Politiche sociali - Premessa, crisi del welfare state, terzo settore

Fine di questa ricerca è fare il punto sulle conseguenze della generale crisi economica nelle politiche sociali in Italia, in particolare in rapporto alle condizioni, mobilitazioni e prospettive dei lavoratori che in questo settore sono impiegati.

Si sta parlando di un settore lavorativo tanto vasto quanto complesso, del quale si cercherà, almeno, di tracciare un profilo partendo dalla descrizione storica dell’emergere di questo settore da quella che è stata da più parti denominata “la crisi del Welfare State”, per arrivare a descrivere l’ambito legislativo all’interno del quale vengono oggi erogati i servizi alla persona; si cercherà, quindi, di inquadrare lo sviluppo del Terzo Settore - di questo si tratta infatti parlando di lavoro sociale - , con particolare attenzione all’ambito della cooperazione sociale, per arrivare, infine, a capire il modo nel quale l’erompere della crisi economica si sta abbattendo sulle politiche sociali medesime.

Arrivati a questo punto ci sarà il tentativo di comprendere i motivi che hanno mosso le centinaia di lavoratori del sociale che da anni, ed in particolare nell’autunno scorso, sono impegnati in lotte, anche se ancora frammentarie e isolate, legate alla precarietà del settore sia in termini contrattuali che di regolarità dei pagamenti che di discontinuità nella erogazione dei servizi.

Verranno tracciati infine i punti di forza e di debolezza che incidono nella conflittualità e capacità di mobilitazione di questi lavoratori, per concludere con punto di vista dei comunisti internazionalisti riguardo le prospettive di sviluppo delle lotte nel settore, le possibilità di intervento dei comunisti, il ruolo che i lavoratori del terzo settore possono avere nell’ottica della ripresa della lotta di classe in Italia e dello sviluppo della strategia rivoluzionaria.

Non si ha la pretesa di essere esaurienti (vista la vastità e complessità degli argomenti posti ci sarebbe voluto molto più spazio), ma vi è la speranza di aver fatto opera utile a quanti, vivendo e lavorando in questo settore, sentono stringente la necessità di muoversi con sempre maggiore coscienza e prospettiva.

Crisi del welfare state

Si intende per Welfare State l’erogazione/garanzia da parte dello Stato di una serie di servizi/”diritti” attinenti l’assistenza sanitaria, il sistema scolastico pubblico, indennità di disoccupazione, sussidi alle famiglie in condizioni di povertà e bisogno, l’accesso alle risorse culturali (come biblioteche, musei ecc.), l’assistenza ad invalidi, disabili e anziani, la difesa dell’ambiente. Il Welfare è salario indiretto, ossia è finanziato attraverso una quota del salario prelevata ai lavoratori per mezzo della fiscalità generale e a loro restituita indirettamente sotto forma di servizi. Il taglio di questi servizi si connota, quindi, immediatamente come taglio al salario del lavoro dipendente. Ma si proceda con ordine.

Tra gli anni 1960 e gli anni 1970 (in Italia circa un decennio dopo), sotto la spinta di un crescente debito pubblico, si è iniziato a parlare di Stato Assistenziale, ovvero di crisi del Welfare State: nei fatti la Spesa Pubblica (vedi Tab. 1) lievitava ed il capitale aveva bisogno di ridimensionarla.

Anno Spesa pubblica / Pil
1960 30,10%
1973 41,80%
1975 43,80%
1980 46,60%
1985 51,40%
1990 53,60%
1995 53,20%
2000 46,50%
2005 48,60%
2009 51,90%
Tab. 1 Rapporto percentuale tra la Spesa Pubblica i il Prodotto Interno Lordo in Italia dal 1960 al 2009 (Fonti: The Economist (1997), F. Zaccaria (2005), Istat.)

Le politiche di tagli che ne conseguirono fecero decrescere significativamente la spesa per l’assistenza sociale e sanitaria, anche se la spesa pubblica, nel complesso, si mantenne stabile. Questo avvenne perchè si vennero a determinare costi crescenti per la burocrazia civile e militare, come per tante altre voci che, soprattutto in una situazione di crisi, concorrevano indirettamente a far crescere la spesa pubblica.

