La verità dietro la vittoria della NATO in Libia

L'articolo, apparso su Revolutionary Pespectives n.58, è stato scritto prima della fine sanguinosa di Gheddafi, ma mantiene tutto il suo interesse, perché inquadra, da un punto di vista rivoluzionario, le forze, e quindi gli interessi, che hanno recitato in questo ennesimo dramma inscenato dall'imperialismo.

Come scriviamo in Battaglia comunista, sul futuro dello scenario libico peseranno, e non poco, le tensioni all’interno del Consiglio nazionale transitorio. Il rabberciato governo, nato ben prima che Gheddafi fosse eliminato dalla scena e riconosciuto in tutta fretta da quelle potenze che oggi accampano diritti sulla gestione delle ricchezze energetiche dell’ex rais, vede la presenza di forze ibride, ideologicamente contraddittorie, ostili le une alle altre, accomunate solo dalla lotta contro Gheddafi, unite momentaneamente dallo sforzo di mettere le mani sulla rendita petrolifera, ma inevitabilmente divise sul terreno del soddisfacimento dei reciproci egoismi economici. Dentro c’è di tutto: dai transfughi del vecchio regime come Jalil, ex ministro della Giustizia, ed ex consiglieri di Gheddafi come Abdul Salam Jallud. A seguire, Ali Tarhouni, ministro delle Finanze e del Petrolio e l’attuale leader Mahmoud Jibril. Poi, islamisti di ogni genere, come il predicatore Ali Sillabi, che si rifà alla tradizione dei Fratelli musulmani. Qaedaisti quanto basta e avventurieri di ogni sorta. Sino a che punto reggerà l’arcipelago degli interessi interni con le pressioni internazionali non è dato sapere. Nulla cambia con l’elezione del nuovo responsabile del CNT, Abdul al Raheem al Qeeb. Una cosa è certa: per la stragrande maggioranza delle masse libiche, per quelle frange proletarie che si sono battute nell’illusione che qualcosa cambi, ci saranno le solite brutte sorprese. Cambieranno i padroni interni, cambieranno le presenze imperialistiche internazionali, la loro sfera di influenza sulla rendita petrolifera libica, ma per i soliti noti che lavorano nelle campagne, nell’edilizia, nelle strutture petrolifere tutto sarà come prima, forse peggio, visti i venti inarrestabili della crisi mondiale.

Menzogne di guerra

La violenza efferata con cui è stato rovesciato Gheddafi è pari solo a quella perpetrata nei confronti della verità, la perenne prima vittima di ogni guerra. Secondo i capi della NATO e i loro stretti alleati nella Lega Araba, la guerra civile in Libia è stata il risultato di un sollevamento spontaneo a imitazione di quelli nei confinanti Egitto e Tunisia. Come “Primo Mitomane” della Gran Bretagna, Cameron ha provato ad insistere:

In Libia c'è stato un trionfo. È stato il popolo libico a liberarsi da un dittatore.

Questa è la bugia numero uno. L'85% della popolazione della Libia sta semplicemente tentando di sopravvivere ad entrambi i campi di questa guerra. A differenza di Tunisia ed Egitto, la rivoluzione in Libia è diventata velocemente un conflitto tribale armato nella parte orientale del paese, in cui le forze speciali della NATO e del Qatar sono state veloci ad entrare. Infatti negli anni a venire potremmo scoprire che erano già presenti per organizzare il sollevamento, proprio come ora scopriamo le menzogne del governo Blair sulla sua complicità nella consegna agli Stati Uniti dei cittadini libici sospettati di appartenere ad Al Qaeda (secondo il Times del 6 settembre come parte di una strategia che comprendeva la restituzione a Tripoli di Megrahi, il supposto attentatore di Lockerbie) per aiutare la BP con i suoi contratti petroliferi (1).

