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Home ›Mumbai - L'ennesima strage della barbarie capitalista
Immagine - Strage nella stazione ferroviaria
“Con l'uccisione degli ultimi terroristi, l'operazione è ufficialmente terminata”, ha annunciato Hassan Gafoor, il capo della polizia, dopo una notte combattuta fino a tardi all'hotel Taj Mahal. Duecento morti, un migliaio di feriti il bilancio umano dei tre giorni della battaglia che a Mumbai ha seguito l'attacco terrorista.
Mumbai, capitale dell'economia indiana e dello Stato di Maharashtra, è il principale teatro d'affari dell'area. Metropoli capitalista da 14 milioni di abitanti, seconda nel mondo per popolazione solo a Shanghai, aperta all'Occidente per necessità e virtù obbligata, è sede del 25% della produzione industriale, del 40% del commercio marittimo e del 70% delle transizioni finanziarie della repubblica. Allo stesso tempo è città di feroci contraddizioni, che l'espansione della crisi a quest'area porta a esplodere in scioperi e lotte operaie. Ma l'assenza di un partito politico del proletariato fa sì che questa condizione alimenti anche e soprattutto il radicalismo islamista e l'ultranazionalismo indu di Shin Sena, partito che nel Maharashtra ha una vera e propria roccaforte.
Questo attacco non è stato un fenomeno isolato, ma è solo l'ultimo atto di una escalation del terrore che dal 2004 al 2007 ha provocato in India oltre 3.600 morti, più che in Afghanistan. Quest'ultima azione del terrorismo jihadista si distingue tuttavia da ogni altra precedente, compreso l'11 Settembre 2001 americano: per la prima volta si è usciti dalla logica dell'attentato, sottolinea Il Tempo, per mettere in atto una vera e propria guerra che ha trasformato “una grande metropoli in un campo di battaglia”.
La rivendicazione e l'ambiente islamista
A rivendicare l'attentato ai media locali è stato il gruppo islamista Mujahedin del Deccan, probabilmente i già noti Indian Mujaheddin che hanno riutilizzato una vecchia sigla. Sigla particolarmente significativa nell'immaginario islamista: il Deccan, prima dell'annessione all'India, era un regno musulmano della regione dell'Hyderabad, la cui indipendenza, ricorda il Times of India, è dal 2004 la dichiarata priorità di un altro nucleo del pulviscolo islamista tra India e Pakistan, il Jaish-i-Mohammad. Il richiamo - diretto o indiretto - ad Al-Qaeda è stato immediato, anche se attualmente le “intelligence indiana, inglese, americana e russa [ne] escludono un coinvolgimento diretto” (Il Foglio, 1 /12/2008).
Penso che a Mumbai -- commenta Peter Bergen, tra i massimi esperti di terrorismo islamista -- si siano mosse organizzazioni che praticano forme di terrorismo in out-sourcing. Che di Al Qaeda richiamano il brand, condividono l'orizzonte ideale, ma non ne implicano il coinvolgimento diretto. Che, del resto, in un paese come l'India richiede un'organizzazione di cui Al Qaeda è priva.
Ripercussioni interne all'India
Vilasrao Deshmukh, il Primo Ministro del Maharashtra si è dimesso dichiarando che “se la responsabilità dell’attacco è del capo ministro, allora io voglio andarmene. Attendo la decisione del Partito”: e il suo partito è quello del Congresso, alla guida del Paese e travolto da una dura crisi a seguito di quest'attacco. Dimissionario anche il Ministro degli Interni, Shivraj Patil, che si è assunto “la responsabilità morale” dell'accaduto, rapidamente seguito dal consigliere per la Sicurezza nazionale dell'India, M.K. Narayanan.
Cavalca l'onda delle proteste di massa contro il Partito del Congresso l'organizzazione nazionalista indu Bharatiya Janata Party: “nessun governo ha il diritto di sopravvivere dopo quanto è accaduto”, sottolinea il portavoce dell'opposizione Rajeev Prataap Rudy.
Il Partito del Congresso rischia concretamente di perdere le elezioni del 2009. Un ulteriore elemento di destabilizzazione del governo viene dall'intelligence nazionale. Il governo avrebbe difatti saputo in tempo utile di questi attacchi.senza essere in grado di mettere in atto risposte adeguate.
