Giornalai: una categoria in via di proletarizzazione

Riceviamo e pubblichiamo volentieri due note inviateci da un compagno che descrive la propria condizione, e quella di un'intera categoria, in modo spietato.
Ci viene spontaneo dire che “Pomigliano è il mondo”; il ricatto e la sovversione - capitalistica - di ogni norma e legge che fino ad oggi eravamo stati abituati a dare per scontata è prassi abituale in ogni settore e categoria.
Anche nel settore del cosiddetto “lavoro autonomo”, dove si mostra palese il rapporto di soggezione del singolo individuo agli interessi del Dio-Capitale nelle persone dei suoi tanti servi ben nutriti.
Approfittando anche dell'oggettiva difficoltà data dall'estrema frammentazione lavorativa a produrre un conflitto che non sia immediatamente ed esclusivamente individuale e pertanto facilmente gestibile. Individuo, è bene specificarlo, che nella stragrande maggioranza dei casi è “proprietario” giusto della propria forza lavoro, di quella dei familiari, dei propri risparmi o della liquidazione di chi è stato espulso dal processo produttivo o ha cercato un'alternativa “alla prigione” del lavoro salariato.
La crisi costringe il capitalismo a gettare la maschera e ad imporre la sua dittatura spietata eliminando quelle relative “libertà ed autonomia” che in teoria dovrebbero distinguere il lavoro cosiddetto “in proprio” da quello dipendente. Riducendo entrambi a manifestazioni del comune assoggettamento dell'individuo alle necessità del Profitto e del Capitale.
E perciò, dal nostro punto di vista di comunisti rivoluzionari, anche sintomo della necessità per tutti i proletari di riconoscere sé stessi come appartenenti alla medesima classe fuori e contro gli orizzonti ristretti di categoria, mansione, professione ecc.

L'attuale crisi, anche se potremo partire da più lontano, sta liquefacendo una rete di punti vendita che caratterizza da sempre il paesaggio urbano nazionale; le edicole, e sta gettando sul lastrico un'intera categoria professionale, quella dei giornalai. Parliamo di un ambiente che raramente è oggetto di attenzione e dai meccanismi e logiche ignote a chi vi è esterno.

Usualmente un edicolante è considerato un padrone, magari piccolo e di mezzi piuttosto limitati, ma comunque indipendente e ben fornito di liquidità. Si ritiene che debba solamente star seduto ad aspettare che immancabili clienti vengano a consegnargli il denaro necessario a metter insieme il pranzo con la cena; il suo, rispetto ad altri esercizi commerciali, viene ritenuto un posto sicuro al riparo delle oscillazioni di mercato che chiudono e, ormai sempre più raramente, riaprono ristoranti, tabacchi, bar ecc.

La realtà è ben diversa e già ben prima che la crisi circuitasse tutto il meccanismo che ha nell'edicola il suo ultimo anello, il parafulmine su cui scaricare l'incapacità di tutto il settore a produrre denaro. Teoricamente l'edicola è il mezzo grazie a cui le case editrici, tramite una catena di intermediari che gestiscono la merce in un regime di monopolio, smerciano quotidiani, riviste, chincaglierie varie, ricompensandole con il 19% dell'incasso. Oltre tutto viene garantito il ritiro dell'invenduto senza che esso pesi sul realizzo mensile in quanto il suo costo netto già onorato dal giornalaio-compratore viene scalato dal costo dei successivi acquisti. L'edicolante formalmente non è dipendente di alcuno, apre una partita IVA e versa autonomamente i propri contributi all'I.N.P.S.

