultima istanza, sarebbe come addossarsi una gran parte dei costi della crisi americana senza significative contropartite tanto più che ormai il 90 per cento degli scambi dei paesi europei si svolge all'interno dell'Europa stessa per cui le esportazioni verso gli Stati Uniti rivestono, nel contesto generale dell'economia europea, un ruolo abbastanza marginale.

Oggi per l'UE, da questo punto di vista, sono sicuramente più importanti i paesi dell'Europa dell'est e la Russia. Soprattutto quest'ultima, con le sue immense riserve di materie prime, a cominciare dal petrolio, e con la sua fame di beni di investimento ad alto contenuto tecnologico, costituisce un mercato molto appetibile. Per gli Stati Uniti, invece, un'eventuale saldatura degli interessi europei con quelli russi è da evitare come il fumo negli occhi per l'evidente ragione che attorno ad essa potrebbe articolarsi un blocco di interessi economico-finanziari e politico-militari in grado di contrastare la loro attuale supremazia.

La grande instabilità interna russa e il prevalere attorno al gruppo di potere facente capo a Eltsin di quei settori della borghesia più interessati alle rendite finanziarie connesse al finanziamento del debito estero denominato in dollari e all'esportazione di materie prime anch'essa in dollari, hanno costituito finora una potente barriera anti Ue. Stando però alle ultime notizie provenienti dalla Russia relative alla sostituzione di importanti ministri vicini a Eltsin, come quello della difesa, e la loro sostituzione con uomini più vicini a Putin,sem-brerebbe che i vecchi equilibri interni stiano subendo profondi mutamenti in un senso più spiccatamente filoeuropeo e comunque in modo non proprio conforme agli interessi statunitensi.

Il contenzioso sul trattato di Kyoto, che pure ha una sua valenza economica non indifferente, basti pensare che il suo rispetto da parte della Ue senza l'adesione degli Usa, costerebbe, in termini di maggiori costi industriali, alla sola Italia qualcosa come 23 mila miliardi di lire, si inserisce, dunque, nel contesto di un contrasto molto più articolato in cui la vera posta in gioco è il controllo dei processi di formazione della rendita finanziaria su scala internazionale. Stando così le cose, soprattutto se la crisi economica dovesse acuirsi, esso è destinato a inasprirsi e ad allontanare fra loro, come mai era accaduto in passato, le due sponde dell'Atlantico. D'altra parte chi semina gas vuole incendi e l'aria, almeno quella che respira il proletariato, più che pulita rischia di diventare incandescente.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.