Immigrati e operai "nazionali": stessa classe, stessa lotta!

La crisi del capitale apre nuove prospettive per il superamento di assurde divisioni

Tra la fine dell'anno scorso e l'inizio di questo, giornali e televisione hanno fatto un gran parlare del cosiddetto problema immigrazione. Prima l'occupazione di una chiesa a Bologna (da parte di famiglie "extracomunitarie") e successivo sgombero, poi l'isterica campagna, pompata dalla destra più canagliesca, contro gli immigrati, accusati di essere tutti delinquenti o aspiranti tali. Ora, è noto che certe forme di criminalità - spaccio, sfruttamento della prostituzione, ecc. - trovano terreno fertile là dove le condizioni di vita sono più disperate e gli immigrati di disperazione ne hanno da vendere, ma è altrettanto vero che la stragrande maggioranza del proletariato immigrato è estraneo a tutto ciò. È però del tutto normale che la destra più o meno fascista organizzi la piccola-media borghesia imbufalita, la stessa che affitta a prezzi criminali un posto letto al marocchino, la stessa che si "compra" per poche lire il corpo di un'adolescente: questa sottospecie di classe, molto diversificata, generalmente si unisce solo quando deve difendere l'orticello del proprio egoismo sociale dai disturbatori, che invariabilmente appartengono agli strati più deboli e indifesi.

Se questo è il comportamento della "gente bene", anche il proletariato non è del tutto immune da un simile modo di pensare, ma anche questo è, purtroppo, normale, visto che ha perso la propria identità di classe e si è spappolato nella cosiddetta cittadinanza; in pratica, l'operaio o la cassiera del supermercato non si sentono parte di una stessa classe contrapposta a quella borghese, ma cittadini italiani, al pari del bottegaio o del professionista. Eppure, da un proletariato che in poco più di cent'anni ha offerto sull'altare del profitto più di ventisei milioni di uomini, donne e bambini, qualcuno si potrebbe aspettare una spontanea e sollecita solidarietà con gli immigrati; ma la solidarietà di classe non è una cosa congenita all'operaio, anzi, se così fosse, sarebbe - quasi - inutile la presenza dei rivoluzionari. Al contrario, quanto più la classe operaia è in difficoltà e, soprattutto, quanto più è sotto l'influenza dell'ideologia borghese tanto più si sfoga, esattamente come la piccola borghesia, contro i settori meno "garantiti" della sua stessa classe. Se lo stato ha smesso di costruire le cosiddette case popolari e costringe i lavoratori locali a "farsi un mazzo tanto" per pagare il mutuo della casa, ecco che questi se la prendono con gli immigrati, accusati, a torto, di essere gli unici destinatari dei pochissimi alloggi dell'edilizia pubblica. In breve, invece di trovare un comune terreno di lotta per la casa, proletariato locale e immigrato rimangono estranei l'uno all'altro quando non apertamente ostili.

E dire che, nonostante l'infame allarmismo dei mezzi di informazione, la consistenza dei flussi migratori di oggi è ben lontana da quella dell'inizio del secolo o degli anni '50-'60, quando ogni anno partivano per l'estero - o per il Nord Italia - centinaia di migliaia di persone. Infatti, il contesto economico è profondamente diverso.

Allora, il movimento migratorio avveniva in una fase di espansione del ciclo di accumulazione capitalistico e gli emigrati finivano in gran parte nelle grandi fabbriche, da dove, non senza dure lotte, potevano migliorare il loro tenore di vita assieme a quello di tutta la classe operaia (naturalmente nei limiti delle compatibilità capitalistiche). Non che l'inserimento fosse armonico, tutt'altro, ma prima o poi si integravano nel proletariato locale, anche perché al fondo c'era la crescita economica. Oggi, invece, sono le convulsioni di un capitalismo in crisi profonda a spingere masse di disperati verso una "America" che non c'è più. Le crisi finanziarie devastanti sempre più frequenti, le guerre locali scatenate dalle opposte bande di borghesie locali manovrate dalle grandi potenze, sbattono alle porte delle metropoli capitalistiche esseri umani privi di tutto; ma le grandi concentrazioni operaie sono state, poco o tanto, smantellate, la microelettronica e la ricerca affannosa del profitto hanno ridimensionato le grandi fabbriche e prodotto milioni di disoccupati. Si assiste così a un fenomeno per molti aspetti nuovo: aumento generalizzato della disoccupazione unito all'afflusso crescente di immigrati. Il quadro è completato da un costate peggioramento delle condizioni di vita di tutti i lavoratori salariati: precarietà, flessibilità, aumento dei ritmi e degli infortuni, abbassamento del salario. È ancora vero che gli immigrati vanno a svolgere i lavori meno qualificati e spesso di tipo schiavistico, ma in un contesto che vede, appunto, un progressivo degrado per tutta la classe operaia (intesa in senso lato); sintetizzando, si potrebbe dire che i lavoratori italiani (inglesi, francesi...) tendenzialmente stanno diventando degli "immigrati". Infatti, l'obiettivo del capitale internazionale di spingere i salari al di sotto del loro valore, per alimentare sia il profitto industriale che la quota crescente della rendita finanziaria, fa sì che ci sia un progressivo livellamento verso il basso della classe operaia planetaria. Oggi, a differenza di cent'anni fa, il punto di riferimento del padrone non è il misero salario dei "mangiaspaghetti", ma quello degli strati più poveri e sfruttati del proletariato mondiale. Da ultimo, ma non per importanza, il crollo dell'ex impero sovietico ha riversato sul mercato "mondializzato" un numero consistente di tecnici ad alta e altissima qualificazione, che minacciano di intaccare seriamente lo status economico-sociale di una forza-lavoro occidentale un tempo in gran parte indenne da questi problemi.

Com'è sua natura, il capitalismo continuamente si rinnova ma per rimanere sempre se stesso, e così, anche lo spostamento forzato di enormi masse di persone, elemento caratteristico della storia del capitale, avviene su scenari per molti aspetti nuovi, ma che, forse per la prima volta nella sua secolare vicenda, tendono a unificare veramente, sul piano delle condizioni materiali di vita, la classe operaia del mondo intero.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.