Veniamo alla realtà e a come questa sia sottoposta a continui peggioramenti. Da sempre la voluta complessità delle bolle che accompagnano il movimento giornaliero di merce è da tale da permettere l'evasione dall'onere del fornitore di riprendersi a costo zero l'invenduto. I trucchi sono moltissimi e quando un'oculata gestione tende ad individuarne almeno una parte si ricorre ad imposizioni vere e proprie accompagnate da astiose minacce: "se non ti va bene interrompiamo le forniture e ti facciamo fallire", l'indipendenza è illusoria, l'edicola è in ostaggio dei ricatti dell'anello della catena che la sovrasta. Va detto che se il fornitore si ritenesse truffato sarebbe tenuto comunque a fornire i quotidiani ed a denunciare la controparte. Naturalmente sapendo perfettamente di stare compiendo una truffa o direttamente un'estorsione, si guarda bene da cercare un giudizio di terzi per quanto sia ovvio e abbondantemente comprovato la collusione dei borghesi magistrati con la classe dominante. Il giornalaio deve abituarsi a ritenere la propria vita dominata da un'unica, incontestabile, autorità: l'onnipotente fornitore.

Esiste un contratto che lega le varie parti del sistema ma esso, oltre a non essere rispettato da fornitori e case editrici, non è sottoposto al vaglio o anche solo alla conoscenza dei giornalai, che in genere ne ignorano il contenuto. In loro vece sono i sindacati a firmare ed approvare i periodici peggioramenti normativa esaltati nelle note informative sindacali, distribuite, ridete pure, proprio dai "padroni" tramite loro dipendenti, come eclatanti vittorie. L'adesione al sindacato di zona, nel mio caso il SI.NA.GI., costola della CGIL, viene imposta dal fornitore con l'impiego delle solite minacce vera pietra angolare del suo rapporto con i "suoi" giornalai. Il sindacato è alla dirette dipendenze del "padrone", i suoi uomini prendono ordini direttamente dal "padrone", diffondono disfattismo e sfiducia tra le file degli edicolanti, carpiscono la loro fiducia, espletano il compito di spie; gli eventuali contestatori vanno isolati, ghettizzati e denigrati. Chiunque alzi la testa ha il dubbio piacere di ricevere la visita di questi odiosi figuri i cui argomenti variano dalla minaccia della galera a più sottili forme di raggiro, cercano in sostanza di deviare la rabbia verso reazioni inutili o controproducenti in modo da stancare il ribelle di turno per poi convincerlo a più miti consigli.

Ogni settimana il giornalaio deve onorare il suo debito col fornitore, deve pagare la merce che vende in edicola. E ogni settimana va con sistema o con un altro, la cifra non corrisponde, è gonfiata e di parecchio. L'editoria non produce denaro, indi l'edicolante, l'anello debole, viene sistematicamente derubato in modo tale che non solo non gli resta un centesimo a fine mese, ma addirittura è costretto a porre mano ai risparmi, a impiegare lo stipendio della moglie o del marito, chiedere prestiti in qua e là compresi banche ed usurai. Le edicole marginali, con poca clientela oppure site vicino a centri commerciali, sono destinate a chiudere in pochi mesi. Se, successivamente, riescono a vendere, non fanno altro che consegnare su un vassoio un nuovo, sprovveduto, pollo pronto per essere spennato. Chi è costretto a ritirarsi ovviamente svende, indi non recupera quasi niente e si trova disoccupato.

Chi riesce momentaneamente a sopravvivere assorbe la clientela di chi è costretto a mollare ma non fa che aumentare i propri danni, più sta aperto e più viene derubato. Tenete conto che in caso di malattia non si lavora e quindi non si incassa; niente mutua. Le ferie, tre settimane intoccabili in teoria, dipendono dalla benevolenza del fornitore e non sono retribuite. Anticipatamente è necessario pagare la merce che si sarebbe ricevuta in caso di apertura con la promessa bugiarda che in un secondo tempo quel denaro verrebbe scalato da futuri, reali, acquisti. Una mazzetta mascherata da pagare per poter tirare il fiato. La merce, però, affluisce come sempre nei magazzini, quindi il nostro vacanziere è costretto a recarvisi e lavorare allo smistamento di questa come se effettivamente gli fosse pervenuta. Il "padrone" scarica così parte del lavoro dei suoi dipendenti sul giornalaio. Le ferie, infatti, nonostante possano essere prese in ogni momento dell'anno, in pratica sono concesse solo in agosto in modo che i giornalai possano sostituire gratuitamente i magazzinieri anch'essi in ferie.

