Alle origini dell’opposizione di Trotsky

Immagine - Stampa celebrativa di Oliver Cromwell: strumento di giustizia e rettitudine

Il 1924 fu un anno cruciale per i destini della rivoluzione russa, per la III Internazionale, e per le prospettive, non ancora sopite, della rivoluzione internazionale. La Russia dei soviet era ormai al suo settimo anno di isolamento, senza aver risolto i maggiori nodi economici e politici della sua sopravvivenza rivoluzionaria. Nel frattempo molti avvenimenti si erano sovrapposti all’esperienza dell’ottobre del 1917, limitandone prima, stravolgendone poi, obiettivi tattici e finalità.

Inevitabile, quindi, che all’interno di questo processo si generassero forze centrifughe, correnti di opinioni, nascessero opposizioni vere e proprie. Già abbiamo avuto modo di trattare quella italiana e quella tedesca (vedi Prometeo n. 2-3-4 e Battaglia Comunista n. 7-8-9), in questo caso tratteremo di quella trotskista. Benché al 1924 il processo degenerativo avesse già percorso tappe fondamentali, quell’anno appare cruciale per almeno quattro importanti motivi.

Innanzitutto la morte di Lenin. Da marxisti sappiamo che la personalità politica, anche se enorme, di un uomo, non può da sola essere preminente nella determinazione degli accadimenti all’interno di un corso storico, ma sappiamo anche come queste personalità possano esserne la migliore interpretazione sia in sede tattica che strategica, sino al punto da condizionarle potentemente. Lenin fu, sia per la rivoluzione russa che per l’esperienza del movimento rivoluzionario internazionale, una di queste grandi personalità politiche.

In quegli anni cruciali, la sua scomparsa tolse l’unico punto di riferimento politico valido, al quale il partito bolscevico ricorse o fu costretto a ricorrere nei momenti più difficili, storicamente più drammatici, quando errori, titubanze ed incertezze avrebbero potuto compromettere il cammino della stessa rivoluzione.

Contemporaneamente a quell’episodio e parallelamente all’ingigantirsi delle contraddizioni economiche e politiche che continuavano ad ergersi a barriera invalicabile per qualsiasi soluzione di tipo socialista in assenza di una ripresa rivoluzionaria del proletariato occidentale, si aprì all’interno del partito bolscevico una acerrima lotta per il potere che, se aveva avuto nell’episodio della morte di Lenin lo spunto occasionale, trovava nelle scelte di politica economica, di politica interna ed internazionale, il necessario supporto ideologico in assenza del quale, anche e soprattutto nelle fasi di rinculo rivoluzionario, nessuna battaglia politica può essere combattuta.

Il terzo episodio importante fu il V Congresso dell’Internazionale comunista. Sotto il peso delle ferite del fallimento della rivoluzione tedesca dell’ottobre 1923, il Congresso esce formalmente sbilanciato a sinistra, ridefinendo per la seconda volta i contenuti del fronte unico e del governo operaio, ridimensionando, momentaneamente, il ruolo della socialdemocrazia, divenuta nella circostanza “l’ala sinistra della borghesia”, senza peraltro rinunciare alla lotta contro le opposizioni, prima fra tutte quella della sinistra italiana, con l’imposizione della bolscevizzazione di tutti i partiti comunisti aderenti alla Terza Internazionale.

Infine il 1924 vide l’inizio della opposizione di Trotsky che, coinvolto nella lotta per la successione di Lenin, al pari delle dispute politiche sulla interpretazione della NEP come sulla politica internazionale voluta dagli organismi dirigenti dello stato sovietico, fece le prime mosse proprio a partire dal V Congresso.

Il caso Trotsky scoppia “improvvisamente” nell’ottobre del 1924 ad un anno esatto dal fallimento della rivoluzione tedesca, nella prima fase della lotta per il potere, quando a reggere le fila del partito, in un mare di problemi e di contraddizioni, era la “troika” composta da Zinoviev-Kamenev-Stalin. L’inizio della polemica, formalmente avviata dopo la pubblicazione dell’opuscolo “Le lezioni del bolscevismo”, prendeva le mosse da tutta la serie di problemi accennati.