Mentre gli USA optavano per la drastica privatizzazione dei servizi che forniscono assistenza e per la diminuzione degli individui che ne hanno diritto, in Europa e in Italia si è scelta la via dell’affidamento di un numero sempre maggiore di compiti a organizzazioni private senza fine di lucro e ad associazioni di volontariato: il Terzo Settore o no-profit.

La dichiarazione n° 23 del 7 febbraio 1992, allegata al Trattato di Maastricht, sottolineava

l’importanza che riveste (...) una cooperazione tra quest’ultima [la Comunità Europea] e le associazioni e le fondazioni di solidarietà sociale, in quanto organismi responsabili di istituti e servizi sociali.

In Italia alla metà degli anni Settanta gli interventi sociali vennero regionalizzati, mancò, però, una legge quadro capace di riordinare organicamente il settore, essendo ancora in vigore la cosiddetta "Legge Crispi" n.6972/1890. La materia venne affidata, seppure in maniera confusa e frammentaria, alle USL (Unità Sanitarie Locali).

A partire dagli anni 1990 lo smantellamento dello Stato Sociale ha avuto una grossa accelerazione. Trasformate le USL in Aziende Sanitarie Locali, le politiche di intervento socio-assistenziali vennero demandate alle Regioni e ai Comuni, i quali svolgono, a tutt’oggi, attraverso l’appalto a cooperative sociali ed associazioni, la fornitura di buona parte dei servizi socio-sanitari-assistenziali: la Legge 328/00, che vedremo, individuerà nel Terzo Settore (art.5) il soggetto al quale è demandato lo sviluppo del sistema integrato di interventi e servizi sociali nel territorio.

Nato dal volontariato, il Terzo Settore è andato progressivamente ad occupare quelle posizioni dalle quali lo Stato andava disimpegnandosi: il Terzo Settore nasceva quindi come risposta privatistica alle esigenze di risparmio dello Stato centrale nei settori dell’intervento sociale, assistenziale e socio-sanitario.

Il Terzo Settore o no-profit

Le organizzazioni no-profit si caratterizzano per:

  • assenza di scopo di lucro (gli eventuali utili o avanzi vengono reinvestiti per gli obiettivi sociali o capitalizzati, in ogni caso non vi è redistribuzione tra gli associati);
  • natura giuridica privata a forte valenza sociale.

Si tratta di un settore che si colloca a metà tra lo Stato e l’Impresa, costituito da un insieme complesso ed articolato di enti 5

(organizzazioni del volontariato, cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, fondazioni, organizzazioni non governative) - rigorosamente non a scopo di lucro - che erogano servizi rivolti alla persona, con particolare attenzione alle aree di intervento rivolte alle condizioni disagio economico e/o sociale.

Il nascere del no-profit dal volontariato ha dato spesso adito a motivi di confusione, molte volte utilizzati strumentalmente, tra i due ambiti: viene infatti comodo confondere l’operato dei professionisti dell’intervento sociale con quello dei volontari, di grande generosità, ma spesso non qualificati e, sopratutto, non retribuiti. La retorica sugli “angeli del sociale” ha avuto buon corso nell’alimentare il pietismo verso migliaia di operatori, deviando l’attenzione dal fatto che quelli stessi “angeli” erano di fatto costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, fino all’essere portati (dalla loro angelica, ma limitata pazienza) a lavorare gratuitamente, pur di garantire la continuità di servizi interrotti per mancanza di fondi, o... pur di avere una chance in più per aggiudicarsi il successivo appalto.

Negli anni il Terzo Settore si è prestato ad almeno tre principali interpretazioni:

  1. sistema caratterizzato da relazioni economiche “altre” e alternative rispetto a quelle del mercato profit e, quindi, caratterizzato spesso da prestazioni volontarie o con un riconoscimento economico minimo;
  2. produttore, attraverso gare di appalto e finanziamenti pubblici, di Servizi per la Pubblica Amministrazione e quindi sostitutore di mansioni e posti di lavoro che fino agli anni 1980 rientravano a pieno titolo nel settore pubblico;
  3. insieme di organizzazioni autonome che operano sul mercato in rapporto con consumatori privati e che si finanziano, quindi, facendosi impresa (no-profit) attraverso la vendita di servizi.