Proponendomi di scrivervi ancora (molto c'è da dire!), vi saluto.

GC, 2010-03-27

Riprendo ed aggiorno un mio precedente intervento in un panorama caratterizzato dalla messa in vendita della stragrande maggioranza delle edicole della mia città e di due comuni limitrofi, il fornitore, ossia colui che ha il monopolio della vendita alle edicole degli articoli da loro poi smerciati, ha dato un ulteriore giro di vite. Verrà imposto contro il contratto nazionale ed in maniera illegale un contratto individuale capestro da accettare pena la chiusura forzata del punto vendita. Il giornalaio ha l'obbligo di versare duemila euro (!) a settimana pena una multa di di cinquecento euro eventualmente decisa dal fornitore il cui giudizio deve essere accettato in maniera insindacabile. Se avete presente il mio precedente scritto vi renderete conto di come una situazione già precaria venga sospinta verso il baratro.

In più si vuol rendere obbligatorio il libero accesso ai conti correnti dei giornalai da parte del fornitore in modo tale che questo possa prelevare ogni cifra in ogni momento e a sua discrezione, ovviamente per tutelarsi, a suo dire, dalle truffe di questi inaffidabili edicolanti!

Il fornitore si svincola così definitivamente dal mercato e trasforma un'attività commerciale in una rendita garantita a spese degli edicolanti. A questo punto l'estorsione ed il ricatto, usuali pratiche padronali, diverrebbero finalmente inutili, e un'intera categoria professionale verrebbe spogliata di quel che gli resta.

Il Si.Na.Gi - costola della Cgil - e paladino dei più sporchi maneggi padronali, sindacato la cui affiliazione è resa obbligatoria dalle minacce dei fornitori, per cercare di far passare questo ennesimo sopruso ha intentato un ridicolo simulacro di protesta; tenete presente qual'è il significato dello sciopero: astenersi dal lavoro ed aderire alle richieste dei lavoratori. Lo sciopero del sindacato stalinista si concretizza in una autolesionistica serrata dei giornalai, che così non incassano la giornata, e nell'appendere un manifesto anemico in cui si denunciano generiche difficoltà (create da chi? mistero!), si proclama come unico interesse la diffusione di ogni orientamento politico (padronale ovviamente!) - si badi bene nessun quotidiano è boicottato! E tanta buonista aria fritta.

Non che ci si potesse aspettare un invito al superamento del capitalismo, ma almeno la denuncia dei crimini dei padroni, delle loro odiose vessazioni! Niente!

Apatia e rassegnazione regnano tra le file dei giornalai per non parlare della loro paura alimentata ad arte dai sindacati prezzolati che vengono ricompensati da forniture vendibili ed esentati da furti.

Il contributo di altri edicolanti alla discussione è più che mai gradito.

GC, 2010-08-24

Comments

Sono un giornalaio, sono pure comunista, ma la politica e i problemi del proletariato inteso come classe dipendente da padroni con i problemi dei giornalai nn c'entra nulla.

I problemi dei giornalai derivano tutti dal reato di monopolio e di abuso di posizione dominante, perpetrato ai danni dei giornalai da parte dei distributori locali e dei sindacati dei giornalai che sono collusi con questi.

Infatti il distributore locale opera in regime di assoluto monopolio, perchè grazie al cartello che ha fatto con gli altri distributori locali si sceglie i clienti e sceglie lui la merce da inviare agli edicolanti.

Se un edicolante prova a farsi fornire da un altro distributore, quello si rifiuta. Se prova a rifiutare o non pagare la merce che gli invia il "suo" distributore, quello gli sospende del tutto le forniture, e non potendo l'edicolante essere rifornito da altri, è avviato verso il fallimento.