Già al V Congresso dell’Internazionale, del quale tenne la presidenza, Trotsky andava maturando posizioni autonome rispetto alla dirigenza del partito bolscevico. Il V Congresso, proprio perché pressato dall’ingigantirsi dei problemi interni e dal fallimento degli accadimenti su scala internazionale, tentava di dare una soluzione sbrigativa all’importantissimo episodio tedesco di un anno prima, addossando tutta la colpa a Brandler e Radek, rei di non aver saputo dare la giusta interpretazione alle “giuste” direttive dell’Internazionale sulla questione della tattica, ed alle condizioni obiettive non del tutto favorevoli. Trotsky era completamente in disaccordo con la seconda formulazione e solo parzialmente concordava con la prima, nel senso che se il fallimento della rivoluzione tedesca era riconducibile ad una cattiva interpretazione tattica, questa era responsabilità di tutto il partito comunista tedesco e non soltanto di Brandler.

Perché la rivoluzione tedesca non ha portato alla vittoria? Le cause di questo debbono essere ricercate solo nella tattica e non nelle condizioni oggettive. Abbiamo qui un caso classico di una situazione rivoluzionaria mancata. Sarebbe stato possibile guidare alla lotta il proletariato tedesco solo se esso avesse potuto convincersi che questa volta la questione si poneva nettamente, che il PC era pronto a scendere in battaglia e capace di garantire la vittoria. Ma il PC eseguì la svolta senza convinzione e con un ritardo enorme. Non solo i destri ma anche i sinistri, nonostante la lotta accanita che conducevano gli uni contro gli altri, sino a settembre-ottobre considerarono con una buona dose di fatalismo il processo di sviluppo della rivoluzione. (1)

Le preoccupazioni sulla determinazione e sulle capacità di direzione del PC tedesco di fronte al maturare degli avvenimenti, erano già state espresse da Trotsky nel corso dell’estate del 1923, quando propose di smuovere il fatalismo della direzione brandleriana, affrontando decisamente la questione dell’assalto rivoluzionario. Era inevitabile che nella polemica del “dopo”, cercando di arginare il funambolismo tattico dell’Internazionale, non accettasse di fare di singoli personaggi un comodo capro espiatorio, e che non condividesse il falso ottimismo di Zinoviev e compagni sui successivi sviluppi della lotta di classe in Germania, all’indomani della pesante sconfitta.

Infatti Zinoviev, nel febbraio del 1924, in una serie di articoli apparsi sulla Pravda, a commento delle prospettive del proletariato tedesco, riteneva la situazione ancora favorevole per la presa del potere.

... non ci si poteva aspettare neppure un intervallo di breve durata di un pacifismo sia pure apparente, di una pacificazione di alcun genere... L’Europa entra in una fase di avvenimenti decisivi... La Germania si avvia, a quanto pare, ad un aspra guerra civile...

Pochi giorni dopo, cinque per l’esattezza:

Il PC tedesco non deve togliere dall’ordine del giorno il problema dell’insurrezione e della conquista del potere. Al contrario questa questione deve essere posta dinnanzi a noi in tutta la sua urgenza e concretezza.

Per Trotsky l’ottimismo espresso per bocca di Zinoviev dalla direzione dell’Internazionale comunista riguardo le prospettive di ripresa della lotta rivoluzionaria in Germania equivaleva al fatalismo della direzione del PC tedesco alla vigilia degli accadimenti dell’ottobre del 1923. Due errori di tattica e di prospettiva, ma soprattutto due errori di valutazione, la cui portata andava al di là dell’episodio per mettere l’accento sulle carenze della stessa Internazionale in materia di analisi della situazione e di capacità di legare l’aspetto tattico, specifico della lotta, alla prospettiva strategica generale.