Tuttavia, anche con l'assistenza delle forze speciali del Quatar, i loro clienti libici si sono dimostrati meno che competenti, sopraffatti anche dall'aviazione e dei carri armati di Gheddafi. Il grido si è levato quindi da Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti per una interferenza esterna più aperta, cioè l'imposizione di una “no-fly zone”. Il paravento per un tale intervento è stato quello umanitario (come nei Balcani negli anni 1990). Questa è stata la menzogna numero due. La storia che le forze di Gheddafi stavano per mettere a ferro e fuoco Bengasi e massacrare la sua popolazione è stata diffusa anche se le truppe di Gheddafi si trovavano ancora a parecchie miglia dalla città.

Citando il prof. Alan J. Kuperman,

… Il presidente Barack Obama ha grossolanamente esagerato la minaccia umanitaria per giustificare l'intervento militare in Libia. Il presidente ha sostenuto che l'intervento fosse necessario per prevenire un “bagno di sangue” a Bengasi, la seconda città più grande della Libia e ultima roccaforte dei ribelli. Ma Human Rights Watch ha rilasciato dei dati su Misurata – la seconda città più grande della Libia e teatro di combattimenti prolungati – i quali rivelano come Moammar Gheddafi non stesse deliberatamente massacrando civili, ma stesse piuttosto prendendo di mira i ribelli armati che combattevano contro il suo governo. La popolazione di Misurata ammonta a circa 400mila persone. In quasi due mesi di guerra, solo 257 persone – compresi i combattenti – vi sono morti. Dei 949 feriti, solo 22 – meno del tre per cento – sono donne... E Gheddafi non ha neppure minacciato un massacro di civili a Bengasi, come ha sostenuto Obama. Il monito “nessuna pietà”, del 17 marzo, era destinato solo ai ribelli, come riportato dal New York Times, il quale ha notato che il capo libico aveva promesso l'amnistia per “chi avesse deposto le armi”. Gheddafi ha anche offerto ai ribelli una via di fuga, aprendo il confine con l'Egitto, per evitare una battaglia “all'ultimo sangue” (2).

E molto presto divenne chiaro che l'imposizione di una no-fly zone per impedire a Gheddafi di colpire i civili era una messinscena. Nel giro di una settimana i combattenti della NATO, con il sostegno logistico essenziale degli Stati Uniti in termini di intelligence e sorveglianza aerea, e le stesse forze speciali del Quatar sul terreno (sebbene queste fossero specificamente proibite secondo i termini della risoluzione dell'ONU 1973) avevano alterato in maniera decisiva l'equilibrio di nuovo in favore dei ribelli. E, in seguito, la campagna di bombardamenti della NATO è proseguita sotto il pretesto della R2P (“responsibilità di protezione”). Le forze aeree di Gran Bretagna, Francia, Italia, Quatar ed altri paesi hanno condotto 20mila missioni nell'ambito di 8mila attacchi aerei sulla Libia occidentale in cinque mesi (che fanno in media 53 al giorno). E non sono stati solo gli obiettivi militari ad essere colpiti. L'ospedale di Zlitan è stato ridotto in macerie e il bilancio delle vittime tra i civili e le truppe di Gheddafi è stato enorme (3). La NATO ha fornito invece una stima di 12 vittime.

Solo domenica [21 agosto] ci possono essere stati a Tripoli 1300 civili morti e almeno 5000 feriti. Il ministro della sanità ha annunciato che gli ospedali stavano traboccando. Chiunque in quel momento credesse che i bombardamenti senza tregua della NATO avessero qualcosa a che fare con la R2P e la risoluzione 1973 dell'ONU stava vivendo in un reparto di cura intensiva.

Dall'articolo “Benvenuta 'democrazia' in Libia” di Pepe Escobar su Asian Times Online:

Dato che la stessa NATO sostiene di aver sostanzialmente “degradato” (cioè ucciso) le forze pro Gheddafi (100mila delle quali erano pronte a difendere Tripoli) è probabile che il bilancio delle vittime sia enorme. Questo spiega però come Tripoli sia caduta così rapidamente di fronte ai combattenti del Consiglio Nazionale Transitorio (TNC). Anche adesso i bombardamenti aerei continuano, mentre le milizie del TNC si avvicinano alle ultime tre aree ancora nelle mani dei sostenitori di Gheddafi. Il nome della partita è stato “cambio di regime” per tutto il tempo, una cosa che il programma Today di Radio 4 ha apertamente ammesso il 13 agosto. Ed anche Cameron lo ha parzialmente ammesso nella parte del suo discorso in cui ha detto: “Sono state la Gran Bretagna e la Francia, con gli Stati Uniti, a chiamare la fine di Gheddafi, cinque mesi fa (4)”...