Il Partito del Congresso dal canto suo tenta di salvare il salvabile, attraverso tre mosse: da una parte con le inevitabili dimissioni, dall'altra con l'annuncio di una nuova forza antiterrorismo in India, “una sorta di FBI Indiana” secondo la Stampa; dall'altra ancora
alzare i toni con il “colpevole” pachistano sembra essere la strategia più veloce.
Sfide diplomatiche sulla matrice dell'attentato
Una matrice pakistana degli attacchi a Mumbai è stata indicata dal primo momento dalle autorità indiane. Adoperando le prime fonti della intelligence britannica, che propendeva per l'ipotesi Al-Qaeda, The Hindu ha sostenuto l'ipotesi che le azioni terroristiche fossero state programmate in risposta ai recenti attacchi statunitensi alle aree tribali tra Afghanistan e Pakistan, nel corso dei quali sarebbero morti diversi leader, militanti e sostenitori di Al-Qaeda. Dal primo giorno i quotidiani indiani hanno sostenuto l'evidenza della complicità di islamisti pakistani, e il noto giornalista Praveen Swami ha sottolineato da subito le possibili ripercussioni sulle relazioni indo-pakistane di quest'attacco jihadista.
Secondo altri analisti le caratteristiche dell'attacco a Mumbai più che essere proprie di un gruppo terrorista sarebbero tipiche dello stile spetsnaz (le unità speciali infiltrate dall'Urss in Occidente), come se gli islamisti cioè si fossero basati su un lavoro preparatorio dei servizi segreti pakistani nell'eventualità di un confitto con l'India.
Il pakistano The Nation ha sottolineato al contrario come “lo stile degli attacchi e gli obiettivi in Mumbai” suggeriscano che i terroristi fossero musulmani indiani, “con un'agenda domestica”.
Quella pakistana non è una pista d'indagine agevole:
rischia di perdersi nel vasto reticolo di convivenze, convenienze, travasi di guerriglieri e di ideologie che animano le due regioni bollenti del Paese dei puri: l'Azad Kashmir, occupato dall'esercito pachistano sino alla Linea di controllo che lo divide da quello indiano; le aree tribali al confine con l'Afghanistan (Federally Administered Tribal Areas o Fata), le terre dei pathan (come i pashtun si chiamano oltre frontiera), territorio arcigno e montagnoso dove il governo di Islamabad ha solo un potere assai debole, per lo più sulla carta.
Giordana sul Manifesto del 30 Novembre
È evidente come al momento sia impossibile capire se l'origine degli attentati provenga dal sommovimento sociale interno all'India, dal Pakistan, da Al-Qaeda, da dinamiche interimperialistiche o se si tratti di un intreccio di molteplici elementi. Ciò che è certo è che la crisi sta espandendosi in quell'area, complicando tanto la situazione interna all'India, quanto le relazioni regionali e internazionali. Assumendo l'India una posizione centrale nella direttrice strategica statunitense - cfr. BC 11-12/08, Le architetture politiche in Asia al tempo della crisi - è posta naturalmente al centro delle tensioni interimperialistiche nella regione.
In attesa degli strumenti per analizzare le ragioni dell'attacco a Mumbai possiamo tuttavia tener conto delle conseguenze che a caldo prendono a proiettarsi sull'immediato futuro. Qualunque sia la causa i briganti imperialisti stanno utilizzando l'attacco avvenuto per la propria politica di potenza nell'area e/o a livello internazionale. A emergere al momento:
- rinnovate tensioni tra India e Pakistan
- mutamenti nell'agenda delle metropoli imperialistiche
- mutamenti negli scenari regionali
Rinnovate tensioni tra India e Pakistan
Il ministro degli Esteri indiano, Pranab Mukherjee, ha usato toni roventi contro il Pakistan agitando “gravi conseguenze” per Islamabad per il suo presunto appoggio ai terroristi. Vero o meno, le conseguenze sono al momento le stesse. Il governo indiano ha annunciato di stare valutando l'interruzione del processo di pace avviato nel 2004 col vicino.
