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Home ›Come “salvare l’Italia”...
Ecco qualche esempio della “nuova cultura politica” che in versione nazional-popolare viene somministrata da personaggi e gruppi che si etichettano come “nuova sinistra” (il variegato mondo politico borghese ne abbonda). Si presentano evanescenti abbozzi di una pretesa analisi economica del presente stato di cose e ci si appella a una “corretta politica proletaria, non avventurista o populista”, la quale imporrebbe bilanci pubblici che restino “nei ragionevoli limiti di spesa cercando nel contempo di ridurre il debito”. Rigoroso rispetto delle statali “entrate e uscite”, quindi, con la smargiassata finale del debito da far eventualmente pagare “a chi lo ha creato, cioè a borghesia industriale, commerciale e bancaria, alti burocrati pubblici e privati, ricorrendo ad una lotta spietata a corruzione, evasione e privilegi di sorta”. Naturalmente da parte di un governo parlamentare di maggioranza, con una prassi rigidamente democratica e con il ricorso ad una serie di referendum ad hoc, affinché sia il popolo sovrano a decidere! Si sanerebbe così “una situazione che ci pone ogni giorno di più sull’orlo del precipizio”…
C’è poi chi, come l’esimio professore Gattei (Facoltà di Economia – Università di Bologna) il quale dipinge invece un quadro allettante delle condizioni di vita del “lavoratore medio” al quale la grande «rivoluzione salariale» degli anni 1960-1970 avrebbe fatto crescere il “reddito” (salario) permettendogli l’acquisto della prima e («caso mai»…) persino della seconda casa, oltre che di «azioni e obbligazioni sia pubbliche che private, fondi di investimento, ecc.». Quindi «salario + rendite + interessi + dividendi e addirittura profitti se nel tempo libero esercita, lui o la sua famiglia, una qualche attività in proprio». Insomma, un «benessere economico» da leccarsi i baffi; peccato che quei baffi siano cresciuti a ben pochi (“aristocrazia operaia”, si chiamava un tempo), quelli che si sarebbero fatti addirittura un «patrimonio mobiliare e immobiliare da “riccastri”»… Dopo di che il professore bacchetta le proteste (sia di pecore ripetutamente tosate e sia di lupi voraci!) ai rincari fiscali… e reclama meno tasse anche se ciò farebbe fallire le ultime illusioni del Welfare State. Non solo, ma chi perde «il suo benessere» da… salariato, poi deve finirla di pretendere «la ciambella di salvataggio delle mille istituzioni della sussidiarietà»! Conclusioni: ci sarebbe in giro troppo “malessere” ingiustificato, compreso quello dei salariati che hanno «patrimonializzato i propri risparmi sfruttando gli anni dorati della “rivoluzione dei redditi”»…
Altri, scoprendo l’acqua calda, constatano come senza un aumento dei salari (e dei salariati) la domanda e il consumo delle merci non cresce... La “sinistra” (borghese) versa allora lacrime di coccodrillo per una scarsa “distribuzione” di valore al lavoro che – sorpresa! – mette in crisi la vendita delle merci. Una concatenazione di cause-effetti-cause, la quale forma un circolo vizioso che stritola sul nascere ogni illusoria speranza di future “regolamentazioni” del tipo: controllo dei flussi finanziari internazionali; dipendenza della banca centrale dal potere esecutivo; separazione delle attività bancarie, ecc. In lontananza, l’araba fenice di un percorso di crescita equa e stabile. Attenzione: dopo l’esaltazione del privato, ora si riaffacciano i nostalgici di un sempre maggiore ruolo dello stato nel sistema, in qualità di soggetto, attore e regolatore. Capace persino – con uno sforzo di cooperazione internazionale… – di “impedire le delocalizzazioni” ossia di bloccare la mobilità dei capitali. I quali – manco a dirlo – se la ridono, anche se sempre un po’ meno… Vedi le lagnanze sugli eccessivi squilibri del sistema, dovuti – si dice – a cattive politiche di gestione all’interno della sfera finanziaria. E allora “uscire dalla crisi” sarebbe il suggerimento dell’abbandono dell’euro, il ristabilimento di un tasso di “cambio reale” e così (?) “aggiustare il valore dei debiti all’estero”. Basta austerità e in alto i redditi!
Sono questi i pensieri anche di alcuni “dinamici” economisti (fior di accademici in prima fila!), che aggiungerebbero il desiderio di una svalutazione (intorno al 25%) per recuperare competitività. Sempre che i prezzi delle merci non aumentino, con un mercato del lavoro che si presenta sempre più sottoposto a veri e propri assalti all’arma bianca da parte degli industriali affinché i costi (del lavoro!) siano ridotti e venga smantellato ciò che resta del Welfare State per ristabilire la “competitività del Paese e riportare in equilibrio la bilancia dei pagamenti”. Si tratterebbe di “salvare l’Italia dalla stagnazione economica”…
Ed ecco un altro esimio “pensatore”, A. Bagnai, insegnante di Politica economica all’’Università di Pescara e collaboratore con il Centro di ricerca in economia applicata alla globalizzazione dell’Università di Rouen (Francia) e con l’International Network For Economic Research di Bonn (Germania). Il quale (“in maniera molto ampia, chiara e argomentata”… si legge su Sinistra in rete) imputa le attuali difficoltà non tali «dal punto di vista economico», ma solo da quello di «ordine politico e geopolitico». Quindi sollecita «un profondo ripensamento del ruolo dello Stato nel sistema economico e un accordo a livello internazionale per una nuova regolamentazione dei mercati finanziari». Una “inversione di rotta”, dunque, dopo aver ribadito che siamo in una situazione di crisi «dovuta al debito privato». Ma per quale motivo siano in sostanza venute a mancare le condizioni per l'accumulazione (poiché di questo si tratta), ciò rimane un mistero, mentre – ancora la… “sinistra” – denuncia un “sabotaggio” degli investimenti. Si finge di ignorare che il capitale pretende un “equo” profitto dalla produzione delle merci, e che queste debbono poi avere acquirenti solvibili. Non ci sono più “aspettative di profitto” per il capitale, ovvero – come diceva Keynes – “il cavallo non beve”. Si teme allora una “stagnazione economica” secolare con l’esplosione periodica di bolle speculative in quella sfera finanziaria dove si spengono le ultime illusioni di una autoriproduzione del denaro.
Siamo al punto storico cruciale – ormai riconosciuto dagli stessi economisti borghesi – nel quale si assiste a «capitale e popolazione in eccesso», come scriveva Marx, mentre con il susseguirsi delle trasformazioni tecnologiche e quindi dell’aumento della produttività, i posti di lavoro (e di conseguenza la massa dei salari) diminuiscono in rapporto ad un aumento della popolazione terrestre. Nubi cariche di tempesta si addensano.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #07-08
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