Dal dopoguerra la conferma - Gli Usa in Iraq solo per il petrolio

Dal dopoguerra la conferma

Dopo più di un mese di occupazione, del regime che governava l'Iraq si è persa ogni traccia né sono state trovate le famigerate armi di distruzione di massa che tanto preoccupavano Bush. Con un puff, come i fantasmi nei fumetti, perfino Saddam Hussein si è dissolto nel nulla. E con un puff sono svanite anche le promesse di democrazia e benessere. Al posto della prima è arrivato un funzionario del Segretariato di stato Usa dal passato poco raccomandabile con il compito di fare e disfare a seconda degli interessi di Washington. Intanto, quando la popolazione civile protesta i marines le sparano addosso esattamente come faceva la Guardia repubblicana del rais. Al posto del benessere, poi, è giunta invece una vera e propria catastrofe umanitaria. A causa dei saccheggi avvenuti fra la totale indifferenza dell'esercito statunitense, sono sparite le scorte del piano oil for food; sono stati trafugati i già scarsi presidi terapeutici di cui disponevano gli ospedali mentre le loro attrezzature alberghiere sono state completamente distrutte. Se prima della guerra ammalarsi gravemente in Iraq significava morte sicura, ora è lo è anche per la più banale infezione tra l'altro sempre più probabile a causa del diffondersi di epidemie dovute alla mancanza di acqua potabile.

Il più potente esercito del mondo, dotato dei più sofisticati sistemi logistici, dopo un mese non solo non ha riattivato gli acquedotti e le centrali elettriche che ha distrutto con le sue bombe intelligenti, ma non si è neppure preoccupato di organizzare l'invio di acqua e di derrate per soddisfare i bisogni più elementari della popolazione civile. Si è preoccupato solo dei pozzi di petrolio e di imporre anche come mezzo di pagamento interno il dollaro al posto del vecchio dinaro. Quei pozzi che prima della guerra, a sentire i loro fan, non erano neppure nei retropensieri di Bush e soci, ora ben sorvegliati dai marines, funzionano. E come funzionano! Mai bugie hanno avuto le gambe corte come quelle raccontate per giustificare l'aggressione e l'occupazione dell'Iraq. Il dopoguerra sta confermando che senza ombra di dubbio la guerra contro l'Iraq è stata fatta solo ed esclusivamente per il petrolio.

In verità a negarlo non erano poi neppure in tanti anche prima. Ma il fatto che l'attuale gruppo di potere che controlla la Casa Bianca - ivi compreso il suo principale inquilino - sia costituito essenzialmente da petrolieri e da speculatori finanziari senza scrupoli, ha indotto, e induce tuttora molti, anche fra i critici più attenti, a ritenere che tutta l'impostazione strategica - politico-militare che l'ha ispirata sia il frutto di una scelta funzionale agli interessi di questa specifica lobby e perciò che potrebbe essere capovolta con la vittoria elettorale di qualche gruppo di potere con interessi diversi e l'Iraq potrebbe essere un episodio isolato.

Il fatto che venga confermato che questa guerra, come quella dei Balcani prima e dell'Afghaniastan poi, è un'altra tessera della più generale guerra per il controllo del petrolio, dimostra che in realtà si è aperta un fase nuova in cui la guerra avrà sempre più voce in capitolo.Gli effetti - diciamo così - positivi derivanti dal gigantesco processo di finanziarizzazione dell'economia finalizzato all'incremento dell'appropriazione parassitaria di plusvalore, con cui - insieme alla forte contrazione dei salari reali su scala mondiale - si è fatto fronte alle difficoltà in cui si dimena il ciclo di accumulazione del capitale almeno dalla prima metà degli anni Settanta, si sono in qualche modo esauriti. Gli Usa, che ne sono stati i principali promotori, benché ne abbiano beneficiato più di tutti, si ritrovano, come era logico che accadesse, completamente dipendenti dalle importazioni e dai flussi di capitali provenienti dall'estero necessari per finanziare queste e il loro colossale debito interno. Fino al 2000 è sembrato davvero che gli Usa fossero riusciti nel miracolo di vivere di debiti facendo felici anche i creditori tanto che gli attivi privati esteri investiti nel debito pubblico statunitense e a Wall Street ammontavano a ben 1000 miliardi di dollari. Favoriti dalla facilità con cui potevano essere finanziati sia il deficit della bilancia commerciale sia il debito pubblico e privato sono, però, letteralmente esplosi. Oggi, il debito interno statunitense ammonta a circa 3 bilioni di dollari (il 30 per cento circa del PNL) e cresce al ritmo di un milione di dollari al minuto e - come scrive Frederic F. Clairmont su " Le Monde Diplomatique dello scorso aprile: "Per far fronte a un deficit corrente di 500 miliardi di dollari, che cresce annualmente del 10%, occorrono entrate per quasi due miliardi di dollari per ogni giorno lavorativo.." Ma, a differenza del passato, gli attivi privati esteri si sono dimezzati. Inoltre a complicare le cose ci si è messo anche l'euro che, forse anche al di là delle stesse intenzioni di chi l'ha concepito e voluto, per il fatto stesso che esiste e per essere espressione dell'area più industrializzata del pianeta, costituisce una alternativa al dollaro sempre più allettante e intercetta quote crescenti proprio di quel flusso di capitali provenienti dall'estero, e in particolare dai paesi produttori di petrolio, che prima si riversavano sui titoli del debito pubblico statunitense o su Wall Street.

Per arginare questa deriva, gli Usa avrebbero dovuto innalzare il loro tasso di sconto al di sopra di quello europeo, ma con una bilancia commerciale in cui il valore delle importazioni supera già del 42% quello delle esportazioni, una simile manovra avrebbe significare il crollo definitivo dell'industria nazionale. Di fronte al rischio di ritrovarsi con l'ufficiale giudiziario alla porta e al crollo di quel che è rimasto del loro apparato industriale, non hanno esitato ad appropriarsi del petrolio iracheno con la speranza di poter esercitare un controllo ancora più efficace sul mercato del petrolio e quindi sulle variabili macroeconomiche dell'economia mondiale, insomma hanno organizzato una vera e propria rapina a mano armata per rimpinguare le casse vuote. Ma per quanto le riserve di petrolio iracheno siano abbondanti non è per nulla scontato che possano essere depredate a lungo con la stessa facilità con cui è stato sconfitto Saddam Hussein né che con ciò il flusso dei capitali provenienti dall'estero possa riprendere in direzione degli Usa con tassi di incremento almeno pari a quelli con cui cresce il loro debito. L'economia mondiale, infatti, è in recessione e 2 miliardi di dollari per ogni giorno lavorativo costituiscono ben il 76 % dell'eccedenza della bilancia dei pagamenti correnti mondiali. È evidente, dunque, che ben presto anche questo, che oggi sembra un immenso bottino, non basterà e allora ecco che l'inquilino della Casa Bianca, chiunque esso sia, comincerà a guardarsi attorno e si accorgerà di essere circondato da altri stati più o meno "canaglia", ma sicuramente ricchi di petrolio. Sarà un nuova guerra e neppure l'ultima.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.