Quando il Comunista si occupa di noi

Innanzitutto il...metodo. Si prende un solo articolo (7/8mila battute) che ha come scopo dichiarato quello di fare il punto sulla situazione palestinese, e poiché in esso non si trovano esaurientemente esposte tutte le posizioni di principio, le linee tattiche e strategiche, la teoria-azione del partito, eccetera, eccetera, si da il la ad una spocchiosa "polemica", previa accusa (a noi immediatamente rivolta) di "vocazione accademica e metafisica". Sembra di essere in presenza di una sorta di compitino che l'estensore dell'articolo si è sentito di stendere sui gruppi della Sinistra. Il tutto in un paginone (almeno 17.000 battute), e altrettante per ciascuno dei confratelli gruppi che litigiosamente si spartiscono il lascito del pensiero dell'ultimo Bordiga. Quello, per intenderci dell'appartarsi ed attendere in attesa di tempi migliori... (Al convegno di Milano c'è chi ha visto in questa "posizione" assunta da Bordiga col suo ritiro a vita privata, l'esempio eclatante del vero marxista, determinista matematico...)

Quindi si comincia con una lezione a vanvera sulla "coscienza di classe", ossia - per i presunti professori in questione - "la teoria del comunismo", che diventa un pretesto per puntare l'indice su di noi che "non diamo indicazioni" a tutto il proletariato mondiale, al quale invece si rivolge il Comunista.

Contro le nostre "secche conclusioni" si riversano le umide divagazioni di chi pretenderebbe di dimostrare la "falsità" che ci contraddistinguerebbe: i "battaglini" si sono permessi di scrivere che la nascita di uno Stato palestinese è "una soluzione politica impraticabile" nella situazione presente. Una bestemmia...teorica, insorgono i nostri, appoggiandosi sulle stampelle del "diritto dei popoli per la loro indipendenza" sostenuto ai suoi tempi (invarianti?) da Lenin (norvegesi contro svedesi), e che oggi dovrebbe essere appoggiato da tutti noi perché altrimenti, "se non viene in qualche modo soddisfatto", continua e continuerà ad intralciare il cammino della ripresa della lotta di classe proletaria, "proprio per il nazionalismo che su di esso si fonda e si sviluppa"... Ovvero, diamo una mano al suo sviluppo e poi vedrete che tutto sarà più facile.

Noi, da poveri scolaretti al cospetto di tanta erudizione ed acume politico, dovremmo imparare a memoria che il nazionalismo della borghesia palestinese va appoggiato ("incondizionatamente", aggiungerebbero quelli dell'OCI); dovremmo incitare alla lotta i proletari israeliani perché appoggino anch'essi contro il loro questo nuovo nazionalismo, fratello di quello della borghesia israeliana; dovremmo infine chiamare alla lotta "indipendente dalla propria borghesia" i proletari palestinesi e poi quelli israeliani perché lottino contro il nazionalismo degli uni e degli altri. Rischiando, a conti fatti, il ricovero in un ospedale psichiatrico delle masse proletarie!

A parte il fatto che - al di là dei fogli di carta su cui si può scrivere di tutto e di niente - non si capisce chi sarebbe l'eletto incaricato di presentare e dirigere questa confusa sinfonia strategica (il partito comunista internazionale di Renato Del Prà?), resta il fatto che anziché uscire dai condizionamenti ideologici borghesi qui si naviga nella confusione totale (teorica, strategica, tattica, politica, organizzativa). E a nostra volta chiediamo, cercando di stare saldamente con i piedi per terra: visto che il Comunista, in rappresentanza del partito comunista mondiale (anche se gli altri bordighisti non sono dello stesso parere), non è presente né in Israele né fra i palestinesi, a noi comuni mortali è dato sapere che cosa accidenti direbbe e farebbe nel caso lo fosse? Visto che - tanto per confondere le carte in tavola - questi signori lo chiedono a noi, ebbene loro con quali organizzazioni e con quali compiti si muoverebbero mentre appoggiano la lotta nazionale della borghesia palestinese? E giriamo ancora a loro la medesima domanda: come accidenti fa "una soluzione borghese (nazionalista) ad essere anche anti-capitalista"? Il tutto, non lo si dimentichi, in piena, sviluppata fase imperialistica. Qualunque individuo sano di mente, a questo punto e di fronte a simili giochini intellettualistici delle tre tavolette, volterebbe pagina e inviterebbe questi signori a frequentare qualche seduta psicoanalitica anziché dare - e ci risiamo - lezioni cattedratiche sul "concetto di classe e sul partito, rappresentante del futuro della specie umana", in ossequio alle elucubrazioni del Maestro e degli epigoni.

