Convegno sulla guerra a Venezia - L'irrimediabile impotenza del riformismo

Il convegno sulla guerra indetto a Venezia dal pacifismo nazionale dimostra una volta di più come senza un'analisi di classe ogni opposizione alla guerra è condannata a imboccare strade senza uscita

In questi ultimi mesi più volte ci siamo occupati, sulla nostra stampa, dei gruppi e dei movimenti che, in un modo o nell’altro, si sono opposti alla guerra nei Balcani, evidenziandone l’inadeguatezza dell’impostazione teorico-pratica complessiva, quando non l’appiattimento più o meno mascherato sulle posizioni di difesa di uno degli schieramenti militari, frutto dell’assoluta incomprensione del fenomeno imperialista; caso talmente poco raro da costituire quasi la regola. A conflitto formalmente concluso, settori consistenti di questo pacifismo, non esclusi molti centri sociali, "tute bianche" e Cobas, si sono riuniti a convegno in quel di Venezia, per tentare di darsi una continuità organizzativa e operativa. Il documento uscito da quella assemblea, pubblicato sul Manifesto del 9-6-99 e intitolato Carta comune, è il trionfo del niente ossia dei più triti luoghi comuni, delle eterne vuote illusioni che il riformismo, da quasi due secoli a questa parte, cerca di imporre alla società borghese. Il totale e scontato fallimento delle ricette riformistiche non impedisce alla "genìa di oscuri riformatori", magari in salsa antagonista, di accanirsi maniacalmente nell'escogitare formule sociali che essi ritengono novità sensazionali, quando invece sono le solite minestre ultra riscaldate scodellate dagli errori metodologici di sempre del riformismo. Esse consistono, in estrema sintesi, nel mancato riconoscimento delle leggi del capitalismo - tra cui l’esistenza di classi inconciliabilmente contrapposte - e, più in generale, nell’abitudine mentale di scambiare i propri sogni con la realtà; da qui discende la logica conseguenza che all’esaltazione volontaristica del primo momento segue immancabilmente la delusione e l’autocommiserazione per l’inevitabile sconfitta. Infatti, il documento si apre con l’amara constatazione che il movimento non ha saputo fermare la guerra, che "non ha avuto la forza e la capacità di impedire il totale coinvolgimento [ma se era parziale, andava bene? n.d.r.] dell’Italia e dell’Europa". Il perché sia avvenuto tutto ciò non è dato sapere, mentre noi sappiamo che i pacifisti sono geneticamente incapaci di comprendere che solo la classe operaia e il proletariato in genere possono ostacolare o impedire lo scatenamento militare della rapacità imperialista. Se non si capisce questo, è ovvio che si finisca per partorire le soluzioni più sballate, anzi, tanto più inconsistenti quanto più poste con forza. I nostri riformisti, che stanno ai rivoluzionari come gli astrologi stanno agli astrofisici, ci propongono infatti gli immancabili "Osservatori permanenti" o le non meno scontate "Conferenze internazionali", come se nella storia recente e lontana ci fosse mai stata una volta che è una in cui quei circhi Barnum delle pie illusioni avessero mai rimosso le cause della guerra, fosse pure quella dei bottoni. Va da sé che nella "Carta" l’interclassimo regna incontrastato e dunque imperversano i "luminosi" principi della paccottiglia ideologica borghese: che cosa vuol dire lottare per i "bisogni di pace, giustizia e democrazia per tutta l’area balcanica"? Le bombe - cretine o intelligenti (?!) - della NATO non sono state sganciate proprio per ristabilire la democrazia, la pace, ecc. ecc.? Le deportazioni non sono forse state ordinate per far trionfare i "giusti" diritti del popolo serbo? Il fatto è che quando si è costituzionalmente incapaci di comprendere che se non si riempiono di un contenuto di classe proletario quelle altisonanti parole svolgono, come hanno sempre fatto, il ruolo di abbellimento e mascheramento del dominio borghese. Cosa vuol dire pace? Che tutto torna come prima, con i padroni di un tempo che riprendono a sfruttare in pace gli operai, senza il disturbo dato dai missili o dalle pulizie etniche e magari assieme alla nuova leva di coloro che non hanno ancora smesso del tutto gli abiti sporchi del trafficante di droga o di esseri umani? Cosa vuol dire democrazia: che il proletariato tornerà ad essere "libero" di scegliere chi, tra vecchi e nuovi filibustieri borghesi, lo ingannerà meglio nelle aule parlamentari? E la giustizia? Beh, per evitare, per esempio, che eventuali speculatori traggano ingiusti profitti dalla ricostruzione, basta coinvolgere enti locali e università delle due sponde adriatiche e rovesciare sui Balcani la task force della "cooperazione popolare", della "finanza etica [del] commercio equo e solidale": solo così i vari "soggetti" coinvolti nella ricostruzione saranno appagati da un "giusto" profitto. Poveretti, i riformisti! Anche quando in tempi ormai lontani si dichiaravano (quasi tutti) comunisti, non hanno mai capito un accidente di come va il mondo (del capitale); figuriamoci ora che hanno buttato nella spazzatura quel po’ di marxismo mal digerito di un tempo: lo sbocco è un salto all’indietro di 150 anni, al proudhonismo e al suo impossibile sogno di un capitalismo formato mignon, localistico e, naturalmente, moralistico. Nell’era della "mondializzazione" vogliono lo sviluppo delle economie locali (anche Bossi, ci pare...): cioè un qualcosa di simile ai "nostri" distretti, santuari del più esoso sfruttamento operaio? Vogliono il denaro e una finanza, ma che siano però tanto per bene... etici, appunto; vogliono un commercio in cui il bottegaio non ti freghi, così che tutti si possa essere soddisfatti o rimborsati.

