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Home ›La lotta dei facchini e l’intervento politico
Avevamo già commentato l’accordo di luglio scorso alla Granarolo, sottoscritto dai sindacati confederali e dallo stesso SiCobas (1). Quell’accordo non solo rappresentava una sconfitta (le sconfitte purtroppo fanno parte dello scontro di classe…) ma di più: creava divisione tra i lavoratori e permetteva alla controparte di addormentare la lotta in un momento molto delicato. Non stiamo ovviamente sostenendo che se non ci fosse stato l’accordo tutto sarebbe andato a gonfie vele, bensì che esso in quel momento ha inciso negativamente sullo sviluppo della lotta dei facchini. Per i lavoratori è arrivata in seguito anche la beffa: la parte padronale non ha applicato pienamente l’accordo sottoscritto. Recentemente sono quindi riprese le agitazioni (2), con picchetti e manifestazione di solidarietà. Al momento in cui scriviamo la situazione è ancora incerta ma questo articolo vuole andare oltre il bilancio della vertenza in sé, proponendo alcuni spunti di riflessione politica.
1 - Ci siamo sempre rifiutati di stare alla finestra ad osservare passivamente gli sviluppi della lotta di classe. Più volte abbiamo ribadito che è dovere politico dei comunisti vivere il fenomeno classe. Non solo perché negli episodi di reazione proletaria bisogna schierarsi, ovviamente, a sostegno della classe sfruttata ma anche perché l’esperienza sul campo costituisce un elemento fondamentale nella vita di una organizzazione comunista. Bisogna innanzitutto esserci quindi, ma come? Quali obiettivi politici porsi durante l’intervento? La risposta a questa domanda è fondamentale perché le lotte prima o poi finiscono ed esse, sul piano rivendicativo, si possono vincere o perdere (3).
Terminata la lotta cosa resta ai lavoratori? Nel migliore dei casi una vittoria economica parziale, nel peggiore… solo delusione e rassegnazione. Per tale ragione crediamo che sia compito di una minoranza politica stimolare i lavoratori – e i giovani che si pongono a sostegno della classe proletaria – a vivere la lotta guardando oltre la lotta stessa. Pensiamo che questo lavoro di stimolo politico debba essere portato avanti affrontando, innanzitutto, alcune tematiche fondamentali. 1) Spiegare il legame tra le attuali condizioni di sfruttamento e i meccanismi di funzionamento del capitalismo. Partecipare attivamente alle lotte ma evidenziando anche, e nei giusti modi, il limite della lotta rivendicativa stessa, che da sola non potrà mai assicurare il reale benessere per tutti i proletari. Mostrare quindi chiaramente la necessità di superare questo sistema economico e sociale. 2) Smascherare i classici miti di sinistra ( “lotte di liberazione”, pacifismo, femminismo, il mito della resistenza ecc.) e le esperienze del cosiddetto “socialismo reale” (Russia stalinista, Cina, Cuba, ecc.), spiegando che il capitalismo di stato realizzato in questi paesi non ha nulla a che fare con il comunismo. 3) Denunciare le illusioni riformiste: dalla “nazionalizzazione delle aziende in crisi”, al “reddito di cittadinanza”, al voto per il “meno peggio”. 4) Fare chiarezza sul programma comunista, proponendolo come unica alternativa politica per la quale bisogna battersi: presa del potere da parte del proletariato, abolizione della proprietà privata, socializzazione dei mezzi di produzione, produzione volta al soddisfacimento dei bisogni e non al profitto, fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Bisogna sfruttare ogni momento per fare chiarezza, attraverso il dialogo con i lavoratori, un volantino, il giornale, un opuscolo, le riunioni. Sappiamo quanto questo lavoro sia difficile, bisogna perciò agire in tale direzione dotandosi di strumenti adeguati, facendo anche tesoro dell’esperienza. Non bisogna invece commettere l’errore di rimandare al domani un lavoro che va fatto sin da subito.
