Le lotte dei disoccupati francesi

Avvisaglie della nuova ondata di lotta di classe

Nel momento in cui scriviamo, pare che il movimento dei disoccupati (chomeurs) francesi sia entrato in una fase di stallo, anche se continuano, qui e là, alcune occupazioni degli ASSEDIC, gli uffici pubblici che gestiscono materialmente l’erogazione dei sussidi di disoccupazione. La lotta, partita da Marsiglia alla metà dello scorso dicembre, si è estesa rapidamente in tutta la Francia, paese in cui la mancanza di lavoro, la precarietà e, in genere, “l’esclusione sociale” - per usare un’espressione di moda - stanno mordendo in profondità le carni del proletariato. Solo i senza lavoro raggiungono, infatti, il 12% circa della popolazione attiva, e l’80% delle nuove assunzioni sono a carattere temporaneo o, comunque, variamente precario. In pratica, non c’è famiglia proletaria che in un modo o nell’altro non sia toccata da quello che, con la solita cinica ipocrisia, i mass media chiamano “emergenza sociale”.

E proprio per cercare di rispondere a questa “emergenza” che gli chomeurs chiedono una specie di una tantum di tremila franchi, la possibilità anche per i giovani al di sotto dei 25 anni di accedere al Reddito minimo d’inserimento (Rmi), cioè al sussidio di disoccupazione, e contestano la riforma del cosiddetto stato sociale, in particolare la parte riguardante il trattamento dei disoccupati, visto che i fondi ad essi destinati vengono globalmente tagliati dal governo Jospin, degno erede dei suoi predecessori e del suo cugino italico Prodi. Come si può vedere, sono richieste che, specialmente le ultime due, si scontrano immediatamente con le famigerate compatibilità, alle quali, a Parigi come a Roma, viene dato il nome di Maastricht: specchietto per le allodole, quest’ultimo, a cui sembra quasi che creda più il variegato mondo dell’ “antagonismo sociale” che la borghesia stessa. Non nel senso che il capitale europeo non abbia davvero la necessità di darsi strutture quanto più possibili omogenee per affrontare i suoi concorrenti imperialisti, quanto perché quel mondo è convinto che Maastricht, il neoliberismo ecc., siano libere scelte di una borghesia caduta in preda a delirio di onnipotenza, che una decisa lotta sociale dentro i limiti di questo sistema e magari supportata dall’intervento parlamentare di qualche partito amico, possa annullare.

Stiamo snobbando il movimento dei disoccupati? Proprio per niente; al contrario, mentre salutiamo in quel movimento un sano esempio di insorgenza di classe e ci rammarichiamo che di eventi simili ce ne siano ancora troppo pochi, contemporaneamente ne evidenziamo i limiti, che sono essenzialmente quelli di non riuscire, finora, a scrollarsi di dosso alcune grosse illusioni, affidandosi ad una direzione politica del tutto riformista - se non peggio - i cui esiti sono inevitabilmente senza vie d’uscita. Infatti, chi guida la lotta sono associazioni come AC! (agir ensemble contre le chomage ! - agire insieme contro la disoccupazione), sindacati “alternativi” come SUD e, udite udite, la CGT (e il PCF), la quale sostiene, di fatto, il governo e dirige una protesta contro lo stesso: non c’è che dire, solo allo stalinismo più o meno riciclato riescono simili acrobazie, come fa Rifondazione. Ma se il comportamento della CGT è scopertamente truffaldino, da parte degli “alternativi” ci si culla nell’illusione che da un governo “di sinistra” si possa avere maggiore comprensione, tanto che nelle manifestazioni svoltesi un po’ in tutta la Francia, il bersaglio principale degli slogan era il padronato, feroce oppositore delle 35 ore (il Manifesto, 14-1-’98).

Incazzarsi con i padroni va benissimo, ci mancherebbe, ma, il governo, qualsiasi governo, non è forse lì per tutelare gli interessi della società borghese nel suo insieme, a volte anche apparentemente contro alcune frazioni della borghesia? Dirigere il giusto odio dei disoccupati solo contro il padronato fa molto comodo sia al PCF, parte integrante dell’esecutivo, che al sig. Jospin, il quale paradossalmente può tentare di deviare la rabbia degli chomeurs, salvarsi almeno un po’ la faccia e continuare ad alimentare l’illusione che, bene o male, “siamo tutti di sinistra”. Non è così forse che la pensa Aguiton, leader di AC! ? Non è questa l’essenza del riformismo impotente che appesta gli ambienti operai e, in genere, proletari più sensibili, sopra tutte le frontiere? Su il Manifesto del 16-1-’98, Aguiton e Malabarba (capo di uno dei tanti sindacatini “di base”) hanno candidamente dichiarato: “Se il governo Jospin risponderà positivamente, dimostrerà di aver compreso che questo movimento [...] è una chance e non un incidente di percorso per la sinistra, sulla strada dell’attuazione di una nuova politica economica”. Per il momento, Jospin ha compreso che non può venir meno al suo ruolo di supremo difensore dell’ordine capitalistico, concedendo, con gran sforzo, un miliardo di franchi (che fanno 100.000 lire a testa circa) e altre quisquilie che sanno tanto di presa per i fondelli, come piccoli aumenti per i disoccupati con oltre 40 anni di contributi.... Fatto questo, ha spiegato che l’accoglimento integrale delle richieste dei disoccupati significherebbe un aggravio di 70 miliardi di franchi per l’erario, che è pubblico, aggiungiamo noi, solo quando si tratta di “tirare su” i soldi, non quando si tratta di spenderli: volete ficcarvelo nella zucca, antagonisti?!

Secondariamente, ma tutt’altro che da ultimo, ha sottolineato che l’estensione fino ai diciottenni del Rmi, significherebbe “deregolamentare le relazioni con chi ha un lavoro” (il Manifesto, 21-1-’98). Tradotto, se i disoccupati sentono allentarsi il cappio della fame e dell’insicurezza, tutta la forza - lavoro, occupata o no, è meno disposta a subire lo sfruttamento e le angherie del padrone, e questa è sicuramente l’ultima cosa che Jospin vuole.

Come si diceva all’inizio, il movimento è in una fase di stanca, anche perché, finora, il sostegno degli occupati non è stato così massiccio come sarebbe invece necessario, ma comunque vada a finire (e le premesse non sono buone) il multicolore proletariato francese ha avuto almeno la forza e il coraggio di non sopportare in silenzio e rassegnazione la sua sorte: non è poco.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.