Conclusione: poiché i "battaglini" avrebbero "abdicato al ruolo fondamentale del partito di classe" (così a loro sembrerebbe da...indiscrezioni raccolte al mercato ortofrutticolo), il Comunista riprende il proprio sotterraneo lavoro di "importatore" di...cassette di fichi d'india, pardon, di teoria. Ma, dichiaratamente, "non fa scambi alla pari" poiché dà solo lezioni, traccia percorsi che il proletariato, in quanto "numero, dovrà seguire". Chiama tutto questo "partecipazione alla lotta del proletariato - ma anche della borghesia nazionale, a quanto pare - per la sua difesa immediata" e quindi, altro giro delle carte in tavola, accusa noi di "indifferentismo".

Nei fatti "il comunista" soffre della atavica incomprensione della questione delle guerre nazionali, ormai definitivamente chiusa, sbaglia secolo quando invoca Marx, è incapace di leggere la fase imperialistica moderna nel momento in cui si rivolge a Lenin. L'invarianza, in questo caso, appare come l'incapacità di entrare nel merito della fase storica contemporanea delle linee di scomposizione e ricomposizione dell'imperialismo dopo il crollo dell'Urss e quali spazi di autonomia i residui nazionalismi abbiano a disposizione. Si ricorre all'arcaico concetto di autodeterminazione dei popoli quando all'ordine del giorno, e non da oggi, c'è l'autodeterminazione del proletariato mondiale. Si appoggiano ancora i movimenti borghesi (come quello palestinese, forse ceceno, bosniaco e kosovaro) pensando di favorire lo sviluppo della lotta di classe, non vedendo che la classe borghese, una volta ottenuto l'obiettivo, qualora lo raggiunga, rafforza il suo potere di classe. Nella fase "rivoluzionaria" si serve delle masse proletarie, nei periodi di pace le sfrutta. Si appoggiano ancora le rivoluzioni borghesi come se oggi ci fosse il problema dell'unità e dello sviluppo del mercato interno. Si crede che il crescere del proletariato come entità sociologica e politica dipenda dallo sviluppo delle forze produttive e della propria borghesia che li gestisce, senza vedere che i mercati sono tra di loro integrati e che il mercato della forza lavoro ha assunto dimensioni internazionali al sevizio di capitali transnazionali. Non significa nulla appellarsi a questo o quello scritto di Marx e di Lenin. Si è leninisti quando si riconosce a Lenin di aver intuito che nella Russia di allora la doppia rivoluzione fosse un passaggio necessario, si è politicamente arretrati quando si pensa di potere applicare una tattica del genere oggi in Palestina. Si è marxisti quando si ritiene di dover operare ogni sforzo possibile all costruzione del partito di classe, si è degli idealisti se si pensa che nasca per germinazione spontanea sulla base di una invarianza su questioni quali: le guerre di liberazione nazionale, sindacato e fase imperialistica, come se nulla fosse successo negli ultimi cinquant'anni di vita del capitalismo. Il marxismo non è una religione ma un metodo di analisi dell'evolversi dei rapporti di produzione capitalistici e della lotta di classe. Il leninismo non è un vestito grigio ottimo per tutte le occasioni, bensì la massima espressione politica della lotta di classe raggiunta nei primi due decenni del secolo scorso, e l'invarianza non può confondersi con la sclerosi politica del "tutto è già stato scritto", mactub direbbero i fondamentalisti islamici. I piccoli epigoni del bordighismo pensano di essere all'avanguardia della polemica politica, rimasticano invece vecchi schemi che li inchiodano nelle retrovie della lotta di classe.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.