Tra le immediate conseguenze dell'interruzione del processo di pace ci sarebbero il blocco delle comunicazioni aeree e ferroviarie e lo spostamento immediato di truppe sul confine infuocato del Kashmir. Islamabad avrebbe già comunicato a Washington di voler trasferire 100.000 militari dal confine afghano a quello indiano.
Il Pakistan dapprincipio aveva usato “toni concilianti” con il governo indiano. Il ministro degli Esteri pakistano aveva anche dichiarato la disponibilità a inviare immediatamente il capo dell'ISI (i servizi segreti pakistani) in India per contribuire alle indagini. Iniziativa bloccata dall'opinione contraria dei vertici militari. Asil Ali Zardari e Reza Gilani, presidente e premier di Islamabad incassano un duro colpo interno. Il parere negativo delle Forze armate dimostra - di fronte ad una platea internazionale - che il tentativo di mettere l'ISI sotto il controllo del Ministero degli Esteri non ha sortito risultati, e la vera leadership dei servizi segreti resta l'Esercito.
Il presidente pakistano aveva anche aperto a un accordo risolutore sul Kashmir, il cui confine è stato riaperto a ottobre per fini commerciali. È di poco precedente l'inizio degli attacchi terroristici a Mumbai l'avvio di una collaborazione tra i due Paesi proprio contro il terrorismo. Collaborazione, secondo La Stampa, che
non sembra gradita a molti, su entrambi i fronti. Non ai guerriglieri kashmiri, che ricevono appoggi da elementi dell'intelligence pachistana. Non agli indiani, assai meno di sposti a rinunciare alla contesa sul Kashmir di quanto non lo siano i pakistani. E certamente non ad Al Qaeda e ai taleban, per cui uno scontro indopachistano significherebbe la possibilità di rafforzare la loro presenza sul fronte afghano.
Come conseguenza delle reazioni all'attacco a Mumbai le relazioni tra India e Pakistan stanno precipitando di ora in ora. Secondo la tv pakistana l'India avrebbe “alzato i sistemi di sicurezza a livelli di guerra” (La Stampa, 1/12/2008). Secondo Gabriel Bertinetto le due potenze sono tornate al punto in cui si trovavano nel 2001, “cioè sull'orlo di un quarto conflitto” (l'Unità, 1/12/2008). Un conflitto nel quale “l'uso dell'arma atomica non è affatto impensabile” (Lucio Caracciolo, La Repubblica, 29/11/2008).
Mutamenti nell'agenda delle metropoli imperialistiche
L'agenda statunitense si sta riformulando a partire dalla nuova crisi regionale che si annuncia. Il Presidente eletto, B. Obama, ha ribaltato le priorità da cui partire facendo seguire la stessa crisi alle vicende asiatiche.
Wahington sta cercando al momento di contenere la campagna indiana contro il Pakistan, nel timore che un riaprirsi delle tensioni tra i due Paesi gli allontanerebbe il Pakistan, la cui collaborazione nelle zone tribali afghane è indispensabile. Il Segretario di Stato Condoleezza Rice ha annunciato una visita a New Delhi durante la quale, ufficialmente, concertare strategie di sicurezza, ma fonti diplomatiche danno per certo che la Rice abbia l'incarico di svelenire il clima tra le due potenze asiatiche.
Mutamenti negli scenari regionali
La preoccupazione americana è soprattutto focalizzata sull'Afghanistan, che dipende a doppio filo dalle relazioni nella regione - con al centro quelle indo-pakistane.
L'india ha da sempre appoggiato le politiche NATO nell'ambito della guerra, spingendo
il Pakistan a una politica di neutralità nei confronti dei talebani fuggiaschi ai quali, com'è noto, è stata concessa ospitalità. In riposta, L'India ha finanziato l'Afghanistan di Karzai ed ha addestrato dissindenti beluci e sindhi in Pakistan. In altre parole, Kabul è diventato il nuovo Kashmir, il terreno di scontro dell'infinita guerra indo-pakistana.
Caracciolo sul Manifesto del 29 Novembre
Un acuirsi delle tensioni tra i due Paesi potrebbe avere conseguenze disastrose per le strategie americane in Afghanistan. A complicare ulteriormente la questione sono anche le conseguenze indirette sulla governabilità della situazione Iraq, che già allo stato attuale richiede agli USA alleati regionali cui poter fare affidamento.