Perché questa smania di liberarsi di Gheddafi?

Ma perché sono così smaniosi di liberarsi di Gheddafi, che ha cooperato con l'occidente per un decennio? Come abbiamo scritto su Revolutionary Perspectives 58:

Il fatto che la guerra sia chiaramente condotta non per proteggere i civili è mostrato dall'indifferenza che le potenze occidentali mostrano per le centinaia di civili morti in Bahrain e i 1600 o più civili che sono stati uccisi fino a questo momento dalle pallottole del regime siriano.

Gheddafi non era più il “cane pazzo del medio oriente” (Reagan) che l'occidente aveva provato ad assassinare nel 1986. Sotto la pressione internazionale delle sanzioni che abbatterono quasi il suo regime, negli anni 1990 aveva già ceduto alla pressione occidentale. Quando l'URSS crollò, nel 1991, venne meno un sostegno importante su cui poteva contare. Le sanzioni avevano ridotto il reddito pro capite libico del 20% negli anni 1990 e questo portò a molte rivolte nella Libia orientale (la vecchia Cirenaica). Gheddafi le represse brutalmente con l'esecuzione di 1200 persone, solo in una prigione di Tripoli (Abu Salim – vedi sotto). Il colonnello tentò quindi di venire a patti con l'occidente. Consegnò l'accusato di Lockerbie, fornì sostegno alla guerra contro il terrorismo, rinunciò alle ambizioni sulle armi nucleari, mentre aveva smesso già da tempo di mandare armi alla Palestina, all'IRA ecc. Tutto ciò però non può spiegare ancora il motivo per cui la NATO ha preso di mira lui e, ad esempio, non la Siria. La risposta ovviamente non è semplice, dato che le ragioni dell'imperialismo sono complesse e spesso apparentemente contraddittorie, ma se non fosse stato per il il petrolio, le attenzioni imperialiste si sarebbero focalizzate certamente altrove.

La Libia è la più grande economia petrolifera del continente africano. Detiene il 3.5% delle riserve mondiali accertate di petrolio. Oltre a ciò, il suo “sweet light crude” ha un contenuto di zolfo che è tra i più bassi del mondo. È immensamente profittevole, dato che la produzione costa solo 1 $ al barile, in un momento in cui i prezzi del petrolio in tutto il mondo superano di oltre cento volte questa stima. Gheddafi è stato immensamente abile nel giocare sulla competizione tra le compagnie petrolifere, mettendole l'una contro l'altra. Quando il suo Comando del Consiglio Rivoluzionario si insediò al potere, dopo il rovesciamento quasi incruento del fantoccio re Idris nel 1969, aveva ereditato, con la legge sul petrolio del 1955, una situazione unica a quel tempo tra i produttori di petrolio. L'intera industria petrolifera non era stata consegnata ad una sola compagnia (come per esempio in Iran o in Arabia Saudita) e tutti i contratti erano a breve termine (5 anni al massimo). Quindi il rais poté premere su queste compagnie per aumentare i proventi e, quando le compagnie non si dimostrarono d'accordo, si liberò di loro, mentre la Compagnia Petrolifera Nazionale Libica (Libyan National Oil Company) rilevava le loro attività. Entro il 1979, i proventi petroliferi della Libia erano quintuplicati e il reddito pro capite raggiunse i 10mila $ all'anno. La Libia era la nazione più ricca d'Africa, con assistenza sanitaria e istruzione gratuite (anche se, pare, non di grande qualità). Sebbene l'80% del cibo fosse importato, questo era distribuito a prezzi calmierati. Ma il 1979 fu anche l'anno in cui gli Stati Uniti inserirono la Libia nella loro lista degli stati sponsor del terrorismo e cominciò il regime delle sanzioni. Come detto, questo portò il regime ad una crisi, esacerbata dal fatto che i principali beneficiari dei proventi petroliferi erano i sostenitori di Gheddafi nella parte occidentale del paese (la vecchia Tripolitania), la sua tribù e, in maniera crescente, la sempre più folta famiglia del Colonnello.

