Vigili di Roma - L’ennesimo “scandalo assenteismo”

A chi e a cosa serve stigmatizzare i “fannulloni”?

Ricordate il Brunetta che qualche anno fa tuonava contro i lavoratori del pubblico impiego, etichettandoli come fannulloni, perditempo ed assenteisti? La storia si ripete – dite? No, la storia continua.

E in essa anche rubricare dati falsi e ingigantiti oltremisura è perfettamente funzionale per lanciare l’ennesima crociata contro i lavoratori, stavolta comunali (1), necessaria per far passare il licenziamento facile anche lì. A marzo l’UE riguarderà i conti italiani e ci potrebbe chiedere altri 6 miliardi di tagli, ovviamente alla componente stipendi della spesa pubblica e alla spesa sociale (salario indiretto).

Dati falsi, sì. Perché quell’83% di assenteisti è vero se riferito ai circa 800 agenti assenti sui 1000 in servizio quella notte, ma è assolutamente falso se riferito all’intero organico dei vigili romani (circa 6.000 agenti).

In guerra la verità è la prima vittima.

Eschilo

Inutile specificare a quale “guerra”, peraltro permanente, qui ci riferiamo: quella di classe.

Ma al di là dei dati falsi sbandierati dalla propaganda del governo, se gli agenti romani hanno preferito rinunciare (per una singolare quanto individuale protesta) ad uno straordinario pagato 4 volte l’ordinario, ci sarà pure un motivo sul quale valga la pena indagare. E’ vero, i furbi ci son sempre stati, come sostiene anche la saggezza popolare. Ma davvero i vigili romani calzano al casus belli così abilmente confezionato?

No. Piuttosto si tratta di un’ennesima una brutta storia “scandalistica” - farcita di dati truccati, ricatti e intimidazioni, rimpallo di responsabilità e beghe tra partiti - che, per inciso, si distingue per la sua spettacolare tempestività: il grido allo “scandalo” avviene infatti a soli pochi giorni dall’accendersi della polemica parlamentare sull’opportunità di estendere o meno, e come, la validità delle norme del jobs act anche al settore pubblico. Un caso? Non crediamo. Ma andiamo ai fatti.

Contesto e retroscena: il casus belli

Prima di pronunciarci nel merito dei “fatti del Capodanno romano”, riteniamo utile ed opportuno disegnare brevemente il vero contesto e i veri retroscena, taciuti ad arte dalla campagna propagandistica (governativa e giornalistica) “anti-fannulloni” e dunque, per la maggiore, sconosciuti ai più.

Il dato di partenza è in realtà una vertenza che si trascina ormai da tempo tra i 24.000 dipendenti (2) del Comune di Roma (di cui i vigili sono il contingente più numeroso e significativo: quasi 6.000) e la Giunta Marino sulle nuove privatizzazioni delle municipalizzate (già indicato nel bilancio) e la riduzione del salario accessorio di alcune centinaia di euro a fronte di un aumento delle ore da lavorare (in particolare nel settore scolastico). Un braccio di ferro il cui livello di scontro (almeno ai tavoli sindacali…) si è recentemente innalzato quando il Comune - a fronte del mancato rinnovo del contratto nazionale - ha deciso di imporre ai lavoratori il nuovo “contratto decentrato unilaterale”, un regolamento contrattuale firmato peraltro solo dall’azienda con il mancato accordo dei sindacati di categoria. Più nel dettaglio una “rivoluzione contrattuale”, unilaterale e imposta arbitrariamente, che comporterà:

TAGLIO DEI SALARI: con un perdita media stimata sugli stipendi (mediamente di 1.200-1.600 euro) compresa tra 100-200 e 400-500 euro mensili

AUMENTO DEI CARICHI DI LAVORO E IMPOSIZIONE DI MAGGIORE FLESSIBILITÀ NEI TURNI: imposizione di maggiore disponibilità oraria ad una remunerazione inferiore adottata con questi strumenti: a) possibilità di MODIFICARE UNILATERALMENTE L’ORARIO DI SERVIZIO (turni) con un preavviso di sole 48 ore (come peraltro avvenuto la notte di Capodanno per centinaia di vigili) e con obbligo di accettazione del cambio; b) TRASFERIMENTI DI SEDE (anziché di funzione) NON REMUNERATI: condotti “in nome del contrasto alla corruzione”…) e dunque comportanti aggravi di spese a carico dei lavoratori per gli spostamenti

