Bolle vaganti e nubi tempestose - Il capitalismo globale mostra segni di nervosismo

Ha ricominciato i suoi giri a vuoto il motore di una congiuntura economica che aveva fatto sperare gli economisti borghesi in una nuova era di inarrestabile sviluppo dei mercati e degli affari.

Il faro della civiltà del benessere a strisce e stelle è stato il primo a lanciare segnali d'allarme. I dati del superindice Usa (sceso dal 5,6 del II° trimestre 2000 al 2,2 del III° e all'1,4 del IV°) proseguono la loro discesa e accentuano il nervosismo della Federal Reserve. Gli annunci del "timoniere" delle finanze americane, Greenspan, raggelano il cuore e il portafoglio della borghesia internazionale: "Con questo drammatico rallentamento, siamo probabilmente vicini alla crescita zero". Avanti dunque con i crolli a catena in Borsa, i mercati col fiato grosso e gli "esperti" in stato confusionale (ne avessero azzeccata una!). Altro non rimane che il solito ribasso del tasso d'interesse e una toccatina, per scara-manzia, in quel tal posto. E nelle notti insonni risuona l'ultimo appello: "Se crolla la fiducia, sarebbe come un fiume che travolge la diga: spazzerebbe via ogni certezza ed euforia".

Il boom fin qui tanto strombazzato mostra la corda e i nodi al pettine potrebbero essere nuove cadute della Borsa, diminuzione degli investimenti delle imprese e dei consumi (già dimezzati), produttività del lavoro stazionaria e non più concorrenziale. Parola d'ordine: tagliare i costi delle imprese per recuperare redditività, "comprimere" i posti di lavoro. E gli effetti sulla classe operaia sono stati immediati: in una sola settimana sono "saltati" 150.000 posti di lavoro.

Mille sono i licenziamenti alla Montgomery Ward, 26.000 alla Daimler Chrysler che segnala altri 74.000 esuberi in aggiunta ai 75.000 della General Electric; 10.000 alla Lucent, gigante del settore hi-tech, il cui debito è qualificato dagli "esperti" a livello delle famose obbligazioni spazzatura.

L'indebitamento con l'estero supera il 20% del Pil (quasi 400 miliardi di dollari il deficit commerciale nel 2000) ed è finanziato dall'afflusso di capitali esteri, mentre il risparmio delle famiglie americane (non certo quelle proletarie) si è ridotto al 2,5%. Gli investimenti americani all'estero (finanziari e reali) hanno oggi un valore di 5.000 miliardi di dollari contro i 7.000 miliardi di investimenti stranieri in Usa: la differenza di 2.000 miliardi è garantita appena per il 4% dalle riserve valutarie americane. Una situazione ad alto rischio, ammettono tutti, dove un calo di profitti e investimenti industriali (è nel processo produttivo che ha origine il plusvalore) creerebbe una miscela esplosiva sulla quale nulla possono le manovre monetarie (in ogni caso sempre effetto e mai causa della crisi capitalista o delle sue momentanee ripresine).

Nel Nuovo Mercato la caduta dei titoli tecnologici ha letteralmente dimezzato l'indice Nasdaq, trascinando con sé tutti gli altri titoli azionari, industriali, bancari e commerciali. In termini di capi-talizzazione di borsa, nella sola America sono finiti nei cestini della carta straccia migliaia di miliardi di dollari; milioni di piccoli risparmiatori-investitori sono stati distrutti, ma il gregge delle pecore da tosare è pronto a rientrare negli appositi recinti.

Dopo la old, anche la new economy non brilla più: la Rete vende poco, ma anche la produzione di microchip e software rallenta; il mercato dei computer è stagnante mentre Internet e business non vanno più d'accordo. Inutile rinfacciare agli apprendisti stregoni del capitalismo ciò che con una modesta applicazione degli strumenti della analisi critica marxista era prevedibile; noi che lo abbiamo fatto siamo stati ancora una volta facili profeti mentre agli altri non rimane che interrogare la sfera di cristallo dove si proiettano le ombre parallele della vecchia e della nuova crisi.

Il boom dei telefonini cellulari si va estinguendo e le telecomunicazioni languono: le offerte dei servizi e le innovazioni dei prodotti si consumano in pochi mesi. Gli apparecchi si rimpic-cioliscono, si alleggeriscono, aggiungono comandi vocali e giochini sempre più...stupidi. Così un modello appena lanciato viene dopo pochi mesi superato da un altro il cui decollo sul mercato diventa però più lento. La clientela comincia a dare qualche segno di stanchezza e insofferenza, le vendite ristagnano.

Anche su Internet gli affari corrono sempre meno: molto fumo e poco arrosto, sia nelle sbandierate vendite di libri che nei portali generici. Le vendite on line (in forte calo) tornano in molti casi all'antico, cioè alle vecchie catene di offerta e distribuzione. Caso tipico quello di Amazon, il libraio on line, che anche se ha raggiunto in cinque anni un fatturato di tre miliardi di dollari, si ritrova alla fine con un deficit di oltre un miliardo di dollari e l'annuncio di 1.300 licenziamenti.

Intanto qualche altro grido di allarme comincia a circolare e riguarda gli effetti della rivoluzione tecnologica sulla qualità della vita americana: Internet avrebbe esasperato tutti i difetti già presenti, trasformato il lavoro (per chi ce l'ha) in una corsa sfibrante e in definitiva sempre meno "remunerativa", aggravando sperequazioni ed emargi-nazioni, aumenti di ricchezza per pochi e di povertà per molti. Come prevedeva il vecchio Marx, anche senza computer.

Tra le stesse file borghesi qualche solitario "pensatore" azzarda la domanda: "Siamo forse al fallimento del capitalismo?". Pronta risposta degli "esperti": questa è soltanto "carenza di capitalismo"! E il professor Robin-son, un allievo di Keynes, ricorda ai proletari che "la pena di essere sfruttati è niente in confronto a quella di non esserlo affatto per mancanza di crescita economica", cioè di sviluppo capitalistico...

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.