La sopravvivenza di Gheddafi per 42 anni è stata quindi in gran parte dovuta ad una combinazione di brutalità e benessere economico. E fu anche dovuta alla sua spregiudicatezza nel giocare sulle rivalità tra i vari imperialismi. Ma, quando le sanzioni terminarono nel 2003, fece due errori di calcolo. Il primo fu che aprì la competizione per l'esplorazione del petrolio libico ai cinesi. Nel 1960 le cosiddette sette sorelle, le compagnie petrolifere britanniche e americane, controllavano la produzione di petrolio mondiale al di fuori del blocco orientale. Gli alleati della NATO potevano tollerare il gioco duro della Libyan National Oil Company, ma quando sono arrivati a rischiare di perdere ulteriore terreno a livello strategico in Africa e nel mercato petrolifero, a favore della Cina, nel bel mezzo di una crisi economica globale, hanno ritenuto che ormai si fosse andati troppo avanti. L'anno scorso, l'11% del petrolio della Libia fu destinato alla Cina e il Chinese National Oil Consortium aveva 30mila lavoratori in Libia. Quando Gheddafi minacciò di nazionalizzare tutte le attività occidentali, il 2 marzo, e invitò le compagnie petrolifere di Russia, Cina e Brasile a prendere i nuovi contratti, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Appena un paio di settimane dopo, fu approvata la risoluzione dell'ONU che apriva sostanzialmente la strada ai bombardamenti della NATO sulla Libia (il 19 marzo). In maniera non sorprendente, Russia, Cina e Brasile furono tra i paesi che scelsero di astenersi.

Ma non è stato questo l'unico errore di calcolo di Gheddafi. Molti politici statunitensi hanno ripetuto quanto detto il 21 marzo dal membro del Congresso Ed Markey:

Be', noi siamo in Libia a causa del petrolio. Ed io penso che sia il Giappone, con la sua tecnologia nucleare, che la Libia, con questa dipendenza che abbiamo dalle importazioni di petrolio, hanno dimostrato entrambe ancora una volta la necessità che gli Stati Uniti si diano un preciso programma sulle energie rinnovabili e che lo portino avanti.

Comunque, per gli Stati Uniti, ed in misura minore per i capitalisti della finanza in Europa, la situazione è un po' più complessa. A parte le sempre presenti questioni riguardanti sia il Medio Oriente che l'Africa, il bisogno di controllare la produzione di petrolio è, come nel caso dell'Iraq (5), anche diretto a mantenere il dollaro, in declino, come base del sistema di commercio mondiale. Saddam Hussein aveva cominciato a vendere petrolio in euro per non accollarsi i problemi debitori degli USA negli anni 1990. Stava anche incoraggiando altri Stati a fare lo stesso. In maniera simile si stava comportando Gheddafi. Sebbene gli Stati Uniti avessero offerto alla Libia enormi prestiti in dollari, Gheddafi ha continuato sulla sua strada, con una proposta che mirava ad escludere il dollaro dal mercato africano. Aveva tirato fuori l'idea di sostituire la moneta stampata con un dinaro d'oro, in modo tale da evitare di restare soggetti alle fluttuazioni delle monete, a cui la fine degli accordi di Bretton Woods nel 1971 aprì le porte. Abbandonando l'agganciamento del dollaro all'oro, gli Stati Uniti hanno trasferito il fardello del loro debito sull'economia del mondo intero. L'idea di Gheddafi era quella di riorganizzare di nuovo l'economia mondiale attorno all'oro come standard, per la prima volta dopo il Crollo di Wall Street! Questo sarebbe stato un disastro per il sistema bancario ma ancor di più per gli Stati Uniti.. Come abbiamo spiegato altre volte, la più grande potenza imperialista sul pianeta dipende completamente dalla circolazione di petrodollari per evitare le conseguenze della sua crisi (6). Gheddafi aveva cominciato a convincere la maggior parte dei paesi africani e molti paesi mediorientali e asiatici che questa era la soluzione per quei paesi che dipendono per larghissima parte dei loro introiti dal commercio di una singola merce. Ciò avrebbe tuttavia minato il dominio sull'economia mondiale delle istituzioni finanziarie globali (in stragrande maggioranza basati negli USA ed in Europa). Si aggiunga a questo il fattore sottolineato da Eric Encina su Market Oracle:

Un fatto raramente citato dai politici occidentali e dagli esperti chiamati dei media: la Banca Centrale Libica è posseduta al 100% dallo Stato... Attualmente, il governo libico stampa il suo denaro, il Dinaro Libico, attraverso le strutture della sua stessa banca centrale… Uno dei maggiori problemi dei cartelli bancari globalisti è che devono passare dalla Banca Centrale Libica e dalla sua moneta, un posto in cui loro hanno un dominio o un potere di contrattazione prossimi allo zero assoluto. Quindi, l'abbattimento della Banca Centrale Libica (CBL) potrebbe non figurare nei discorsi di Obama, Cameron e Sarkozy, ma la questione è certamente in cima all'agenda dei globalisti, per assorbire la Libia nel novero delle nazioni cooperanti (7).

La Banca Centrale Libica non aderisce alla Banca dei Regolamenti Internazionali (il FMI del mondo finanziario, costituito da 55 tra i principali istituti bancari mondiali) e quindi non è soggetta alle regolamentazioni internazionali. Oltre a questo, possiede 144 tonnellate di oro (8) nei suoi forzieri, che ne fanno la seconda più grande detentrice al mondo di oro pro capite (dopo il Libano). Con i prezzi dell'oro che stanno continuando a salire, e il dollaro che si svaluta di giorno in giorno, era molto sensato parlare di un dinaro d'oro. La UAE e molti altri paesi con economie simili hanno cominciato a prendere in seria considerazione l'idea. C'è poco da meravigliarsi quindi che Sarkozy a marzo si fosse riferito allo Stato libico come a “una minaccia al sistema finanziario mondiale”. Spiega anche perché i ribelli libici abbiano insediato la loro banca nazionale a Bengasi nel marzo scorso, prima ancora di avere alcuna struttura politica. Questa azione senza precedenti non solo ha permesso loro di ottenere finanziamenti attraverso una compagnia inglese chiamata Vitol (collegata al ministro Alan Duncan del governo conservatore) che ha venduto il petrolio libico sul mercato mondiale (inizialmente con l'aiuto del Qatar) per finanziare la lotta anti Gheddafi (8).

Allo stesso tempo preparava il terreno per ricevere le proprietà libiche all'estero che Hilary Clinton aveva congelato negli USA in maniera discreta. Con la produzione di petrolio, che dopo la guerra probabilmente richiederà un anno per ritornare ai livelli normali, le attività di questa nuova banca saranno cruciali per stabilire linee di credito. Alla fine di quell'anno, tuttavia, il nuovo governo libico sarà già impegnato con i suoi amici occidentali e il loro sistema bancario. Il “dinaro d'oro” sarà dimenticato e potremo aspettarci che la Libia sia integrata nel sistema bancario mondiale.

Una sollevazione popolare?