UTILIZZAZIONE PIU’ AMPIA DELL’ISTITUTO DELLA REPERIBILITÀ, istituto (peraltro molto costoso per la P.A.) previsto sinora solo in casi di estrema necessità e per estreme emergenze come una calamità naturale, ad es. (e non certo per un concerto in piazza, evento la cui gestione è ampiamente programmabile per tempo e in anticipo)

ELIMINAZIONE DELLE INDENNITÀ di disagio notturno e festivo: lavorare più e peggio per guadagnare meno. I lavoratori calcolano un danno salariale di 5.500 euro l’anno (3).

MANCATO RINNOVO DEL CONTRATTO NAZIONALE

RIDUZIONE SISTEMICA DI PERSONALE E BLOCCO DELLE ASSUNZIONI, malgrado l’attuale sotto-organico rispetto alle reali necessità in relazione al numero di abitanti della capitale (6.000 attuali su circa 9.400 necessari: ne mancano dunque circa 1/3 all’appello, e non certo per… “assenteismo”!)

INTRODUZIONE DELLA VALUTAZIONE di PRODUTTIVITÀ: che verrebbe esercitata da “commissioni ad hoc” per la valutazione del “rendimento” dei singoli dipendenti pubblici (4).

Una imposizione contrattuale unilaterale, dunque, tutta ispirata alla legge Brunetta del 2009 (5), che il governo Renzi vuol semplificare per rendere più efficace ed immediatamente applicabile. Serviva allora un valido “leit motif” per giustificare l’accelerazione che si vuol dare con questa estensione di fatto del jobs act ai lavoratori pubblici.

È solo l’ennesima crociata – ieri berlusconiana, oggi renziana – condotta, sotto l’effige dell’efficienza e dell’eliminazione di sprechi e privilegi, contro i lavoratori del pubblico impiego, una volta mazziati a dovere quelli del privato.

Ecco i fatti e le dinamiche della vicenda: iniziative e ritorsioni

Il Comando ha lavorato coi propri giuristi per rintracciare ogni limite contrattuale e di legge e obbligarci a fare in ordinario ciò che in straordinario non sarebbe stato coperto_ (per protesta, ndr). A queste condizioni – dicono i vigili – _meglio lavorare negli uffici che per strada (6).

Il servizio di Capodanno necessitava, per l’entità delle iniziative di intrattenimento messe in opera dal Comune (concertone in primis), di almeno 700 unità aggiuntive, di solito reperite in forma di straordinario, fra l’altro ben remunerato (circa 4 volte un turno normale: circa 220 euro in più in busta paga). Comune di Roma e Comando lo sapevano bene. Ma allora, come mai sono stati regolarmente concessi permessi-ferie a ben 4.000 agenti?! Sarebbe stata solo una questione di buona organizzazione preventiva, malgrado le carenze di organico, direbbe qualcuno. E invece…

Come si sa lo straordinario non può essere “imposto” – come invece si è tentato di fare quella notte - ed è per questo che viene incentivato economicamente. Ma l’imposizione di fatto era evidentemente l’abile e intenzionale mossa dei vertici del Comando e del Comune di Roma per confezionare il “casus belli” su cui poi sarebbe calzato a pennello il tweet del buon Renzi:

Ecco perché nel 2015 cambiamo le regole del pubblico impiego. (…) Le abbiamo già inserite in un disegno di legge che è all’attenzione del Parlamento. Si chiama democrazia.

