Tra Scilla e Cariddi - Linee di conflitto interclassiste e prospettiva di classe

Abbiamo più volte espresso la nostra posizione sull'epidemia del Covid, sulle sue ricadute evidenti sulla crisi capitalistica che la precedeva e sulle politiche governative chiamate a rispondere alle urgenze maturate nella nuova situazione.

Linee di gestione ancora in corso d'opera e di progressivo adattamento allo sviluppo degli eventi, che hanno sempre avuto come punto di riferimento il vincolo degli interessi centrali della borghesia dominante, producendo pesanti ricadute sociali e una oggettiva polarizzazione degli interessi di classi e frazioni di classi.

Ciò risalta, fin dal momento del lockdown totale dei mesi di marzo e aprile, dove la preservazione degli assetti economici, ai fini della tenuta del tessuto produttivo e della concorrenza intercapitalistica, è stato l'obiettivo fondamentale perseguito su cui modulare le stesse misure generali e particolari antipandemiche.

Su questa linea possiamo iscrivere in quel periodo sia le misure sulla circolazione dei “cittadini-lavoratori”, che gli accordi sulla sicurezza sul lavoro nelle fabbriche.

Accordi, va sottolineato, che hanno avuto la duplice valenza di essere la “foglia di fico” per sterilizzare la protesta operaia degli scioperi, e riarticolare nella realtà produttiva il problema della “sicurezza sul lavoro” in una logica “minimalista”, per non creare ostacoli al mantenimento dei livelli produttivi auspicati. Logica assunta a filosofia generale, che ha dato sostanza ad ogni atto reale della compagine governativa, spalmandosi su tutti gli altri settori lavorativi e nei rapporti sociali più generali a dispetto della stessa progressione epidemica.

Non è un caso che la gestione dell'epidemia a livello pubblico abbia sempre eluso le reali motivazioni degli eventi tragici che ne hanno scadenzato i tempi, quali prodotto del sistema che ha sempre posto al centro la conservazione del profitto, riconducendone la colpa ad una mera questione di comportamenti soggettivi o di disputa politica fra schieramenti borghesi, partecipi da sempre alle stesse ricette

Settori dei servizi come la sanità e la scuola, che già erano entrati in crisi di tenuta durante il lockdown profondo, hanno non solo dimostrato la tragicità delle politiche passate, ma sulla loro stessa falsa riga si sono basati gli interventi emergenziali di “aggiustamento”, via via adottati nella fase epidemica, in una linea di sostanziale continuità con il passato, cercando solo di razionalizzare in maniera intensiva l'esistente, ben dentro le compatibilità dettate dalle esigenze del capitale, del contenimento delle spese, con le conseguenti ricadute sul fronte della salute, della sicurezza e della capacità reale di rispondere alle pressanti domande sociali.

Insomma punto e a capo.

A livello generale, le politiche di “calmieramento” messe in piedi verso i più disparati settori sociali hanno trovato il loro limite nelle pressanti necessità poste dal grande capitale, che ha visto la crisi come un elemento di opportunità per il dirottamento di risorse sempre più esclusive ai propri interessi, così come di politiche funzionali ai processi di ristrutturazione produttiva e sfruttamento intensivo della forza lavoro.

Quindi possiamo tranquillamente affermare che il sistema capitalista ad ogni passo ha messo in luce la contraddizione permanente e insanabile fra lo scopo del profitto e le condizioni della vita umana.

Nella crisi odierna, le logiche del capitale di centralizzazione delle risorse e di un maggiore sfruttamento per recuperare quote di plusvalore, mettono ai margini le stesse esigenze di tutela della salute nell'epidemia, senza per questo riuscire a dare soluzione alla propria crisi e risolvere la stessa epidemia, se non attraverso alti costi umani e sociali.

Che ciò sia ancor più vero emerge di fronte alla recrudescenza epidemica, nella odierna dichiarata volontà di porre innanzi a tutto le sorti dell'economia nazionale (del capitale).

Ciò segna ancor più di ieri, senza equivoco di sorta, il profilo programmatico centrale che nei mesi precedenti appariva mediato in una serie di misure volte a rispondere, seppure in via marginale, alle esigenze di diversi strati sociali in difficoltà.