Molti hanno paragonato la rivolta di Bengasi con le sollevazioni popolari in Tunisia ed Egitto, ma è un accostamento improprio. Il rovesciamento di Ben Ali e Mubarak ha reso l'opposizione libica più determinata e il regime più fragile, pronto a sbriciolarsi al più flebile segno di protesta. Secondo alcune fonti, lo scorso dicembre, nei primi giorni della rivolta che in 17 giorni ha rovesciato Ben Ali in Tunisia, alcune famiglie di Bengasi che stavano aspettando di essere risistemate altrove dallo Stato, avevano occupato un piccolo complesso residenziale. Il regime, spaventato da quanto stava accadendo in Tunisia, reagì in maniera esagerata e la repressione violenta che ne seguì divenne l'ultima goccia per molti degli abitanti di Bengasi. Questi non avevano condiviso le ricchezze derivanti dal petrolio allo stesso modo che la metà occidentale del paese, in una situazione che ha portato a rivolte occasionali nel corso degli anni. In risposta a queste rivolte, il più famoso atto del regime fu il massacro di 1200 prigionieri (provenienti dall'est del paese) nella prigione di Abu Salim nel giugno del 1996. Ci vollero anni prima che la verità emergesse, ma la ferita lasciata aperta da questo massacro sta dietro alle prime proteste, quando l'avvocato Fathi Terbil, che aveva difeso molti degli arrestati, fu egli stesso arrestato il 15 febbraio. Sebbene sia stato rilasciato il giorno dopo, i partecipanti alle proteste di Bengasi avevano già deciso di istituire un giorno della rabbia per il 17 febbraio. Questo fu l'inizio della lotta contro Gheddafi, ma non fu un movimento popolare nel senso del movimento tunisino o egiziano. Divenne invece molto velocemente una guerra civile, dato che ogni tribù era armata autonomamente e molti nella Libia occidentale godevano di benefici economici concessi dal regime di Gheddafi e perciò erano pronti a combattere per lui.

Anche la stessa struttura della società libica non forniva terreno adeguato ad una diffusa protesta popolare. Gheddafi la mantenne deliberatamente in quella forma. Non solo creò la Jamahiriya (una repubblica delle masse) in cui tutti i partiti politici, i sindacati e altre istituzioni delle normali società civili erano vietati, ma favorì deliberatamente il tribalismo, allo scopo di poter stringere accordi con ogni gruppo negoziando con gli anziani. Quando arrivò al potere, il 75% della popolazione era beduina e, come in tutti gli altri Stati ricchi di petrolio del Medio Oriente, la classe operaia era per la maggior parte straniera (importata principalmente dall'Egitto ma anche dall'Africa sub-sahariana e dall'Asia orientale). I “lavoratori” libici erano da cercare nelle sinecure delle burocrazie statali, che erano di conseguenza afflitte da corruzione e sprechi. La maggior parte degli impiegati si presentava al lavoro solo per mezza giornata, dato che aveva altre maniere di ottenere redditi supplementari.

Chi sono allora questi combattenti che imbracciano Kalashnikov e che scorrazzano su pickup attrezzati con pesanti armi da fuoco? Sono principalmente i più giovani elementi all'interno delle tribù orientali, quelli a cui è stato sempre negato l'accesso ai sussidi legati alla ricchezza petrolifera libica. Per la maggior parte, quelli che hanno preso Tripoli sono berberi delle montagne del sud. Sono salafisti (cioè i fondamentalisti islamici più ottusi). Loro non gridano “Allah u Akbar” solo per tenere alto il morale (come ha provato a sostenere un giornalista della BBC). Non stanno combattendo per stabilire una “democrazia” di tipo occidentale, ma per insediare uno stato islamico (la bandiera che agitano è quella della vecchia monarchia e il figlio di re Idris aspetta speranzoso dietro le quinte). L'unica altra cosa che figura nel loro programma (e che rappresenta il reale contenuto unificante della rivolta) è una “redistribuzione dei proventi petroliferi”.