2 - Solo se nelle lotte circolano chiaramente questi contenuti, solo quando ci saranno lavoratori che inizieranno a farli propri, a partire dalle minoranze più combattive, anche una sconfitta sul piano rivendicativo inizia a diventare per la classe un passo in avanti sul piano politico.
Da questo punto di vista la lotta dei facchini ha messo in evidenza molti limiti. Un esempio lampante è stata la manifestazione del 1 febbraio a Bologna, dove prevaleva la presenza di militanti provenienti da diverse realtà politiche. Gli interventi fatti dal furgoncino del corteo mostravano chiaramente l’assenza di contenuti comunisti. La nostra sensazione, inoltre, è che il livello politico si sia notevolmente abbassato rispetto alle manifestazioni precedenti. Si sono accentuati gli aspetti riformistici – “diritti costituzionali”, “lavoro dignitoso per tutti”, “contratto nazionale”, “reddito per tutti” – a scapito di quelli, almeno formalmente, un po' più classisti e anticapitalisti.
È bene precisare che questi limiti non sono da addossare ai facchini, bensì – a nostro modo di vedere – sono il riflesso dell’impostazione politica delle realtà organizzate intervenute nella lotta. È infatti “naturale” che una lotta di lavoratori – la quale nasce sotto il pungolo delle condizioni materiali vissute – non si spinga oltre la battaglia rivendicativa e se lo fa, al limite, si muove pescando slogan nel mare ideologico riformista. È compito delle minoranze politicizzate spingere i lavoratori oltre questi steccati.
Abbiamo da sempre seguito le vicende dei facchini sul territorio emiliano, anche noi siamo tra i “solidali”. Abbiamo visto compagni provenienti da differenti realtà politiche – e diversi giovani – porsi al sostegno della lotta. Non possiamo che apprezzare l’impegno di chi, al di là della provenienza sociale e del lavoro che svolge, mette al centro della propria attività la classe proletaria, prendendosi anche denunce e manganellate. Tutti dobbiamo agire attivamente per lo sviluppo delle lotte proletarie, ci mancherebbe, ma non possiamo ridurre il nostro ruolo a questo. Le lotte potranno assumere carattere più esteso solo se saranno alimentate dalla partecipazione attiva dei lavoratori, partecipazione che potrà nascere sotto il pungolo delle condizioni oggettive. Dobbiamo dare il nostro contributo ma non possiamo pretendere di essere noi “solidali” il motore delle lotte, mentre a nostro modo di vedere risulta indispensabile l’impegno verso il lavoro di stimolo politico, volto alla maturazione della coscienza rivoluzionaria.
Vediamo invece che prevale tra le diverse realtà politiche l’idea di porsi semplicemente come stimolo e organizzatori delle lotte, rimandando – nel migliore dei casi – ad un indeterminato domani l’azione politica in senso rivoluzionario, per ripiegare oggi su un programma radical-riformista. L’anticapitalismo – sempre nel migliore dei casi – si presenta solo sotto forma di slogan, non si parla mai dell’alternativa comunista. Vediamo, insomma, completamente mancare quel lavoro chiarificatore comunista del quale parlavamo in apertura.
3 - Tra queste realtà politiche vanno considerate anche le sigle del sindacalismo di base. I sindacati di base infatti agiscono sì prevalentemente sulle tematiche vertenziali ma sono nati su iniziativa di militanti politici, rispecchiando l’impostazione di chi li ha fondati e oggi li dirige (4).
Alla base della costituzione di queste organizzazioni politiche/sindacali c’è l’obiettivo di porsi come il nuovo “sindacato di classe”. Nell’epoca del capitalismo monopolistico, ed a maggior ragione in questa fase di crisi, ipotizzare la nascita di un organismo permanente della contrattazione della forza-lavoro (sindacato) che possa assumere le stesse caratteristiche di lotta proprie dei sindacati nati nell’800 rappresenta per noi una vera illusione (5). Gli stessi lavoratori negli anni ci hanno dimostrato questo, costretti più volte a scavalcare i sindacati per dare vita a “semplici” organismi di lotta, legati alla vertenza stessa e dalla lotta alimentati.