Gli edicolanti hanno il contratto estimatorio con gli editori che permetterebbe loro di pagare solo il venduto, ma grazie all'art.14 dell'accordo nazionale sulla vendita dei giornali, il pagamento avviene sul fornito.

Pagare sul fornito merce che decide il distributore vuol dire farsi riempire l'edicola di merce di scarsa qualità ed invendibile, tanto più che i distributori ancora percepiscono dagli editori (anche se frutto di un accordo scaduto l'1 gennaio 2009) il cosidetto bonus sulle rese, ossia una percentuale sull'invenduto che ovviamente stimola i distributori a mandare molta merce invendibile.

La soluzione ai problemi degli edicolanti è quindi tornare al contratto estimatorio, rapinatoci dai distributori nel silenzio interessato dei sindacati (perchè molti sindacalisti hanno invece ottime forniture di merce vendibilissima) e soprattutto mettere in concorrenza fra loro i distributori, cosicchè l'edicolante possa scegliere sia il fornitore che la merce.

sono una giornalaia, e tutto fuorchè di sinistra....nonostante questo il mio più profondo rispetto e considerazione per la maniera corretta e precisa in cui avete presentato il problema.Ho passato mesi cercando qualcuno della stampa alternativa disponibile a trattare e sollevare la discussione sui problemi del comparto, ottenendo unicamente la delusione di qualche "compagno"che si era reso disponibile ad accreditarmi come persona ..al corrente dei fatti. Offro la mia piena collaborazione per eventuali sviluppi e ringrazio ancora....di cuore.

Il problema edicole sul territorio è grave, su quello non vi sono dubbi, ma quello che è ancora più grave è la cecità degli editori che invece di privilegiare e investire in una rete capillare informatizzandola, preferiscono addirittura l'AUTO-concorrenza, proponendo sconti iperbolici solo per avere un portafoglio abbonati che poi gli serve per vendere la pubblicità sulle proprie pagine.

In effetti il prodotto editoriale che una volta si "vantava" di produrre cultura oggi non lo fa più, vive in funzione della pubblicità che ruba all'altro, ormai non si ragione più in quantità di copie vendute, ma di budget pubblicitario venduto dato che quello è il vero business.

In più si aggiunge la mancanza di idee editoriali che possano attirare la clientela verso il prodotto che viene venduto nelle edicole, in uno spazio che non si allarga ecco che precipitano migliaia di testate che vogliono trovare, senza criterio, spazio all'interno dell'edicola, pubblicazioni che non vedranno mai la luce perché sommersi da una magma geologico che si stratifica in edicola.

Una soluzione, forse la più semplice, sarebbe la sinergia tra produttori e venditori, ma il lavoro sinergico potrebbe tagliare parte della filiera o diminuirne il peso e quindi viene osteggiato con tutte le forze dagli altri attori della filiera

Gli editori sono ciechi infatti. Se aprissero gli occhi toglierebbero immediatamente la distribuzione ai distributori locali. Infatti il distributore locale è il SOLO responsabile della fornitura, decidendo lui QUANTO e COSA inviare e prendendo sulle rese anche bonus dagli editori che arriva al 5 per cento del valore della resa se la stessa resa è uguale o superiore al 70 per cento della fornitura, e per questo il distributore è invogliato a fornire merce invendibile. Da notare che l'accordo sul bonus delle rese è illegale dal 1 gennaio 2009 per provvedimento AGCOM, ma viene ancora seguito. Per quanto riguarda la pubblicità non vedo perchè gli editori sul PROPRIO PRODOTTO non possano vendere spazi pubblicitari e se c'e' qualcuno che non ragiona in termini di quantità di copie vendute questi sono i distributori . Infatti i distributori, che si sono appropriati del contratto estimatorio che sarebbe stato tra editori ed edicolanti, guadagnano solo sugli anticipi degli edicolanti e sul bonus delle rese. La soluzione per il bene di tutta la filiera è che l'edicolante O SCEGLIE LUI LA MERCE OPPURE PAGA SUL VENDUTO.