Nelle lezioni d’ottobre, che scrissi sotto l’impressione della capitolazione del Comitato Centrale tedesco, sostenni che nelle condizioni dell’epoca attuale in pochi giorni una situazione rivoluzionaria può essere compromessa per molti anni... Far ricadere sulle masse la responsabilità degli errori della direzione o sottovalutare in generale il ruolo della direzione per diminuire così la responsablità: ecco un atteggiamento tipicamente menscevico che deriva dall’incapacità di comprendere dialetticamente la “sovrastruttura” in generale, la sovrastruttura della classe che è il partito, la sovrastruttura del partito costituita dal suo centro dirigente. Ci sono epoche in cui neppure dei Marx e degli Engels possono far progredire di un pollice lo sviluppo storico; ce ne sono altre, in cui uomini di levatura ben minore, stando al timone, possono ritardare per molti anni lo sviluppo della rivoluzione internazionale. (2)

Il giudizio che Trotsky dava sugli uomini dell’Internazionale non poteva che ripercuotersi sull’Internazionale stessa e sul suo V Congresso:

I compiti essenziali del V Congresso avrebbero dovuto essere i seguenti: primo, chiamare chiaramente e spietatamente la sconfitta con il suo nome, e mettere a nudo la causa “soggettiva”, non consentendo a nessuno di ripararsi dietro le condizioni oggettive; secondo, stabilire che si apriva una nuova fase, nel corso della quale, inevitabilmente, le masse si sarebbero ritirate, la socialdemocrazia avrebbe fatto progressi, il partito comunista avrebbe visto diminuire la sua influenza; terzo, preparare l’Internazionale comunista a tutto questo, perché non fosse colta di sorpresa, armarla dei metodi necessari alle battaglie difensive e consolidarla da un punto di vista organizzativo sino ad un nuovo mutamento di situazione. (3)

Sebbene agli inizi e sotto il peso dei recenti accadimenti, la polemica di Trotsky non si fermava alle valutazioni, peraltro importanti, delle cause del fallimento della rivoluzione tedesca e dei relativi contorsionismi del V Congresso, ma si estendeva alla vita politica interna al partito ed alle valutazioni della nuova politica economica; problemi, questi, che svilupperà più compiutamente nel 1926 dopo il VI esecutivo allargato, quando lo scontro all’interno del partito e dell’Internazionale si era fatto irreversibile.

Rimanendo al 1924 va preliminarmente osservato come i primi passi dell’opposizione di Trotsky, per ciò che concerne il problema della tattica, si fermassero alla superficie della questione. L’ipotesi polemica avanzata da Trotsky sulla responsabilità collettiva piuttosto che individuale all’interno della direzione del PC tedesco, quanto l’incomprensione del dato oggettivo su quello soggettivo, o, se si vuole, il gioco alterno tra i due limiti opposti operato dall’Internazionale, con l’aggiunta della sottovalutazione della sconfitta, non superava l’angusto àmbito dei modi e dei tempi dell’azione, senza prendere in considerazione il contenuto politico dell’azione.

Se è condivisibile l’atteggiamento fatalista del PC tedesco, sia prima che durante l’ottobre del 1924, attardato nel fiutare e nel concrescere con gli avvenimenti da una sorta di massimalismo sterile, supinamente pedissequo alle direttive che provenivano da Mosca, non altrettanto lo sono le pretese critiche al comportamento dell’Internazionale, se limitate all’infantile giochino di addossare a Brandler o alla situazione oggettiva, a seconda dei casi e delle convenienze, la gravosa responsabilità dell’insuccesso.

Il fallimento della rivoluzione tedesca ha radici piú antiche e ben più profonde che risalgono alle gravi deviazioni “tattiche” sul ruolo delle socialdemocrazie, sulle impraticabili alleanze con essa nel non meglio definito fronte unico per il raggiungimento di una forma statale, caratterizzata dalla fumosa formula del governo operaio e contadino, che di situazione in situazione, modificavano finalità e contenuti in conformità delle sigenze economiche e politiche della sempre più isolata rivoluzione russa.