Questa situazione cade mentre il Pakistan è in un momento di estrema fragilità:
Certamente, Washington si allineerà all’India. Effettuerà pressioni sul Pakistan, perché intensifichi la lotta contro gli estremisti islamici. Ciò potrebbe far precipitare il Paese in una guerra civile ed accelerarne la “talebanizzazione”. Mai il Pakistan è stato tanto fragile. Il governo è debole e diviso. L’economia è sull’orlo del baratro. Il terrorismo islamista sta dilagando. L’esercito teme di delegittimarsi e di perdere la propria unità, qualora obbedisse al governo. Quest’ultimo, invece, ha bisogno degli aiuti americani ed è perciò più disponibile a ad attaccare Talebani e jihadisti di al Qaeda. La sua popolarità non è mai stata tanto bassa da quando non ha reagito contro i raids delle forze speciali ed i bombardamenti americani nella fascia di confine con l’Afghanistan. Al tempo stesso, mai il Pakistan è stato tanto indispensabile per il successo in Afghanistan. Gli attentati di Mumbai potrebbero, quindi, far intensificare da un lato la guerra al terrorismo, ma dall’altro renderla ancora più difficile per la destabilizzazione del Pakistan. Hanno poi aumentato il pericolo che una crisi fra India e Pakistan sfugga ad ogni controllo. Insomma, il loro impatto non sarà solo locale. Si estenderà a livello regionale. Potrebbe influire sulla strategia delle operazioni in Afghanistan.
Il Messaggero, 28/11/2008
Obama nel 2007 dichiarò che avrebbe attaccato gli obiettivi di Al-Qaeda in Pakistan “con o senza l’approvazione del governo pachistano”. Il consigliere che ha scelto Obama su questi temi è Bruce Riedel, analista Cia fino al 2006, già nella squadra di B. Clinton. Riedel è dell'opinione che il Pakistan sia “l’area più pericolosa del mondo”, e che la nuova amministrazione statunitense si concentrerà
molto più su Afghanistan e Pakistan di quanto ha fatto l’Amministrazione Bush e di quanto avrebbe fatto John McCain se avesse vinto le elezioni, perché è quello il fronte centrale della guerra contro al Qaida.
C'è in realtà una forte continuità nelle strategie che disegna la nuova squadra di governo e la stessa amministrazione Bush. Già da luglio infatti Washington annunciò il mutamento strategico nella “lotta contro il terrorismo”, con uno spostamento del confitto nelle aree tribali tra Pakistan e Afghanistan (Federally administrated tribal areas).
Di questo mutamento strategico è partecipe, secondo il Foglio, la stessa Islamabad, che avrebbe concordato i termini della nuova linea in un incontro segreto sulla portaerei Uss Abraham Lincoln.
Significative sembrerebbero in quest'ottica anche le nomine di Robert Gates (esperto della regione da quando lavorava alla CIA) come Segretario alla Difesa, e del generale David H. Petraeus, stratega della guerra d'Iraq, oggetto a Washington di amori bipartisan.
Prime considerazioni
- Chiunque le sia dietro condanniamo con forza questa brutale forma di violenza borghese, che indiscriminatamente ha ucciso, torturato, ferito centinaia di persone, e si preparava a uno sterminio ancora superiore;
- le reazioni dei briganti imperialisti confermano l'inevitabile utilizzo di ogni guerra locale, ogni azione terroristica, ogni conflitto regionale, da parte dell'imperialismo per i propri fini;
- la crisi internazionale radicalizza la violenza dei conflitti tra potenze imperialistiche e accelera la precipitazione regionale delle tensioni internazionali;
- il proletariato senza il suo partito di classe si trova in balìa delle peggiori forze borghesi, democratiche, religiose, fasciste e staliniste, vittima dell'accresciuto sfruttamento comandato dalla crisi, vittima dei tagliagola religiosi, vittima delle guerre democratiche, vittima della multiforme barbarie che il capitalismo sa offrire;
- una coerente opposizione a tutto questo non può fermarsi allora all'indignazione e all'azione contingente: la necessità di ricostruzione del partito comunista interpella direttamente tutti coloro che hanno chiaro che è il capitalismo a generare questa barbarie!
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