Scioperi contro la guerra e pacifismo

Le manifestazioni contro la guerra, il vasto movimento pacifista e gli scioperi di alcuni settori di lavoratori contro la guerra per impedire la movimentazione via terra e via mare del materiale militare americano, sono fenomeni che si sono espressi con una intensità sconosciuta nei precedenti episodi bellici degli ultimi decenni. Il movimento pacifista si è espresso addirittura su scala mondiale con delle manifestazioni a cui hanno partecipato milioni di uomini Si è trattato di manifestazioni imponenti che, dal punto di vista numerico, possono essere paragonate solo a quelle contro la guerra d'inizio novecento. Innanzi tutto, ci pare importante evidenziare che una tale risposta sia stata causata dal venir meno della credibilità statunitense sulla scena internazionale; oggi appare più evidente, nonostante l'intensa campagna ideologica dei mass media mirata ad occultare i reali motivi della guerra, il collegamento tra le iniziative militari americane e la sua politica di super potenza mondiale che mira a occupare con la forza le posizioni strategiche dello scacchiere internazionale e a controllare, mitragliatore alla mano, le aree vitali per il controllo dell'estrazione e della movimentazione del petrolio.

Ormai si è diffusa ad ampi settori della società la percezione che gli Stati Uniti stiano agendo esclusivamente per interessi propri e a danno di interi stati e popolazioni, causando carneficine a più non posso solo per controllare le più importanti aree di estrazione e di trasporto del petrolio. Probabilmente si tratta ancora di una percezione parziale, superficiale e confusa che non ha ancora maturato la piena consapevolezza degli enormi interessi in gioco; consapevolezza invece posseduta dalla borghesia la quale da tempo guarda con estrema attenzione tutto ciò che riguarda la questione dell'approvvigionamento presente e futuro del petrolio.

La crisi economica profonda, che negli ultimi tre anni è venuta pienamente alla luce con l'esplosione della bolla speculativa dei titoli azionari, con la difficoltà delle politiche economiche a rilanciare l'economia e con gli scandali di alcuni consigli di amministrazione di importanti imprese americane che hanno gettato una luce sinistra sulla veridicità della contabilità dell'intero sistema economico, la crisi economica, dicevamo, ha diffuso tra il proletariato e la piccola borghesia un'incertezza nuova, un senso di precarietà e la percezione di vivere in un sistema economico traballante in cui gli eventi sono sempre più spesso improntati ad un'inquietante violenza, una violenza che toglie fiducia e serenità anche nelle cittadelle del capitalismo avanzato. Questo spiega la vasta partecipazione alle manifestazioni per la pace.

Su questo retroterra economico e psicologico ha poi giocato un ruolo chiave la chiesa cattolica che con le parole del papa ha inveito come non aveva mai fatto contro la "politica imperiale" statunitense. Si è trattato di un lucido e consapevole punto di vista borghese che, meglio di altri, intravede i pericoli immensi causati dall'attuale crisi economica, ideologica e morale della società borghese. Col suo j'accuse il papa ha risvegliato le coscienze cattoliche e le ha stimolate a mobilitarsi per protestare contro la guerra. La sua denuncia chiara e netta contro l'intervento americano ha spinto milioni di uomini nelle piazze delle più importanti città del mondo per invocare la pace. L'intransigente posizione del papa è stato il cemento interclassista che ha compattato vasti strati di piccola borghesia e proletariato contro l'intervento americano in Iraq. Accanto a questo, la posizione di Francia e Germania, apertamente contraria all'intervento militare statunitense, ha ulteriormente corroborato il movimento pacifista. La posizione ufficiale di questi stati, dettata esclusivamente dai loro interessi petroliferi in Iraq, ha dato legittimità al movimento e alle coscienze antimilitariste. Così la mobilitazione è diventata vasta e imponente, soprattutto in Europa.

Un fatto importante ha poi accompagnato la mobilitazione popolare: gli scioperi dei lavoratori, soprattutto dei settori coinvolti alla movimentazione dei mezzi militari (come i portuali di Livorno), e i blocchi delle linee ferroviarie su cui dovevano transitare i convogli militari americani. Indubbiamente si è trattato di una importante e nuova disponibilità alla lotta da parte del proletariato anche se in tutto ciò non si è affermata ancora una chiara coscienza del carattere classista della guerra. Qui ha giocato un ruolo importante la Cgil e la sinistra socialdemocratica facente capo ai Ds e a Rifondazione comunista. Nessuna novità per la propaganda di queste forze che mai ha denunciato il ruolo centrale degli interessi petroliferi in gioco, che mai ha messo l'accento sulla crisi generale del sistema capitalistico, che mai ha denunciato il carattere imperialista della guerra e, soprattutto, il carattere neoimperialista della nascente Europa unita. Qui la politica, preoccupata che non venissero travalicati i limiti della legalità borghese e quelli di un movimento esclusivamente invocativo nei confronti della superpotenza americana, si è fermata al tradizionale impotente pacifismo che, ancora una volta, non ha saputo indicare la via per una reale opposizione alla guerra. Con gli appelli alla legalità cosiddetta democratica, la sinistra ha agito strumentalmente per incanalare il sacrosanto desiderio di opporsi alla guerra dei lavoratori all'interno dei propri obiettivi di opposizione parlamentare al governo di centro-destra. Ne è la prova che la sinistra, quando era al governo ha approvato l'intervento militare italiano in Kossovo giustificandolo con intenti umanitari e pacifisti. Questa volta invece, nel ruolo di forza politica di opposizione, non ha avuto difficoltà a schierarsi contro l'intervento americano: la consegna è stata quella di manifestare, di affiancare le iniziative più radicali dei lavoratori che volevano ostacolare la movimentazione dei convogli militari ma di evitare che il movimento di lotta prendesse strade di opposizione alla guerra allargate e generalizzate a tutti i luoghi di lavoro, soprattutto ai luoghi della produzione.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.