Il campanello d’allarme aveva fatto sentire la sua voce al III Congresso dell’Internazionale, quando Radek, in materia di tattica, interpretando le preoccupazioni di tutta l’Internazionale sul crescente isolamento, si era posto il problema tattico di “andare alle masse”, di uscire dall’isolamento politico in cui ristagnavano i partiti comunisti. La preoccupazione era più che giustificata. Un sommovimento sociale, radicale, enorme, che coinvolga milioni e milioni di lavoratori come una rivoluzione, non può essere un atto di buona volontà di chicchessia né può essere deciso a tavolino dalla possente mente di un pugno di teorici particolarmente agguerriti. Perché un evento rivoluzionario possa verificarsi occorre che esistano le condizioni di base favorevoli quali la crisi economica accompagnata da un avanzato grado di decomposizione delle istituzioni borghesi, la disponibilità delle masse a muoversi sul terreno dello scontro diretto con il proprio avversario di classe, un programma politico articolato sia negli aspetti tattici, contingenti, che in quelli strategici, finali, ovvero la presenza di una avanguardia partitica ideologicamente preparata e determinata nell’azione, ed infine un programma militare ed un livello minimo di armamento che siano in grado di esprimere, sul piano tecnico dello scontro militare, il potenziale politico che le ha espresse. In sintesi, occorre che accanto alle condizioni oggettive poste in essere dalle crisi pre e post belliche, si esprimano anche quelle soggettive, politiche ed organizzative.

Nessun partito, anche se politicamente attrezzato, avrebbe potuto ipotizzare una soluzione rivoluzionaria (4) alla crisi postbellica del capitalismo internazionale, senza avere dietro di sé la stragrande maggioranza delle masse lavoratrici, la stessa esperienza russa era là ad indicarne l’esempio, le modalità e l’irrinunciabile bagaglio di esperienze.

Ma politicamente il problema non era “andare alle masse”, ma come andarci. La rivoluzione d’ottobre, la nascita della III Internazionale, la mortale lotta contro l’opportunismo ed il revisionismo, contro il riformismo in qualsiasi forma si presentasse, avevano creato un profondissimo solco tra le aspettative rivoluzionarie e l’ideologia socialdemocratica. Il proletariato europeo, uscito pesantemente colpito dalle devastazioni della guerra, affamato, senza più nulla da perdere, sotto il peso degli eventi della rivoluzione russa e sotto l’influenza politica della Terza Internazionale si era spaccato in due; una parte, quella più cosciente e combattiva, si era posta nella prospettiva rivoluzionaria, l’altra, forse altrettanto combattiva ma certamente meno cosciente, era rimasta all’interno delle vecchie strutture politiche ed organizzative dei partiti della socialdemocrazia. Andare alle masse doveva significare la capacità di comprendere prima, ed esprimere politicamente poi, i reali, concreti, quotidiani problemi delle masse, fare di questi un momento di lotta e di scontro, e al contempo un trampolino di lancio per acquisizioni politiche che, elevandosi dal terreno specifico, contingente, fossero in grado di preparare il terreno per l’assalto rivoluzionario. Doveva significare, inoltre, la possibilità di strappare all’influenza socialdemocratica la restante parte della classe per puntare ad un fronte di classe il più possibile compatto, suscettibile di essere politicamente diretto dall’avanguardia comunista, ovvero dall’Internazionale stessa.

Ma il processo di acquisizione politica sulla base di una prospettiva rivoluzionaria, al pari dello scontro con il variegato modo di esprimersi politico ed organizzativo della socialdemocrazia, per cessare di essere una vuota quanto inoperante formula astratta, doveva calarsi in tutte quelle forme, coerenti o contraddittorie, palesi o espresse, attraverso le quali andavano esprimendosi i sussulti, non certo lineari, della lotta di classe.

Nelle fabbriche come nei quartieri, all’interno delle lotte rivendicative come nelle grandi battaglie politiche, quotidianamente, irriducibilmente era necessario accettare o provocare lo scontro con la socialdemocrazia, confrontandosi con essa su tutti i termini della lotta di classe. Solo a quelle condizioni era possibile che la propaganda, i metodi di lotta ed i contenuti politici rivoluzionari riuscissero a polarizzare la restante parte delle masse, i titubanti ed i senza partito.

Non si potevano superare i problemi dell’isolamento o della ricomposizione del fronte di classe cercando di percorrere l’illusoria scorciatoia del compromesso politico, o addirittura organizzativo, con le forze della socialdemocrazia. Gli obiettivi finali, come la tattica per raggiungerli, non possono essere disgiunti gli uni dall’altra, come momenti separati, ognuno autonomo rispetto all’altro. L’unità di classe ha un senso solo se costruita, giorno per giorno, lotta su lotta, in mezzo a poche vittorie in un mare di sconfitte, nella prospettiva di una maturazione, anche se lenta, difficile e molto spesso contraddittoria, di una coscienza di classe autonoma e rivoluzionaria, al di fuori e contro l’ideologia borghese, in qualunque forma si manifesti.