I nostri eroi sanno però anche farci divertire, specialmente quando affermano che la guerra e la violenza sono nei "fondamenti di questa società civile e [nelle] matrici culturali dell’Occidente". Cosa s’intende per società civile: il capitalismo? Mistero! E poi, solo l’Occidente" (e chi sarà mai anche costui?) ha usato la violenza o questa finora è stata una costante della storia umana complessiva, anche se la violenza sprigionata dalle società divise in classi contrapposte è cosa diversa dalla violenza dell’epoca del comunismo primitivo. Solo dei perfetti ignoranti o degli inguaribili idealisti possono pensare che la guerra e la sopraffazione siano un’esclusiva dell’Occidente o che le "tante donne" genericamente intese abbiano salvato il genere umano con il loro praticare "la cultura della vita, della abitabilità dei luoghi, del creare tessuto sociale e diversa cittadinanza": viva viva la fata turchina! L’insulsaggine di simili espressioni è quasi pari alla loro totale inconsistenza per l’estrema superficialità con cui è presentato il ruolo della donna nella società e nella storia.

Nel chiudere, non si può fare a meno di accennare agli "estremisti" del convegno ossia i Cobas, risentiti perché il documento non avrebbe inglobato una ovvietà che essi considerano un’eclatante novità, riguardante l’esistenza di una "sinistra" che "muta radicalmente l’ordine delle cose e la modalità dell’agire politico e sociale in Italia [e nel resto d’Europa? n.d.r.]" (il Manifesto, 14-6-99). Meglio tardi che mai, ci verrebbe da dire, anche se dubitiamo fortemente che abbiano veramente compreso il ruolo dello stalinismo, dei suoi legittimi eredi, "antagonisti" o di governo, e della socialdemocrazia (di cui, per altro, fanno parte). Per parte nostra, è a partire dal 1914 che abbiamo fatto i conti con tutto ciò e dunque allo slogan di chiusura della Carta comune "fuori la guerra dalla storia" aggiungiamo volentieri un "e tutto il riformismo!".

CB

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.