L'Alitalia nel baratro della crisi

Per Cimoli il fallimento si può evitare licenziando 5000 persone

Il rischio fallimento per la compagnia di bandiera italiana è altissimo. Secondo i dati forniti dall'amministratore delegato dell'Alitalia Cimoli, la liquidità di cassa dell'azienda è garantita solo fino al prossimo quindici settembre; dopo, senza il prestito ponte di 400 milioni di euro promesso dal governo ma subordinato ad un preventivo accordo sindacale, non saranno garantiti neanche gli stipendi per i 24 mila dipendenti. Una situazione finanziaria drammatica che si trascina da anni ma che negli ultimi mesi si è talmente aggravata tanto che rischia di far chiudere bottega ad una delle più grandi imprese italiane. Non è quindi un fulmine a ciel sereno la crisi dell'Alitalia. Infatti per ben dodici esercizi consecutivi l'azienda ha chiuso i propri conti in rosso, perdite puntualmente ripianate solo grazie agli interventi straordinari del ministero del tesoro. Nel corso del 2003 il bilancio si è chiuso con una perdita netta di 510 milioni di euro, mentre nel primo semestre di quest'anno le perdite ammondano a ben 310 milioni di euro. Una situazione davvero fallimentare.

Ad essere colpiti dalla crisi non è solo la compagnia di bandiera italiana, ma è tutto il settore del trasporto aereo internazionale ad essere in crisi. Già negli scorsi anni a causa dei pesantissimi debiti aveva portato i propri libri contabili in tribunale la compagnia di bandiera svizzera, mentre molte altre compagnie hanno evitato il fallimento solo grazie ad un attacco violentissimo al costo del lavoro ed agli aiuti finanziari erogati dallo stato.

Nel novembre 2003, con un decreto del governo, era stata prevista la privatizzazione della compagnia di bandiera italiana. Incaricato a guidare la difficile operazione lo scorso 6 maggio è stato nominato Giancarlo Cimoli, l'uomo che negli anni novanta aveva portato a termine la privatizzazione delle ferrovie dello stato. Un uomo di provata fiducia, capace durante la privatizzazione delle ferrovie di far ingoioare ai lavoratori, grazie alla fattiva collaborazione dei sindacati, una drastica riduzione dell'organico ed un aumento spaventoso dei carichi di lavoro. Una ristrutturazione pagata a caro prezzo dal mondo del lavoro, che ha permesso alle imprese sorte in seguito alla privatizzazione di realizzare lauti profitti e scaricare i costi della gestione della rete esclusivamente sullo stato. Lo stesso uomo è stato chiamato per realizzare la stessa ristrutturazione aziendale.

Il piano presentato ai sindacati in questi primi giorni di settembre dall'amministratore delegato prevede che l'azienda raggiunga il pareggio di bilancio entro il 2006, mentre già nel biennio successivo si dovrebbero registrare i primi risultati positivi. Per raggiungere tali obbiettivi e rilanciare quindi l'azienda è necessario ridurre di ben 5 mila unità il numero dei dipendenti e soprattutto realizzare una nuova struttura societaria, attraverso la creazione di due nuove società, la Az Fly, che si occuperà dell'attività di volo, e la Az Service, impegnata in tutte le attività di terra come la manutenzione e l'information technology.

In dettaglio il personale in esubero è stato così ripartito: 1050 assistenti di volo e 450 piloti (in totale i piloti Alitalia sono 2365) mentre il resto appartiene al personale di terra. In questi 5 mila dipendenti da espellere dall'azienda non sono conteggiati dal piano Cimoli i quasi 2000 dipendenti a tempo determinato, classificati ormai dai vertici aziendali come ex dipendenti. Nella sola sede romana della Magliana i precari ammontano a circa mille; per loro le porte Alitalia sono definitavamente chiuse.

Il drastico taglio al numero dei dipendenti è solo uno dei punti del piano Alitalia, l'altro, dicevamo, prevede che l'azienda sia scorporata in due holding destinate ad occuparsi rispettivamente dell'attività di volo e delle operazioni di terra. La prima holding che prenderà il nome di Az Fly dovrà avere poco più di 10 mila dipendenti e si occuperà di operazioni di volo, marketing e network, vendita e distribuzione, cargo e alitalia express. L'Az Fly dovrà essere privatizzata, ed il ministero del tesoro dovrà avere una partecipazione non superiore al 50%. La seconda holding si chiamerà Az Service e si occuperà dei seguenti settori: manutenzione, operazioni di terra, Atitech, Alitalia airport e Information technology. Questa seconda holding quando il piano sarà andato a regime avrà un numero di dipendenti non superiore a 6 mila unità, con una riduzione di oltre il 30% rispetto all'attuale numero di dipendenti.

L'intento di spezzare l'Alitalia in due societàè evidente: da un lato si crea una società, il cui capitale sociale sarà in mano ai privati, con prospettive di alti saggi di profitti, e dall'altro si scaricano sullo stato i costi dell'altra società, nella quale si attendono bassissimi saggi di profitto se non addirittura delle perdite. Lo stato quindi si preoccuperà di garantire le attività poco remunerative, mentre ai privati si darà l'opportunità di realizzare lauti profitti. Non a un caso il prestito ponte del governo di 400 milioni di euro è destinato solo ed esclusivamente all'Az Fly.

Il piano di salvataggio dell'Alitalia approntato dall'Amministratore delegato Cimoli è l'ennesima dimostrazione di come i soli a pagare le conseguenze delle crisi siano solo ed esclusivamente i lavoratori. Se la ristrutturazione dovesse passare l'intero gruppo vedrebbe in un sol colpo ridursi il numero dei lavoratori di quasi il 25%. Accettare la riduzione del numero dei lavoratori o dichiarare il fallimento dell'azienda, questa è l'unica proposta di Cimoli. I sindacati, al momento in cui scriviamo, non solo non hanno respinto al mittente le proposte ma si sono dimostrati disponibili alla trattativa, denunciando nello stesso tempo il pericolo che la situazione possa sfuggire di mano. Infatti, attacchi di tale portata difficilmente potranno passare senza un'au-spicabile opposizione dei lavoratori.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.