Fu proprio l’Internazionale comunista, al suo secondo congresso, ad indicare a chiare lettere quale dovesse essere il principale compito dei partiti comunisti aderenti:

  1. lotta su tutti i fronti alla socialdemocrazia della Seconda Internazionale;
  2. perseguimento della via rivoluzionaria e conseguente rifiuto del riformismo o di tappe intermedie;
  3. intensa propaganda tra le masse affinché lo scopo ultimo della lotta di classe, la dittatura del proletariato, non fosse una parola d’ordine astrusa e confusa, ma un preciso punto di riferimento politico da agitare continuamente all’interno della lotta di classe. (5)

Ma soltanto poco meno di due anni dopo, tra i massimi dirigenti del partito bolscevico, Trotsky compreso, andava prendendo corpo la preoccupazione di non lasciare ulteriormente isolata l’esperienza russa, anche a costo di costringere i partiti comunisti a cambiare “tattica” e, nell’immediato, prospettiva rispetto ai capisaldi di sempre.

Fu così che, in quegli anni cruciali, la ricerca dell’unità di classe, il fronte unico, si allontanò dalla sua sede naturale, dal “basso”, come si legge nelle “Tesi di Roma” (6), per rincorrere impraticabili alleanze di vertice con i partiti della socialdemocrazia con tutte le conseguenze negative che ne potevano derivare ai fini di una maturazione del livello della lotta di classe e dell’accrescimento della coscienza operaia.

Nel primo caso il fronte di classe doveva essere il punto di approdo di una politica che facesse propri tutti i termini della lotta di classe, coniugando gli aspetti parziali e contingenti dello scontro, gli interessi settoriali e di categoria, con un’unica prospettiva politica; nel secondo, il fronte unico, ovvero la fittizia unità della classe operaia, era il mezzo con il quale garantirsi alleanze politiche nell’illusione di ripartire da posizioni di vantaggio.

Nel primo caso la discriminante politica restava sempre la lotta senza quartiere contro la socialdemocrazia; nel secondo, dove lo scopo era l’alleanza politica per meglio resistere all’interno del quadro istituzionale borghese in attesa di tempi migliori, la socialdemocrazia, o meglio le sue definizioni, variavano a seconda dello svolgersi degli accadimenti, dell’andamento della lotta di classe, del ridimensionamento delle aspettative o in virtù di tragiche delusioni. Soltanto sotto questa logica è possibile dare un senso alle continue variazioni di interpretazione della Terza Internazionale, in un lasso di tempo brevissimo, alle medesime forze politiche, che da “strutture portanti della controrivoluzione” diventavano “importante parte del movimento operaio” per ridiventare sotto la spinta degli avvenimenti “la mano sinistra della borghesia” o, addirittura, “socialfascismo”.

Il fallimento della rivoluzione tedesca, al di là dell’attendismo della dirigenza brandleriana, della mancanza di fiuto sulla disponibilità alla lotta delle masse, evidenzia il ruolo nefasto giocato dal frontismo. La partecipazione di tre ministri comunisti al governo socialdemocratico di Sassonia, partecipazione voluta dall’Internazionale con l’intento di unificare il proletariato diviso e di facilitare la preparazione militare all’insurrezione armata, in un momento in cui l’unità di classe si sarebbe dovuta costruire al di fuori e contro le prospettive governative della socialdemocrazia, sortì l’unico effetto possibile, quello di disorientare ulteriormente la classe operaia tedesca.

Per i proletari comunisti a cui, sino a due anni prima, sulla scorta della stessa esperienza bolscevica, era stata martellata nella testa l’idea che la rivoluzione sarebbe stata tale solo se fosse riuscita a passare sul cadavere della socialdemocrazia, non fu certamente di facile digestione vedere eminenti esponenti del proprio partito entrare nei ministeri di un governo borghese a fianco del fior fiore della socialdemocrazia tedesca.

