Dalla Romania un esempio per tutti i lavoratori

La lotta degli operai della Dacia conferma alcuni punti fermi del marxismo

I fatti in sintesi; a causa del rapido rialzo dei prezzi avvenuto in seguito all’ingresso della Romania nella UE a gennaio 2007 i lavoratori metalmeccanici della Dacia-Peugeot iniziano in autunno una serie di agitazioni compatte per il recupero del potere d’acquisto dei loro salari. Quelli stessi lavoratori che nell’ultimo decennio erano stati ridotti da 27 a 16 mila al momento dell’acquisto da parte del gruppo Peugeot in quella che era stata vantata da padroni e sindacati come esempio di ristrutturazione “morbida” e senza conflitti grazie a scivoli, buonuscite ed incentivi vari complici le istituzioni ed il bassissimo prezzo della forza lavoro locale.

Nonostante gli inviti del governo alla moderazione salariale per non compromettere la compatibilità coi parametri europei e la minaccia aziendale di delocalizzare lo stabilimento in Ucraina o Marocco - paradosso solo apparente ma esplicito di un paese quale la Romania odierna ritenuto in Occidente sinonimo esso stesso di delocalizzazioni industriali - gli operai tengono duro: sanno bene che l’aumento proposto da 107 a 137 euro mensili non è affatto sufficiente a coprire l’aumento dei prezzi sempre più “occidentali” degli affitti e dei beni di prima necessità. Sanno altrettanto bene che Peugeot ha investito quasi un miliardo di euro negli ultimi anni nei loro stabilimenti - rendendoli oltretutto i più profittevoli di tutto il gruppo - e ben difficilmente può rinunciarvi. Oltretutto il basso tasso di disoccupazione ( dovuto alla massiccia emigrazione all’estero, stimata in circa 2 milioni di persone ) non permette neppure all’azienda di ricorrere tanto facilmente a manodopera locale, comunque da formare.

Pertanto gli scioperi in primavera si susseguono, scavalcando anche il sindacato costretto come sempre a rincorrere il malcontento operaio. Nonostante sindacati-stato-azienda trovino un accordo per un aumento di 82 euro mensili, invece dei 30 iniziali, i lavoratori riuniti in assemblea il 9 aprile rifiutano l’accordo e votano per la prosecuzione dello sciopero.

Si crea una catena di solidarietà, anche internazionale: il sindacato delle Poste offre 11 mila euro alla cassa di resistenza, 2mila li mettono gli operai dello stabilimento francese di Cleon dello stesso gruppo Renault, altri 10 mila li raccoglie il sindacato Cfdt sempre del colosso francese - il sindacato dell’importante industria petrolifera esprime la propria solidarietà agli scioperanti ben conscio che la posta in palio non riguardo certo solo una categoria. Sul carro degli opportunisti non può non salire anche il partito socialdemocratico con una scontata mozione in sede di Parlamento europeo. Dopo un’imponente manifestazione di piazza si arriva - l’11/4 - all’accordo definitivo per un aumento di 99 euro, dopodichè riprende il lavoro. Mentre nelle settimane successive altri scioperi iniziano nell’indotto con le medesime richieste.

Tutto ciò conferma ampiamente quanto il marxismo sostiene da un secolo e mezzo: la lotta di classe è un fenomeno insopprimibile fintanto che esistono mercato, salari e capitale, ed il mercato stesso è una realtà unica e mondiale. In Egitto poco tempo prima i lavoratori del tessile avevano rivendicato e parzialmente ottenuto aumenti dei loro bassi salari scendono in strada con lo slogan “Non vogliamo essere schiavi del Fondo Monetario”. Dove la classe riesce a muoversi, anche in virtù della sopraccitate condizioni favorevoli, ed a muoversi in modo compatto estendendo le proprie lotte è anche in grado di difendersi con efficacia o quantomeno di limitare gli attacchi del padronato alle sue condizioni di vita.

Fatalismo e rassegnazione non appartengono certo all’arsenale del movimento operaio. Solo la lotta paga e chi non lotta è sconfitto in partenza e di sicuro.

Palese è anche - lo abbiamo già detto un sacco di volte e non merita altro spazio ora - il ruolo del sindacato come pompiere e sbirro. Alla Fiat, come alla VolksWagen, alla Skoda, od alla Peugeot.

Sappiamo bene che in Occidente il processo di ricomposizione della classe è ancora in corso, fatto da cui derivano le difficoltà a muoversi, ma il percorso è obbligato. Sappiamo altrettanto bene che qualsiasi conquista sul piano del salario e delle normative, per quanto importante e sudata, può essere vanificata dal Capitale in tempi anche brevi e l’attualità del movimento operaio occidentale è lì a testimoniarlo ogni giorno in migliaia di esempi. Le lotte però sono fondamentali, anzi indispensabili, perché servono ad educare il movimento operaio selezionandone allo stesso tempo le avanguardie; le quali organizzandosi in partito possono e devono tendere al programma ed ai principi del comunismo quale meta inderogabile della lotta di classe che abolisca salario, mercato e capitale.

Senza la quale abolizione non c’è nessuna possibilità concreta di emancipazione umana duratura. Non abbiamo notizie, nello specifico, sulla presenza attiva di minoranze rivoluzionarie collegate a queste lotte, ma proprio per questo è necessario estenderne il più possibile la conoscenza e la riflessione a tutti i sinceri rivoluzionari.

ds

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.