Sul piano concreto, si è visto come la parentesi estiva “della riapertura” non è stata una inversione di tendenza, come da molti auspicato, pur rappresentando una boccata di ossigeno temporaneo per settori sociali della piccola-borghesia, anzi ha polarizzato gli interessi in campo, in particolar modo del grande capitale, con i suoi riflessi contraddittori sugli equilibri politici, e spostando il piano di mediazione sempre più intorno agli interessi stringenti del medesimo.

Le necessità prepotenti dell'economia e del grande capitale, la messa in crisi e il declassamento obiettivo di settori della media e piccola-borghesia, gli ulteriori colpi inferti al proletariato e alle classi lavoratrici, dopo l'apparente “tregua”, sono gli elementi generali che segnano le basi materiali delle contraddizioni destinate ad approfondirsi, per il ridursi degli spazi di manovra possibili, in questo momento Elementi obiettivi su cui pesa lo sviluppo epidemico e la sua gestione come fattore di accelerazione dei problemi

Il punto è, come sempre, su quale terreno di interessi e verso quale sbocco si muove la gestione della crisi.

Anche qui possiamo tranquillamente dire senza smentite di sorta che la borghesia dominante ha ampiamente sfruttato le condizioni reali dei rapporti di forza fra le classi per imporre le proprie priorità come centrali nella crisi.

Mancando una chiara alternativa di classe contrapposta, che solo poteva venire dal proletariato e dalla classe operaia in particolare, le contraddizioni che sono maturate nei rapporti sociali si sono espresse ben dentro linee di frattura tutte interne ai diversi assetti delle classi e frazioni di classe.

L' aggravarsi e il perdurare della crisi, le ricadute delle politiche governative sulla tenuta di una serie di interessi immediati, il processo di selezione di questi stessi interessi, ha visto in particolar modo settori di media e piccola borghesia farsi protagonisti principali della protesta a salvaguardia delle loro posizioni in termini apertamente regressivi.

Il maturare di spinte negazioniste o relativiste dell'epidemia del Covid, nelle diverse forme di espressione che hanno mostrato, non è stato altro che la cornice ideologica, la sovrastruttura politica di espressione cui riaffermare le proprie necessità di “libera attività e di profitto” contro ogni vincolo, anche il più elementare, che si ponesse come ostacolo a ciò. Posizioni che per inciso hanno trovato numerosi punti di contatto e assonanza con quelli del grande capitale, che ne ha riconvertito ovviamente la spinta a proprio favore.

Su questa base, sono maturate progressivamente quelle espressioni di rancore sociale aperto verso il mondo del lavoro dipendente, considerato il mondo dei “garantiti”, l'accentuarsi di spinte corporative di categorie particolari, l'egoismo sociale figlio dei processi di declassamento e frammentazione sociale, e via via sempre più giù nelle forme esasperate di espressione che prende la concorrenza di interessi interclassisti.

Gli stessi momenti di mobilitazione e ricomposizione politica di tutta questa paccottiglia, quando sono avvenuti, si sono ben collocati dentro l'orizzonte di questo sistema.

Lungi dall'esprimere chissà quale visione della società, il termometro di riferimento per la propria esistenza sono state e sono le misure governative di aperture e chiusure delle attività e delle produzioni. Su questo tipo di questione, molto materiale, si sono determinati sia i movimenti di oggettivo declassamento di questi strati sociali, di reazione a difesa dei propri interessi, che la ricerca di un peso sul terreno della mediazione di interessi, dove però i margini effettivi si sono di fatto molto, ma molto ristretti.

Dopo gli scioperi operai di marzo, che hanno rappresentato la punta avanzata di espressione spontanea della nostra classe, ciò che è risultato socialmente dominante nei rapporti reciproci fra le classi è stato il problema della ripartizione dei costi della crisi e dell'epidemia come lotta fra diversi settori sociali e dentro gli stessi, mentre sul terreno reale si affermava la tutela degli interessi del grande capitale e il piano di gestione dell'epidemia diveniva il collante rispetto cui richiamarsi ad un interesse generale che poi era, ed è, solo quello della borghesia dominante.

Abbiamo detto che il primo punto sono gli interessi capitalisti, la produzione per il profitto.

Questo è il punto centrale, senza questo non si capisce nulla, e anche la gestione sanitaria deve essere piegata a questo imperativo.

