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Home ›Il maggio delle bombe e degli attentati
Prima le bombe a Equitalia, poi la gambizzazione di un dirigente dell’Ansaldo nucleare, e infine la tentata strage di fronte a una scuola di Brindisi che ha causato la morte di una ragazza di sedici anni e il ferimento di altre cinque studentesse. Vi si aggiunga l’incendio e la totale distruzione del centro sociale “Cartella” di Reggio Calabria da parte dei neofascisti, che hanno rivendicato l’attentato con scritte inneggianti al duce e alle SS.
Il mese di maggio è stato segnato da questi episodi molto diversi fra loro ma accomunati dall’essere tutti il sintomo di un riaccendersi della violenza politica e senza escludere per il futuro di una possibile ripresa della strategia della tensione. La strategia della tensione, infatti, che ha segnato la storia d’Italia soprattutto negli anni ’70 e ’80, si caratterizza per essere stragismo indiscriminato mirante a seminare terrore diffuso fra la popolazione e a favorire così una svolta politica in senso ancor più autoritario. In particolare il polverone mediatico sollevato dopo l’attentato di Brindisi sembra un po’ ricordare questo tipo di pratica. Dietro la “Federazione Anarchica Informale” che ha rivendicato la gambizzazione di Adinolfi, dirigente dell’Ansaldo nucleare, non è molto chiaro chi e cosa ci sia: ufficialmente si tratta di un movimento clandestino di ispirazione anarchica, ma è evidente che i suoi metodi possono facilmente prestarsi a strumentalizzazioni e manovre da parte degli apparati repressivi dello stato che, come fecero ai tempi del brigatismo, cercano sempre di criminalizzare e di etichettare come “terrorista” chiunque si muova in una prospettiva anticapitalistica, per quanto confusa. Il giochino è noto: l’atto terroristico è stato rivendicato da un gruppo anarchico, dunque tutti gli anarchici sono più o meno terroristi; la rivendicazione contiene una dura critica contro il nucleare, dunque chi si batte in modo radicale contro il nucleare è più o meno terrorista. Eccetera.
L’impressione generale è che la borghesia voglia giocare d’anticipo. Consapevole cioè che sotto i colpi della crisi economica la situazione sociale potrebbe velocemente precipitare, la classe dominante e il suo governo “tecnico” spingono perché lo stato prenda per tempo le necessarie contromisure. Si spiega così l’annuncio allarmistico del governo, dopo l’attentato ad Adinolfi, di voler “utilizzare l’esercito contro il terrorismo”, come se la lotta contro piccole formazioni clandestine non si facesse con l’intelligence ma con fucili, mitraglie e carri armati.
Evidentemente è ben altro che bolle in pentola: se il conflitto sociale dovesse raggiungere anche in Italia i livelli greci - situazione molto lontana dalla calma piatta che regna ora nelle fabbriche e nelle strade italiane, a parte qualche sparuta e isolata eccezione - allora sì che potrebbero mobilitare le caserme.
La borghesia gioca d’anticipo, e i proletari sono in ritardo. Nonostante i durissimi colpi che ha ricevuto da quando è in carica il governo Monti, la classe lavoratrice continua a essere poco reattiva e soprattutto succube di mobilitazioni sindacali di rito che non intaccano minimamente la macchina capitalista, la quale invece continua a generare disoccupazione, precarietà e impoverimento.
Siamo ancora lontani da una reale ripresa della lotta di classe. Sintomo di questo ritardo sono anche i limiti espressi da quelle sparute esperienze che cercano di muoversi in modo confuso su un terreno di classe - si pensi ai vari “comitati” e “coordinamenti” sorti qua e là soprattutto nel nord Italia durante questi ultimi mesi di attacco forsennato al mondo del lavoro - ma che per il momento non sono state in grado di superare l’estrema frammentazione, espressione più di soggettività isolate (politicizzate o meno) che di un processo di organizzazione della classe. Qualcosa ogni tanto sembra muoversi ma siamo ancora lontani da forme reali e generalizzate di organizzazione autonoma della classe che cerchino di trovare strade alternative ai vicoli ciechi della politica istituzionale, del sindacalismo confederale e del pantano autoreferenziale in cui annaspano le mille sigle del sindacalismo di base.
È dalla ripresa massiccia delle mobilitazioni nelle piazze, nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro su un terreno unitario e di classe, che potrà nascere una vera opposizione al regime capitalistico, e non certo da atti simbolici e isolati che - ammesso e non concesso, appunto, che non siano pure e semplici provocazioni - non smuovono di un millimetro lo strapotere della borghesia sulla società.
GS
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #06-07
Giugno-luglio 2012
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