Una prima caricatura: l’“<em>ancien régime</em>” opprime il popolo
Una prima caricatura: l’“ancien régime” opprime il popolo

Non fu, dunque, un accidente storico se, all’appello per uno sciopero generale, proclamato dalla direzione del PC tedesco contro le misure antioperaie del governo centrale, le masse non risposero con entusiasmo, costringendo lo stesso partito a ritirarsi con la coda tra le gambe da una lotta che nei fatti non aveva preso inizio.

Né fu casuale che, di li a breve tempo, quando le masse spontaneamente scesero nelle piazze per gridare la propria insofferenza alle condizioni politiche e di vita imposte dal regime, non trovarono pronto il partito, la loro guida politica, più intento a leccarsi le ferite che ad osservare il montare della situazione.

Non fu, dunque, soltanto fatalismo, imperizia o non coincidenza di tempi o, come ebbe a dire ufficialmente l’Internazionale, la cattiva interpretazione della tattica del fronte unico, la causa prima del fallimento della rivoluzione tedesca, bensì il principio stesso dell’alleanza con le forze della socialdemocrazia, anche se fatta passare come momento tattico, strumentale ed episodico, ad affossare la spinta alla lotta delle masse e, contemporaneamente a disarmare la sua avanguardia.

Ancora più assurda appare l’unica dichiarazione dell’Internazionale, accanto a quelle ufficiali, di condanna da “sinistra” dell’operato del partito comunista tedesco nel giugno del 1924.

Se nel maggio del 1924, con una certa stabilizzazione del marco, con un certo consolidamento della borghesia, con il passaggio degli strati medi e piccolo borghesi ai nazionalisti, dopo una crisi profonda del partito, dopo una crudele sconfitta del proletariato, se dopo tutto questo i comunisti sono riusciti ad ottenere 3.700.000 voti, è chiaro che nell’ottobre del 1923, in un momento di crisi senza precedenti dell’economia, di disgregazione completa delle classi medie, di estrema confusione nelle file della socialdemocrazia, mentre contraddizioni potenti e brutali operavano nel seno stesso della borghesia e le masse proletarie dei centri industriali erano animate da uno spirito combattivo inaudito, il PC aveva con sé la maggioranza della popolazione: avrebbe potuto e dovuto combattere, aveva tutte le possibilità di riuscita. (7)

Nel tratteggiare la situazione di crisi economica generale accompagnata da una situazione di disorientamento politico dell’arco delle forze borghesi alla vigilia dell’ottobre del 1923, l’I.C. denuncia “l’estrema confusione nelle file della socialdemocrazia” come una delle condizioni favorevoli ad una possibile soluzione di forza da parte della classe operaia, che solo l’inettitudine del PC tedesco aveva potuto sottovalutare e vanificare.

Nei fatti, se di confusione si deve parlare, mentre “contraddizioni potenti e brutali operavano nel seno stesso della borghesia”, questa era più presente ed operante nelle file del proletariato, se per confusione si intende il disorientamento politico, la mancanza di un preciso punto di riferimento strategico, chiarezza nelle scelte tattiche e coerenza nelle direttive politiche.

Certamente la socialdemocrazia tedesca non navigava in buone acque, come nessuna delle forze politiche ed istituzionali borghesi di quegli anni. Il peso delle devastazioni della guerra era ancora evidente, il rilancio economico post-bellico poteva partire solo a condizione che capitale e forza lavoro si ricomponessero in un clima estremamente favorevole al primo, e che, soprattutto, le forze della conservazione, nella fattispecie quelle di “sinistra”, ovvero la socialdemocrazia, svolgessero sino in fondo il loro compito di contenimento delle istanze economiche e politiche della classe operaia, arginandone le rivendicazioni salariali e confondendone gli obiettivi politici.