La necessità di garanzia della produzione è quello che stabilisce di conseguenza il tasso del costo sociale “accettabile” per il sistema nella sua funzione prioritaria di forza-lavoro. Costo sociale che non può andare oltre una certa soglia, pena il mettere in discussione il ruolo stesso imposto al proletariato nel sistema capitalistico.

Ecco che allora le misure di contenimento epidemico trovano il loro senso e scopo. Le politiche dei divieti, dei lockdown mirati, delle prescrizioni, dei “coprifuoco”, incapaci come sono di risolvere i problemi strutturali a cui si lega l'espandersi della pandemia, vogliono solo garantire lo status di forza-lavoro spendibile e possibilmente ricambiabile.

Il problema della salute delle classi lavoratrici si fa variabile dipendente a pieno del sistema del profitto e la prospettiva che si vuole costruire a garanzia di questo, anche nel contesto pandemico, è quella di stabilire un assetto normativo funzionale a legare la vita delle persone, secondo le leggi e le esigenze del capitalismo, al solo momento della produzione.

Da ciò si deve partire per capire la situazione.

Le stesse “risposte d'ordine” più esplicite trovano anch'esse il loro senso se inquadrate a partire dalle necessità inderogabili di questa realtà. Sicuramente, anche su questo piano non si tratta di esorcizzare il problema, ma di fissarlo come elemento facente parte di un mutamento profondo di fase che viene posto di fronte al proletariato e con cui obbligatoriamente si sarà costretti a fare i conti. Sia in termini di possibile ulteriore arretramento che di condizione inaggirabile per un avanzamento. Questione affrontata in termini pratici lì dove sono sorti movimenti generali di classe o settori di classe. Movimenti che si sono dovuti immediatamente misurare sul terreno pratico dello scontro reale con le condizioni e il terreno imposto dalla borghesia, come ad esempio negli USA, in Cile, Colombia, Libano ecc...

Al di fuori di questa considerazione che sorge dai fatti, c'è solo la “denuncia” democratica che arriva fino alla difesa della Costituzione. Piano legittimo per chi lo vuol praticare, ma che nulla ha di rivoluzionario.

Non è negando il Covid o relativizzando la sua portata che si denuncia la strumentalizzazione del “Potere”, magari finendo per attestarsi, volenti o meno, su un piano di critica tutta interna al sistema e alle sue mille variabili che offre. L'epidemia di Covid, ha una progressione e degli effetti molto “classisti”, si insinua facilmente in quegli spazi che segnano tutte le condizioni sfavorevoli delle condizioni di produzione e riproduzione sociale di vita del proletariato. Negare questo dato è criminale, a nostro avviso, è negare non solo la realtà, ma che lo sviluppo pandemico abbia strettamente a che fare con il carattere sociale e delle relazioni fra gli uomini che plasma il sistema capitalistico, accompagnandosi a braccetto con miseria e sfruttamento.

Sicuramente ciò che manca da lungo tempo, non solo da oggi, è una risposta di classe all'altezza dei problemi posti dall'offensiva del capitale e della situazione. Una risposta di ricomposizione dei suoi interessi materiali e che si rappresenti come interesse generale di classe di fronte alla controparte. La mancanza di questo dato è oggi un elemento fondante dei rapporti di forza generali, grazie al quale la borghesia può affondare il coltello come nel burro. Ovviamente, non basta evocare una “risposta” di classe perché essa si realizzi, e magari pure per come noi vogliamo. Troppi gli elementi oggettivi e soggettivi che legano il proletariato alla propria condizione di classe sfruttata e ad una posizione frazionata, dispersa e subordinata rispetto ai diversi interessi delle diverse frazioni borghesi.

Per questo vediamo come anche in questo passaggio l'espressione degli interessi materiali della classe lavoratrice, messi in discussione dalle pesanti politiche borghesi, si metta alla coda delle espressioni della piccola-borghesia che, al contrario, spera nella sua salvezza proprio nello scaricare il maggior peso dei costi economici sul proletariato.

E allora il nostro scopo come comunisti è quello di non confondere le acque, di saper vedere e dire come stanno le cose, di propagandare ed organizzare lì dove si aprono le condizioni e gli spazi politici funzionali per far marciare una prospettiva di alternativa al sistema odierno.

Sabato, October 24, 2020