Una farsa che non convince più. Cresce l'astensione - Borghesi e proletari alle elezioni

In Italia, con le elezioni europee la maggioranza di governo - nonostante lo schiaffo al cavaliere e alla sua Forza Italia - ha sostanzialmente"tenuto", la opposizione si è rafforzata ma solo grazie al cospicuo successo della sua ala radicale (Verdi, PDCI e PRC), visto che la federazione ulivista ha perso voti rispetto alle precedenti elezioni sia politiche che europee. Le elezioni amministrative poi hanno visto invece un netto successo della opposizione, ma questa è un'altra storia.

Nel resto dell'Europa si è assistito a due fenomeni maggiori. Le prime esperienze elettorali dei 10 paesi appena entrati sono state caratterizzate da una massiccia, vistosa diserzione del voto. Evidentemente l'Europa stenta a decollare nella considerazione delle nuove popolazioni cosiddette europee. D'altra parte solo degli sciocchi potevano aspettarsi che i lavoratori di quei paesi, prevalentemente dell'Est, corressero entusiasti alle urne dopo essere stati avvertiti che non sarebbero stati affatto "integrati" (almeno fino al 2007). Fino ad allora chi emigra da quei paesi continuerà ad essere considerato extracomunitario. Anche le badanti, se sono "extra" costano meno.

La borghesia di quei paesi, per parte sua, ha chiesto di entrare nell'UE perché starne fuori avrebbe significato solamente restare isolata dal mercato europeo senza alcuna possibilità di integrarsi in quello che fa capo agli Usa. Ma non può certo essere considerata europeista convinta, visto che non lo è neppure la borghesia dei paesi fondatori dell'Unione, Italia compresa. Ecco il perché della contraddizione formale fra l'adesione all'UE e l'appoggio in politica estera all'egemonismo americano.

È un'ulteriore dimostrazione che l'Europa è ancora politicamente inesistente - nonostante la sua parte avanzata si sia data addirittura una moneta comune - perchéè debole, minoritaria, la "borghesia europea", la frazione di borghesia, cioè, che opera davvero e quindi pensa a scala europea.

L'altro fenomeno, politicamente più significativo delle elezioni europee, è la sconfitta dei governi, di destra o di sinistra, in carica che hanno attuato quelle politiche di (contro) riforma fatte di tagli al welfare e di attacchi alla occupazione e al salario operai, che hanno peggiorato la situazione dei lavoratori riportandola - alla faccia del progresso - a quella dei primi anni '70. Vale per il governo di centro destra in Francia, come per i governi di sinistra in Germania e Gran Bretagna.

Chi sostiene che Blair è stato punito per la sua politica bellicista, dice solo una parte e la meno rilevante della verità. Il New Labour ha subito una vistosa perdita soprattutto perché ha perso i voti dei lavoratori e di quella "società civile" che, pur nel suo essere non caratterizzata sul piano di classe, ha tuttavia reagito al disastro indotto in molti servizi pubblici (dalla sanità ai trasporti, all'assistenza) dalle privatizzazioni spinte in cui si è concretizzata la famosa "terza via". Questa era stata teorizzata a suo tempo dalle socialdemocrazie europee (PDS compreso) nel tentativo di rifondarsi dopo l'implosione e la fine della mitica Unione Sovietica. Il tentativo è riuscito molto male se il pubblico, dal lavoratore al piccolo borghese commerciante o professionista, fatica a individuare le differenze fra destra e sinistra. Anche in Italia quanti sono gli elettori che pur "turandosi il naso" hanno votato l'opposizione più per una questione di stile che non di contenuti? E perché nonostante la protervia anti-operaia del centro destra non ha provocato un suo crollo, se non perché l'opposizione tale non è - e anzi, quando era al governo (PRC compreso), ha avviato le "riforme" che ora Berlusconi & C. portano avanti?

Al di là dunque delle differenze che esistono nei risultati elettorali delle diverse sigle e aggregazioni, il dato più rilevante è il progressivo distacco delle masse lavoratrici dai processi politici realmente in atto a livello europeo. Non sono certo le vittorie e sconfitte delle sigle partitiche né il succedersi dei governi di destra, di centro e di sinistra, a dettare le linee di politica economica degli stati borghesi e del potenziale superstato europeo. Sono invece le improrogabili necessità del capitale di far fronte alla crisi del ciclo di accumulazione a imporre allo stato - che è pur sempre lo stato del capitale - quelle politiche che portino più soldi alle imprese contemporaneamente a una diminuzione del costo del lavoro e alla sua flessibilizzazione selvaggia. Sono state le stringenti necessità della "economia" a far proclamare a D'Alema, quand'era capo del governo, la fine del posto fisso, a imporre al leghista "ministro del welfare" (hanno perso anche il senso del ridicolo) la riforma delle pensioni, e al socialista Shroeder la sua "Agenda 200" che prevede tutti insieme tagli alla sanità e alla scuola, flessibilizzazione del lavoro, demolizione delle pensioni.

Il fronte borghese si compatta nel momento del bisogno per sostenere il capitale contro il lavoro.

Tanto più e meglio questo riesce se il fronte opposto del lavoro stenta a riconoscersi e a reagire.

Sicuramente per il futuro del proletariato hanno più importanza gli episodi di lotta dei tranvieri milanesi, dei lavoratori di Melfi a di quelli del metrò londinese, delle elezioni, europee o amministrative che siano.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.