Nella socialdemocrazia tedesca non vi era confusione, non mancava né di obiettivi né di mezzi per raggiungerli. Il suo unico problema, in un clima politico suscettibile di essere travolto da un momento all’altro dalla disperazione delle masse, era proprio quello di reggere come argine nella situazione limite (lo scontro), o di coinvolgere verso falsi obiettivi la forza disgregatrice delle masse, trascinandole con sé in una ambigua avventura politica che sotto la crosta corruttrice della mistificazione ideologica nascondeva il disegno conservatore borghese. Insomma il fronte unico, ovvero l’alleanza politica dei due tronconi del movimento operaio, per obiettivi che non erano né la soluzione rivoluzionaria alla crisi economica, né la dittatura del prole-tariato come unica risposta di classe alla crisi politica della borghesia, se non fosse stato proposto, ed in parte praticato, dal PC tedesco su indicazione della III I.C. avrebbe dovuto essere inventato dalla socialdemocrazia stessa.

Chi, invece, subì l’estrema confusione della situazione generale, derivante sia dalla disgregazione dei ceti sociali intermedi, sia dalla mancanza di una guida politica coerente per tempi di intervento e scelte politiche, fu proprio il proletariato.

Più avanti nel passo si conclude affermando che

il PC aveva con sé la maggioranza della popolazione: avrebbe potuto e dovuto combattere...

Il discorso, ben lungi dall’essere dialettico, percorre ì binari della più banale logica formale. In altri termini il tono dell’affermazione suona così: se nel 1924 con tutto ciò che di negativo è successo il PC è riuscito ad avere un’adesione di quasi quattro milioni di voti, nel 1923, con una classe operaia all’assalto, in condizioni certamente più favorevoli, cosa avrebbe potuto fare, solo se avesse osato, o meglio, se si fosse comportato più intelligentemente da un punto di vista tattico? Paradossalmente la risposta esula dal contesto fittizio della domanda, e ne ripropone un’altra molto più pertinente. Il fronte unico, nella sua accezione generale, come nella sua attuazione specifica degli eventi tedeschi dell’ottobre del 1923, non era forse il mezzo tattico più idoneo per colmare il vallo tra partito e masse, per riunificare in un solo fronte i due tronconi della classe operaia creatisi dopo la nascita della Terza Internazionale?

Se effettivamente il PC tedesco avesse avuto dietro di sé “la maggioranza della popolazione” non avrebbe dovuto ricorrere all’alleanza con le forze della socialdemocrazia né per riunificare un fronte che già presentava unito, né per collegarsi alle masse che per definizione erano già con lui.

Oppure il PC tedesco aveva da risolvere questi due problemi, nel 1923 come nel 1919, ed allora la tattica idonea era ancora quella del secondo congresso dell’I.C. espressa dalla vittoriosa esperienza della rivoluzione russa e non quella del fronte unico, degli accorgimenti di tiro, delle alleanze con la socialdemocrazia. E comunque resta il fatto che ad imporre alla direzione del PC tedesco l’ingresso nel governo di Sassonia e l’alleanza con la socialdemocrazia fu proprio l’I.C.

Trotsky, che peraltro fu uno degli artefici della tattica del fronte unico, al pari di tutti gli altri dirigenti bolscevichi, non affrontò mai il toro per le corna, non fece autocritica sulla questione fondamentale, ma costruì la sua opposizione critica alle vicende tedesche ed alla politica della III Internazionale uscita dal V Congresso, più sulle considerazioni accessorie che su quelle sostanziali:

Zinoviev non vedeva la catastrofe e non era il solo. Con lui tutto il V Congresso, in fondo, passò semplicemente sopra alla più grande sconfitta della rivoluzione mondiale. Gli eventi di Germania furono soprattutto analizzati dal punto di vista della politica dei comunisti... al Landtag di Sassonia. Nella sua risoluzione il Congresso approvò il Comitato Esecutivo per aver “condannato l’atteggiamento opportunistico e soprattutto l’errata applicazione della tattica del fronte unico durante l’esperienza governativa di Sassonia”. È lo stesso o quasi -- prosegue Trotsky -- che condannare un assassinio soprattutto per non essersi tolto il cappello entrando nella casa della vittima... Coloro che erano in grado di vedere la situazione con i loro occhi, che mettevano in evidenza la portata della sconfitta dell’ottobre, che sottolineavano l’ineluttabilità di un lungo periodo di riflusso rivoluzionario e di un riconsolidamento provvisorio (stabilizzazione) del capitalismo (con tutte le conseguenze politiche che ne derivavano), i dirigenti del V Congresso tentavano di bollarli come opportunisti e liquidatori della rivoluzione. (8)

La polemica di Trotsky non va oltre, non solo, ma nel momento in cui l’I.C. mima una parvenza di ripensamento, ben presto rientrato, sulla opportunità dell’ingresso dei comunisti al governo di Sassonia, è proprio lui a ridurre la questione a quisquiglia di poco conto, con la parabola dell’assassino e del cappello.

