Reddito sociale per tutti, un’altra falsa rivendicazione del ceto politico riformista

Dieci buoni motivi per sostituire la parola d’ordine “per il reddito sociale per tutti” con “per condizioni di vita e di lavoro dignitose per tutti”.

  1. Per anni si è cercato di ricomporre un movimento antagonista di opposizione a partire dal “reddito sociale per tutti” ma, di fatto, questo tentativo non si è mai collegato con il mondo del lavoro: nessuna lotta di nessun settore di lavoratori ha mai fatto propria la parola d’ordine del reddito di cittadinanza, questo perché essa è lontanissima dalle istanze reali che esprime il mondo del lavoro.
  2. Diverso sarebbe qualora settori determinati di proletariato, come i disoccupati, la facessero propria; allora andrebbe a costituire una precisa rivendicazione invece che l’attuale generico tentativo di studiare a tavolino un denominatore comune a tutti. Così come viene posta non è una genuina istanza del movimento di classe ma è calata dall’alto delle riunioni del “ceto politico”, e in quanto tale da respingere.
  3. Chi sostiene che va comunque adottata perché solo l’Italia e la Grecia non hanno tale normativa in Europa chiude gli occhi di fronte alla realtà che i sussidi di varia forma erogati negli altri stati non rappresentano un reale miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro proletarie ma solo un ammortizzatore sociale volto ad esorcizzare lo spettro del conflitto di classe. Di fatto si tratta di reddito di miseria (Napoli insegna). Chi prende a modello gli altri paesi europei chiude gli occhi sulle disastrose condizioni in cui versa il proletariato francese o inglese.
  4. Concretamente poi, a meno che non crediamo veramente che i capitalisti siano realmente disposti a rinunciare a parte dei loro profitti per farci vivere meglio, è evidente che una tale norma andrebbe a pesare sulla fiscalità generale e quindi ancora sulle tasche proletarie
  5. In generale, per conquistare un “reddito sociale” vero, universale e dignitoso, che liberi tempo ecc... si dovrebbe mettere in campo un rapporto di forza tale da scuotere dal profondo le radici stesse dell’economia capitalista, ed allora andrebbe posto all’ordine del giorno il superamento del capitalismo stesso, non certo il suo abbellimento.
  6. Non è neanche vero che si tratta di una parola d’ordine ricompositiva: di fatto propone (sempre se posta in termini generali e non come rivendicazione di sopravvivenza di un settore proletario specifico) una profonda spaccatura tra lavoratori, stabili in particolare, da un lato, che già lavorano e che si ritrovano a confrontarsi con un movimento che chiede gli stessi soldi che guadagnano loro ma senza prestazione lavorativa. È chiaro che si determinerebbe in questo senso una forte concorrenza tra i lavoratori e in particolare fra stabili e precari; altro che ricomposizione!
  7. La ricomposizione della classe avviene individuando quelle istanze generali che accomunano le rivendicazioni specifiche dei vari settori. Sono istanze ricompositive la lotta al carovita, l’opposizione alla precarietà dilagante ecc... istanze che poi si vanno a declinare nelle specificità delle condizioni lavorative concretamente vissute. L’unica istanza realmente ricompositiva ed unificante rimane l’anticapitalismo, di cui tanto poco si ha il coraggio di parlare.
  8. Parlare di condizioni di vita e di lavoro dignitose per tutti è un’istanza che accomuna chiunque si trovi sul mercato del lavoro ed in quanto tale percepisce immediatamente e concretamente nella propria vita quali sono gli ostacoli che si frappongono tra l’attuale miseria ed un’auspicabile condizione di vita dignitosa. Rispetto alle politiche del capitale tornare a parlare di dignità ha un valore comunicativo ed un’aderenza alle problematiche vissute nel quotidiano sicuramente più elevato che un “reddito sociale” del quale, di fatto, non si ha la minima idea di come potrebbe essere in realtà. La dignità che il capitale ci nega la conosciamo invece molto bene.
  9. Il concetto di reddito universale glissa su un’argomento fondamentale: il capitalismo è investito da una crisi strutturale ed irreversibile, dettata dai suoi stessi meccanismi di valorizzazione, che è la causa prima delle politiche di attacco al lavoro, dell’espansione paurosa della speculazione finanziaria e delle guerre imperialiste. Sostenere in maniera acritica il “reddito sociale” significa negare la crisi e negare la dinamica reale del capitale: la necessità di un attacco furioso al lavoro.
  10. Il movimento di classe, dopo un quarto di secolo di sconfitte ha bisogno di semplicità e chiarezza di prospettive, non di proposte utopiche elaborate in un laboratorio alchemico che, in ultima istanza, considera il capitale (dovutamente abbellito) il migliore dei mondi possibili.
lm

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.