Ci sono già resoconti di atrocità commesse dalle milizie. Qualsiasi maschio africano rischia facilmente di essere ucciso come sospetto mercenario e la violenza sessuale sulle donne africane è all'ordine del giorno (9). Qualsiasi casa che mostri un poster di Gheddafi è data alle fiamme. Le potenze della NATO potrebbero star dando la vita ad un incubo, proprio come hanno fatto in Afghanistan, quando chiusero un occhio sull'islamismo durante la lotta contro l'imperialismo sovietico. I servizi segreti francesi avevano già trovato il loro referente politico nell'opposizione, nella figura del comandante in capo delle truppe NTC, il Generale Abdel Fattah Younes, ucciso dalla Fratellanza Islamica alla fine di luglio. Da ministro degli interni, fu uno dei primi ad abbandonare Gheddafi, il 25 febbraio. Ma era sospettato di mantenere legami con l'uomo che aveva aiutato a salire al potere nel 1969. La cosa preoccupante per la maggior parte dei capi del TNC di Bengasi è che molti di loro sono vecchi transfughi dalle file del regime di Gheddafi. Hanno annunciato che non andranno a Tripoli a breve termine, dato che sarebbe troppo pericoloso. Ma con Gheddafi ormai passato, quello che devono davvero temere è porsi nelle manu dei salafiti che pattugliano la città. È quindi probabile che qualsiasi processo post-Gheddafi sia lacerato da problemi. A differenza dell'Iraq, le potenze occidentali stanno al di fuori del processo diretto di costruzione dello Stato. Invece sperano che i regni di Giordania, Qatar e gli UAE (Emirati del Golfo) si dedichino a questo compito. Ciò che delle monarchie dinastiche possano fornire come contributo, per la creazione di una “Libia libera, democratica ed inclusiva”, non è affatto chiaro. Nel momento in cui scriviamo Gheddafi non è stato ancora trovato e quindi ci sono abbastanza motivazioni per mantenere assieme la coalizione di Bengasi, per ora. I problemi veri arriveranno in seguito.

Nel frattempo, quale dovrebbe essere la posizione dei rivoluzionari? Quella che è sempre stata: quella del disfattismo rivoluzionario. Nè Gheddafi, né i suoi oppositori hanno niente da offrire alla classe lavoratrice. Il mito, che alcune organizzazioni della cosiddetta sinistra (di solito di origine trotskista) stanno diffondendo, è che questa sia una rivolta popolare che dovrebbe essere appoggiata, anche se è stata preparata e portata al potere dalle bombe della NATO. Questo dimostra solo quanto queste organizzazioni siano compromesse col capitalismo. Esse sostengono che la rivolta popolare corra il rischio di venir deragliata dalla NATO, quando invece qui non si tratta affatto dell'Egitto o della Tunisia. Dall'inizio si è trattato di una guerra tribale e di opportunità imperialiste. Data la struttura di classe della Libia e la debolezza della classe lavoratrice indigena, essa potrà solo liberarsi nel processo di una rivoluzione mondiale che spazzi via tutti i Gheddafi, le NATO e i Consigli Nazionali Tansitori di tutto il pianeta.

Jock

(1) Si crede che il documento trovato da Human Rights Watch nel vecchio ufficio di Moussa Moussa, l'ex-ministro degli esteri con cui i servizi segreti inglesi avevano concertato la consegna e la tortura di Abdul Hakim Belhadj, sia stato scritto da Sir Mark Allen. Allen si è licenziato l'anno scorso, dopo essere stato sostituito al vertice del MI6. Ora è un consulente della… BP.

(2) japanfocus.org

(3) Secondo il Daily Telegraph, 9000 membri delle truppe di elite Khamis Brigade, “un obiettivo particolare dei bombardamenti della NATO” sono stati uccisi nella sola Tripoli. telegraph.co.uk

(4) huffingtonpost.co.uk

(5) Vedi “Permanent War in American Capitalism’s Response to the Crisis” su Internationalist Communist 22.

(6) Vedi per esempio “Squaring the Circle – the Contradictions of US Imperialism in Iran, Turkey and Pakistan” su Revolutionary Perspectives 44, oppure “US Imperialism’s Hundred Years War” su Revolutionary Perspectives 45, ma ci sono molti altri articoli su questo argomento sui numeri precedenti.

(7) marketoracle.co.uk

(8) Vedi Javier Blas “L'accordo del principale negoziatore con i ribelli ha alimentato la spinta finale per la vittoria” sul Financial Times del 6 settembre.

(9) Vedi Wyre Davies su bbc.co.uk

Mercoledì, July 11, 2012