Nell’estendere la polemica sulla disfatta tedesca dopo il V congresso dell’I.C., Trotsky ripropone nella sua critica, come questione prioritaria e causa di ogni male, l’errore di prospettiva riguardo la presunta permanenza di una situazione rivoluzionaria in Germania, nonostante la cocente sconfitta, ed il presunto indebolimento del ruolo della socialdemocrazia:

Mentre nel 1923 la socialdemocrazia si afflosciava come un materasso logoro, al contrario, dopo la sconfitta della rivoluzione nel 1923, si raddrizzò sistematicamente, si riprese, accrebbe la sua influenza in gran parte a detrimento del comunismo. Poiché avevamo previsto questo (come si poteva non prevederlo?), si attribuì la previsione al nostro pessimismo. C’è ancora bisogno di dimostrare ora, dopo le ultime elezioni del maggio del 1928, in cui la socialdemocrazia ha raccolto più di nove milioni di voti, che eravamo noi ad avere ragione, quando all’inizio del 1924 dicevamo e scrivevamo che era inevitabile una rinascita socialdemocratica per un certo periodo mentre gli “ottimisti” le cantavano dei requiem grossolanamente fuori posto? Fu soprattutto il V Congresso a commettere questo errore grossolano. (9)

Trotsky aveva mille e una ragione nel paventare, contro il parere degli “ottimisti”, una ripresa socialdemocratica accompagnata da un processo di stabilizzazione del capitalismo, favoriti, se non determinati, dal fallimento rivoluzionario, ma, ancora una volta, non si poteva pretendere di spiegare il tutto con errori di prospettiva e di valutazione o di incapacità. Il PC tedesco fallì, e con lui fallì la possibilità di dare una soluzione rivoluzionaria alla crisi, sia perché anticipò artificialmente i tempi, in una prima fase, poi perché si fece anticipare dagli avvenimenti, ma soprattutto perché la tattica del frontismo non pagò nel momento in cui tutte le aspettative lo richiedevano, e non pagò nemmeno nella fase successiva quando, scavalcata dalla spontaneità operaia, non solo non seppe adeguarsi, ma divenne un ostacolo alla maturazione della stessa.

Create le premesse, la sconfitta non poteva che essere inevitabile, e sulla strada aperta dalla sconfitta ha preso inizio il cammino della conservazione borghese nelle vesti socialdemocratiche.

Fabio Damen

(1) La III Internazionale dopo Lenin, Ed. Schwarz, pag. 118.

(2) Idem, pag. 120.

(3) Idem, pag. 125.

(4) In quegli anni (1923-24), sia prima che dopo il fallimento della rivoluzione tedesca, al centro dell’Internazionale Comunista, come alla periferia dei partiti comunisti aderenti, si ritenne che la situazione fosse ancora “oggettivamente” rivoluzionaria. Solo nel 1926, al VI Esecutivo allargato si espressero al riguardo due tendenze. Quella della stabilizzazione del capitalismo internazionale (Bucharin) e quella della permanenza della situazione rivoluzionaria (Zinoviev).

(5) Dai 21 punti di Mosca, 1920.

(6) Nel 1922 il PC d’Italia, sorto programmaticamente alla luce dell’esperienza bolscevica e delle indicazioni del II Congresso dell’Internazionale, si trovò ad un anno appena dalla sua costituzione a dover rintuzzare la “deviazione” del III Congresso dell’Internazionale proprio in materia del Fronte Unico e del Governo operaio.

(7) Dalla Prava, 25-5-1924.

(8) La III Internazionale dopo Lenin, pag. 128.

(9) Idem, pag. 129.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.