Elezioni francesi - Le ragioni che stanno portando la destra a dominare in Europa

L'episodio in sé potrebbe essere considerato localistico (la Francia), dettato da situazioni ed equilibri politici interni, (le elezioni presidenziali), in realtà è il sintomo di una situazione economica e politica che potrebbe attraversare tutto il continente europeo. Tre sono gli elementi da prendere in considerazione: il primo è che la destra vince, il secondo è che le compromesse sinistre perdono come mai era loro capitato, terzo che l'astensionismo è il primo partito politico di Francia. Fatte le debite differenze, sembra di assistere al quadro politico italiano che ha portato al potere la destra di Berlusconi e alla sconfitta del centro sinistra con un elevato tasso di astensioni o di schede nulle. In entrambi i casi il risultato è stato lo sconcerto, l'incredulità e la rabbia, ma nulla avviene per caso, anche i risultati più strani o politicamente perversi hanno una spiegazione e una ragion d'essere. In questo caso, alla base del successo francese delle destre, come "nell'atipico" quadro politico italiano, è presente quel fenomeno economico che si chiama globalizzazione. Il termine è brutto e impreciso, dovremmo più correttamente parlare d'internazionalizzazione della crisi del sistema produttivo capitalistico che da anni pervade trasversalmente sia i paesi ad alta industrializzazione che quelli della cosiddetta periferia, ma continuiamo ad usarlo per comodità di discorso. La globalizzazione espressa in sintesi è sinonimo di una sempre maggiore difficoltà del capitale a creare profitti sufficientemente remunerativi. Gli investimenti necessari alla produzione reale aumentano proporzionalmente più dei profitti realizzati, il saggio medio del profitto scende, la speculazione e l'appropriazione parassitaria si espandono a scapito della produzione di merci e servizi. La conseguenza è che la concorrenza tra capitali aumenta in progressione geometrica inscenando episodi di guerra economica e di guerra guerreggiata nei quattro angoli del mondo per l'accaparramento e/o il controllo dei mercati commerciali, finanziari, delle materie prime e della forza lavoro. Questo sullo scenario mondiale. All'interno ogni singola borghesia è costretta ad attaccare il suo proletariato con un'intensità ed una ferocia pari solo al grado di crisi dei profitti che l'attanaglia e al basso livello di competitività che le compete nello scontro internazionale. Lo smantellamento dello stato sociale, le riforme della sanità e delle pensioni, l'attacco ai salari e alle condizioni normative, la mobilità in entrata e in uscita e la precarizzazione del lavoro altro non sono che le necessità di sopravvivenza del capitale. Della globalizzazione i capitali sono soggetto operante in termini economici, mentre il proletariato, finché non si muove, ne è oggetto sia in termini di maggiore sfruttamento che di prassi politica da amministrare nel migliore dei modi. In questo quadro si è giocata la partita politica più squallida. Il capitale ha favorito in tutti i modi l'ascesa al potere delle forze di "sinistra" nella calcolata convinzione che solo loro avrebbero potuto portare a compimento il lavoro sporco imposto dalla globalizzazione senza riempire le piazze dell'opposizione proletaria. In Europa non a caso, negli anni novanta, i partiti della sinistra istituzionale e le coalizioni di centro sinistra sono arrivati al potere in 14 situazioni su 15, al servizio delle necessità dei rispettivi capitali calando sul mondo del lavoro tutto quanto era funzionale al capitale in termini di recupero di competitività e di contenimento del costo della forza lavoro.

Ciò ha inevitabilmente usurato la loro immagine politica, ha creato un solco tra le aspettative, pur minime, delle masse lavoratrici e la quotidianità economica imposta dai vari governi. Quando le scadenze elettorali sono arrivate, prima in Italia poi in Francia, la risposta è stata scontata, quasi meccanica. Le destre hanno ottenuto elettoralmente quanto loro competeva, le sinistre si sono viste isolate dal loro abituale elettorato. La reazione più evidente è stata l'astensione. In parte come segno di sfiducia nei confronti della cosiddetta politica sociale sempre più distante dai bisogni reali della stragrande maggioranza della società, in parte come segno di protesta contro quei partiti di sinistra che si sono schierati senza riserve a favore del capitale senza nemmeno fare finta, come negli anni dell'opposizione, di difendere gli interessi più elementari dei lavoratori.

Nella logica di una società borghese, basata sul consenso, sulla conservazione delle strutture economiche e dei rapporti sociali e sugli effetti dell'oliatissimo meccanismo elettorale, tutto questo finisce per avere un effetto ridicolo e contraddittorio. Il popolo della sinistra francese, dopo aver disertato le urne e dato via libera a Le Pen, ha subito il ricatto del partito di Jospin di votare per l'altra destra, quella liberale e gollista del presidente uscente Chiraq, pur di non favorire il rappresentante del Fronte Nazionale. Al gioco perverso e infinito della ruota elettorale che gira sempre attorno all'unico perno dando l'impressione di assumere posizioni diverse, si è aggiunta anche l'ala trotschista, che da componente radical riformista qual è da decenni, a pieno titolo partecipa alla sagra delle elezioni borghesi contribuendo alla confusione politica in cui si trovano le masse lavoratrici.

Incongruenze elettorali? Contraddizioni della vita politica borghese? Certo, ma altrettanto certo è che paradossi come questi dipendono anche dalla mancanza di una seria ripresa della lotta di classe. In assenza di tensioni sociali, narcotizzate da anni di gestione delle sinistre, venuta meno qualsiasi prospettiva di alternativa al capitalismo e alla società borghese, favorita dall'imbelle atteggiamento delle solite sinistre, al proletariato francese si è sempre chiesto di scegliere all'interno di un'alternativa del meno peggio. Meglio la sinistra parlamentare e riformista di una destra liberale e gollista. Tramontata improvvisamente quest'ipotesi si è spostato l'asse dell'alternativa: meglio una destra liberale e gollista di quella xenofoba di Le Pen. Tutti dunque a votare per Chiraq per la buona pace della Francia, della sua borghesia, dei suoi interessi economici di classe e della sua presentabilità nel consesso europeo.

La consunzione politica delle sinistre al potere ha aperto le porte alle destre. Al proletariato le stesse chiedono di votare per una destra che sia meno di destra, per sbarrare il cammino alla destra più di destra in una spirale perversa e senza vie d'uscita. In questa surreale prospettiva che oggi si presenta drammaticamente in Francia, ma che domani potrebbe presentarsi, per le medesime ragioni analizzate, in altri paesi europei, l'unica alternativa risiede nella ripresa della lotta di classe. Lotta che abbia si il compito di battere le destre, tutte indistintamente, ma nelle piazze, nelle fabbriche e nei posti di lavoro, ma non solo. O si matura la coscienza che le imbelli sinistre non vanno punite soltanto con l'astensione elettorale, bensì con la stessa lotta riservata alle destre, nella consapevolezza che anch'esse sono responsabili del processo di conservazione capitalistico che oggi, ma ancor più domani, si abbatterà con feroce determinazione sul proletariato, oppure di queste scelte ne vedremo di ancora più drammatiche. O si inizia a costruisce l'alternativa al capitalismo e alle sue paradossali convulsioni elettorali, o si subiranno le conseguenze dell'impotente prospettiva del minore dei mali, nella falsa aspettativa di costruire un capitalismo buono con il corollario, altrettanto falso, di affidarsi ad una borghesia più umana.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.