Chi continua a riproporre la necessità del “sindacato di classe” non fa altro che cercare di applicare al presente lo sviluppo della lotta di classe guardando a schemi del passato, una impostazione che, al di là della volontà, porta a indebolire la classe proletaria, su ogni piano. Cercando di imporre artificiosamente una schema di lotta proprio di altre epoche storiche, alla lunga questa impostazione potrà incidere negativamente sullo sviluppo stesso della battaglia rivendicativa. Ma, al di là di tale aspetto, quello che più di ogni altra cosa ci preme evidenziare sono le ripercussioni che questa impostazione produce sul piano strettamente politico. Le energie dei lavoratori più combattivi, che emergono dalle lotte, vanno indirizzate secondo noi non verso la formazione di un improponibile “sindacato di classe”, bensì verso il lavoro di costruzione di strumenti che siano sì permanenti ma politici, che vadano oltre la lotta rivendicativa attestandosi quindi sul programma comunista. Queste energie vanno quindi indirizzate verso il lavoro di costruzione del partito internazionale del proletariato e delle sue articolazioni politiche nella classe (6).
Il sindacalismo di base si conferma essere, a nostro modo di vedere, la “cinghia di trasmissione” del radical-riformismo (7), ma esso non soltanto instilla illusioni all'interno della classe, non solo va a parole al di là delle compatibilità del sistema per poi rinculare sulle stesse, ma “rischia” in una fase di ripresa delle lotte di rimanere sul proprio terreno “naturale” – quello della rivendicazione – contrastando, volendo o meno, qualsiasi possibilità di progresso della classe sul piano politico.
Per concludere. Il nostro atteggiamento non è quello di chi intende guardare dall’alto, con aria aristocratica, gli episodi di risveglio della classe: “Dire che le lotte rivendicative sono inutili sarebbe come dichiarare inutili a un qualunque evento le condizioni di maturazione dell'evento stesso”(8); e nemmeno ci interessano le polemiche con altre realtà politiche. Il nostro è l’atteggiamento di chi vuole sì “sporcarsi le mani”, agendo negli episodi di lotta, ma allo stesso tempo ritiene che sin da oggi bisogna porre in queste lotte l’attenzione sul problema politico. Invitiamo quindi quei lavoratori, e i giovani, che voglio dare sostegno alle lotte, ma allo stesso tempo agire politicamente in queste, a contattarci, per iniziare ad approfondire le nostre posizioni sull’argomento e magari a darci una mano.
NZ(1) Vedi Fatti e misfatti del sindacalismo “di base” e Le lotte della logistica e il nostro intervento. Tutti gli articoli citati nelle note sono consultabili sul sito web.
(2) Vedi Solidarietà ai facchini della logistica per il superamento del capitalismo.
(3) Non basta, purtroppo, lottare per vedere migliorate le proprie condizioni, in particolare in questa fase storica del capitalismo.
(4) Lo stesso SiCobas non è nato per iniziativa dei facchini in lotta bensì per l’impegno di militanti provenienti diverse esperienze politiche.
(5) Rimandiamo ai numerosi articoli sul web per l’approfondimento di questo tema.
(6) Quelli che chiamiamo GIFT, strumenti emanazione del partito che partendo dalle questioni specifiche del lavoro diffondono sui luoghi di lavoro le posizioni comuniste.
(7) Il sindacalismo di base si conferma essere, a nostro modo di vedere, la “cinghia di trasmissione” del radical-riformismo. Basta consultare il sito web delle diverse realtà sindacali per accorgersi dell’assenza di principi politici comunisti e l’ampio spazio dato ai miti di sinistra e al programma riformista. Per approfondire questo aspetto invitiamo alla lettura di Critica al Coordinamento No Austerity e al sindacalismo radicale.
(8) Da “Sindacati - Equivoci da sciogliere”, articolo del quale invitiamo la lettura.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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