Fiat - I lavoratori lottano mentre padroni, governo e sindacati concertano

È quasi certo che a partire dal prossimo 9 dicembre la Fiat metterà in cassa integrazione a zero ore 8100 lavoratori. Dei quali 4100 dovrebbero rientrare in fabbrica mentre gli altri 4000 perderanno il posto di lavoro. Sulla base degli esuberi annunciati e sulla drammaticità della situazione per i proletari coinvolti, si gioca la partita tra i soliti commedianti, padroni sindacati e governo, ognuno dei quali cerca di ricavare il massimo tornaconto dal tira e molla delle trattative.

La Fiat in un primo momento aveva annunciato che il grosso dei tagli riguardava Termini Imerese e Arese, mentre ora i 4000 esuberi interesserebbero in larga parte Mirafiori se la produzione delle Punto restyling fosse trasferita a Termini. Come è possibile un così repentino rovesciamento dei termini della questione? Evidentemente l'azienda facendo finta di accogliere le critiche per l'impatto negativo che avrebbe l'eventuale dismissione degli impianti in Sicilia e la fine della gloriosa fabbrica di Arese, regalatagli dallo stato e neppure finita di pagare, chiede un aiuto finanziario del governo rispetto ai debiti contratti con le banche e che si faccia carico anche degli esuberi, magari per un numero rivisto e corretto, da riciclare in qualche modo attraverso l'agenzia Italia Lavoro e i prepensionamenti.

I sindacati, invece, in concorrenza tra loro nella sollecitudine a far passare tutte le misure atte a contrastare la crisi capitalistica, naturalmente collaborando ad ogni sorta di vessazione del capitale contro il proletariato, sono momentaneamente costretti a far buon viso a cattivo gioco. Essi si propongono uniti contro i piani Fiat, con diverse sfumature, chi più possibilista ad un rapido compromesso, chi meno come la Cgil, a seconda dei partiti di riferimento al governo oppure all'opposizione, ma nella sostanza impegnati a che le lotte dei lavoratori restino limitate al gruppo di Torino, al massimo alla categoria, in attesa che la situazione pian piano si spenga per concludere come sempre un accordo bidone.

Il governo, dal canto suo, continua l'opera mistificante e propagandistica di presentarsi come il vero riformatore, di dimostrare che il centro destra può fare quello che il centro sinistra non è stato capace di fare, cioè di difendere i ceti più deboli come pensionati e lavoratori. Anche nel caso Fiat esso insiste affinché la casa automobilistica riveda i suoi piani e preservi i livelli occupazionali. In cambio di un ammorbidimento delle posizioni il governo sarà disposto ad aiutare la Fiat con tutti i mezzi a disposizione.

Governo padroni e sindacati dovranno entro il 5 dicembre decidere qualche cosa, ovviamente ognuno interpretando la propria parte, ma con la certezza che le cose seguiranno il loro corso a danno dei lavoratori. Ciò che conta per la borghesia italiana è che lo stato e le sue diverse articolazioni siano in grado complessivamente di contrastare la spontaneità operaia e il contagio ad altri spezzoni di classe, in primo luogo attraverso i sindacati. L'esempio delle lotte dure soprattutto degli operai di Termini sono state un esempio, che purtroppo in mancanza di punti di riferimento realmente di classe, anche sul piano ideale di alternative alla società capitalista, esse saranno destinate ad esaurirsi.

La farsa che vede i sindacati accusare i padroni di non sapere fare il loro mestiere è la solita storia per mascherare le contraddizioni del capitalismo e la sua parabola discendente e guerrafondaia. Nel frattempo i padroni fanno finta di prendersela con la demagogia sindacale. Mentre il governo italiano, come i governi degli altri paesi, passata la sbornia propagandistica liberista, comincia a farsi carico come è nelle naturali prerogative di qualsiasi stato borghese, cioè intervenire per sostenere quale capitalista collettivo il processo di accumulazione e salvaguardare i rapporti di produzione vigenti.

La verità è che quanto sta avvenendo alla Fiat è perfettamente in linea con la filosofia padronale ovunque. Per recuperare saggi di profitto adeguati bisogna colpire i lavoratori, quindi si capisce perché l'azienda sarebbe disposta a trasferire da Torino a Termini parte della sua produzione in cambio del più bieco sfruttamento, per ridurre i costi, estendere la flessibilità selvaggia e i turni di lavoro nell'arco dell'intera giornata, in sostanza fotocopiando il suo stesso modello infernale di Melfi.

Un'altra lezione da trarre dai fatti in corso è il comportamento del cosiddetto sindacalismo di base. È bastato che la Cgil opportunisticamente si spostasse un po' a sinistra, che facesse finta di fare la voce grossa con padronato e governo, per recuperare la pletora di sindacati e sindacatini che prima contestavano aspramente i sindacati ufficiali. E nelle piazze si sono sentite le stesse lagne invocanti il rilancio produttivo della Fiat con nuovi modelli competitivi, che la colpa è tutta dei dirigenti, e che lo stato intervenga se necessario acquistando quote di partecipazione azionarie.

Siamo al solito riformismo trito e ritrito, che a tutto pensa, tranne a imboccare la strada dell'anticapitalismo, per questo anch'essi, volenti o nolenti, non fanno altro che rafforzare l'argine a difesa del modo di produzione capitalista.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.