Il Berlusconi bis s'appresta a tagliare le pensioni

Sulla riforma del sistema previdenziale

Il progressivo aggravamento della crisi del capitalismo e i conseguenti meccanismi di controtendenza posti in essere per tentare di arginarla mostrano in maniera drammaticamente esplicita le insanabili contraddizioni che affliggono questo modo di produzione e rendono manifesto il ruolo dei suoi attivi sostenitori, di destra e di sinistra. Abbiamo già trattato della riforma del sistema previdenziale, ma poiché l'attuazione dei decreti è rimasta in controversa eredità al governo Berlusconi bis, ritorniamo sulla questione per riassumere i termini dell'imbroglio ed esprimere qualche valutazione sull'attuale fase economica e politica.

Nei paesi a capitalismo avanzato, il dirottamento dei capitali verso la speculazione finanziaria si presenta come un'esigenza improcrastinabile per far fronte alla rovinosa caduta del saggio di profitto e alla decrescente redditività degli investimenti produttivi. La graduale imposizione della previdenza integrativa in Italia non è altro che un corri-spettivo della delocalizzazione dei capitali nei paesi dove il rapporto capitale/lavoro rende la produzione ancora conveniente e si pone come naturale prosecuzione dell'attacco frontale alle condizioni dei lavoratori, perpetrato anche sui fronti del salario, della stabilità lavorativa e della precipitosa riappropriazione delle briciole elargite durante le fasi più propizie (indipendentemente dal colore della direzione borghese: proprio il TFR fu introdotto, con il nome di "indennità di licenziamento", nel 1924 in pieno regime fascista...).

La continuità tra i governi di sinistra e di destra è anche in questo settore lampante: il primo grosso passo verso la distruzione della previdenza pubblica fu il passaggio dal sistema retributivo (calcolo a partire dalla media delle retribuzioni degli ultimi anni lavorativi) a quello contributivo (conteggio dei contributi effettivamente versati e capitale convertito in rendita sulla base di coefficienti prestabiliti) avvenuto nel '95 con il governo di centro-sinistra.

Gli ultimi ritocchi introdotti dal governo Berlusconi hanno riguardato (oltre all'innalzamento dell'età pensionabile e agli incentivi alla prosecuzione del rapporto di lavoro) l'equiparazione del trattamento dei fondi pensione chiusi e aperti e l'introduzione, con l'entusiastico placet dei sindacati, del silenzio assenso per il passaggio del TFR alla previdenza integrativa. Se infatti entro 6 mesi dall'approvazione degli appositi decreti attuativi (e successivamente entro 6 mesi dall'assunzione) il lavoratore non espliciterà alcuna scelta, il suo TFR sarà automaticamente destinato ai fondi di categoria, nella gestione dei quali si sono avventati i sindacati confederali, per mettere le mani su una torta che si aggira sui 50 miliardi di euro.

Di fronte ad un così ben concertato attacco alle condizioni di vita dei lavoratori, diventa tragicamente evidente il diabolico funzionamento del piano inclinato del Riformismo ("ciò che non è accettabile oggi, potrà esserlo domani... ") tanto nella sua anima con aspirazioni di governo, quanto nelle sue velleità radical-riformiste.

Così, se da una parte troviamo i fin troppo eloquenti titoli de L'Unità ("Allarme dei DS sui tempi tartaruga: il governo non fa nulla, previdenza complementare verso il fallimento"), nel versante del radicalismo di sinistra (Sinistra "antigovernista" di Rifondazione Comunista, sindacati di base, movimenti vari) la più o meno interessata insufficienza teorica si traduce nella totale inadeguatezza delle risposte pratiche.

L'analisi da parte di tutti questi orpelli di sinistra del capitale parte spesso da una sostanziale condivisione delle premesse economiche della riforma e da una pomposa apologia dell'interevento pubblico (si tratta degli stessi individui che propongono la nazionalizzazione di Alitalia e Fiat, "per un governo che rappresenti gli interessi dei lavoratori") per ridursi ad una critica assolutamente interna all'impalcatura ideologica dominante, che si limita a denunciare l'attuale tendenza liberista del capitalismo e sottolinea ad esempio la scarsa redditività dei fondi o le difficoltà che le piccole imprese incontreranno in conseguenza della mancanza di uno strumento di finanziamento come il TFR dei propri lavoratori!

Si scende in questo modo sul terreno privilegiato della borghesia, la quale, avendo mano libera su entrambi i pilastri della previdenza, quello pubblico e quello privato, avrà tutti gli strumenti per propagandare un'ipotetica maggiore profittabilità della previdenza integrativa, a colpi di agevolazioni fiscali, contributi obbligatori del datore di lavoro e correlativa erosione della pensione pubblica.

L'operazione è ambiziosa e complessa, data la fisiologica incompatibilità di uno strumento come il fondo pensione con una rendita previdenziale almeno decente e affidabile: basti pensare ai costi di gestione, alle commissioni di ingresso/uscita, di over-performance, di switch (per il passaggio da un fondo all'altro), ai costi di promozione e pubblicità, nonché all'incancellabile volatilità dei mercati finanziari, pericolosamente coniugata con gli atteggiamenti tra il dissimulatorio e l'opportunistico da parte degli operatori in caso di insuccesso: ad esempio, mentre il crollo delle azioni della Enron travolgeva le pensioni di 11 mila dipendenti costretti ad investire nel fondo aziendale, i dirigenti intascavano circa 1,3 miliardi di euro grazie al tempestivo esercizio delle stock options.

Ma l'assoluta mancanza di prospettiva storica e il cronico immediatismo dei vari argini di sinistra del capitale faranno miracoli e non ci stupirà il consueto progressivo ammorbidimento delle posizioni, con relativa deriva verso fondi pensione etici o gestiti dal sindacato di base di fiducia, in nome di un sano realismo.

dr

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.