Come forma di protesta attuata per il rifiuto della Giunta Marino di “discutere” coi sindacati, questi ultimi avevano in precedenza deciso di non iscriversi agli straordinari nel periodo 20 dicembre-15 gennaio, così che quasi nessun vigile ha dato la propria disponibilità a lavorare in quel periodo oltre i propri turni ordinari, rinunciando peraltro, in segno di protesta, ad una lauta remunerazione aggiuntiva di oltre 200 euro mensili. Una prima – diciamo noi piuttosto timida - iniziativa di protesta, dunque, che mai come prima registrava una così massiccia adesione di lavoratori, in un settore peraltro storicamente restio ad iniziative di lotta sindacale. Fin qui siamo dunque nella perfetta legalità, essendo lo straordinario una facoltà e non un obbligo.

Che dunque una situazione di disagio si sarebbe venuta a creare – in conseguenza della “singolare” forma di protesta preannunciata e adottata - era fatto non solo evidente ma perfettamente a conoscenza sia del Comune che del Comando. I quali anziché provvedere sul piano organizzativo, hanno preferito cogliere al balzo la palla per strumentalizzare quel disagio in funzione propagandistico-politica, anche per mascherare abilmente le proprie magagne organizzative. Sapevano già, infatti, che mai e poi mai sarebbero riusciti a reperire il numero necessario di agenti per la notte di Capodanno, considerato anche che, visti i numerosi piani-ferie e riposo concessi e regolarmente autorizzati dal Comando, l’organico restante era significativamente ridotto a circa 1000 unità. Di queste, quella notte, circa 800 risultano assenti: il 20% per malattia (dato peraltro perfettamente nella media per il periodo e la situazione metereologica) (7), gli altri perché decidono – ancora una volta come forma di “protesta” – di usufruire di diritti contrattuali di varia natura, tutti previsti legalmente (legge 104 per l’assistenza ad un parente malato, donazione del sangue, sottoposizione a visita medica, ecc.).

Alla malafede evidente, Comune e Comando aggiungono – come denuncia uno dei vigili, assente perché regolarmente in ferie – una serie di iniziative quantomeno “discutibili” come l’esplicito tentativo di obbligare i 1.000 lavoratori in servizio a fare in ordinario ciò che in realtà era straordinario. Come? Spostando arbitrariamente e improvvisamente, col preavviso di poche ore, i turni, già loro regolarmente assegnati prima, dalla fascia mattutina e pomeridiana a quella serale e notturna (h. 17-24, 18-01, 23-06) e mettendo in atto tutta una serie di interventi intimidatori (8).

Il tutto in seguito alla convocazione – da parte dei sindacati degli agenti – di un’assemblea dei lavoratori per il 31, a ridosso della mezzanotte, il cui intento era proprio dimostrare l’operato scorretto del Comune e del Comando, il rischio di reali disagi e il dato di fatto del sotto-dimensionamento degli organici specie a fronte della gestione degli innumerevoli eventi organizzati per l’occasione, che avrebbero richiesto complessivamente ben più dei 1.000 agenti in turno, anche fossero stati tutti “presenti”.

In seguito alla minacciosa circolare ricevuta da parte del Comando (vedi nota 8), il sindacato - che non aveva indetto una sola ora di sciopero - decide di disdire l’assemblea, calandosi le braghe in modo vergognoso quanto prevedibile (almeno per noi). Ennesimo atto di “obbedienza” alle… ferree necessità dall’alto.

Risultato è stato che, in modo del tutto spontaneo, scoordinato e slegato da ogni indicazione sindacale (9), ma soprattutto – sottolineiamo noi – del tutto individuale, gli assenti oggi sotto accusa hanno deciso di “protestare”, ciascuno per sé (e Dio per tutti) ricorrendo agli escamotage di cui sopra: il rifiuto dello straordinario e l’utilizzo di tutti gli istituti contrattuali del tutto previsti legalmente.

Qualche nostra valutazione critica…

Ecco qualche nostra valutazione a margine dei fatti sull’atteggiamento tenuto dai principali attori “istituzionali” (Comune, Comando, Sindacati, Governo nazionale).

A parte la disorganizzazione pilotata e cosciente del disagio cittadino (il lavoro festivo e straordinario è infatti pur sempre programmabile per tempo) da parte di Comune e Comando (10), ciò che emerge, dunque, con evidenza è la strumentalità dell’intera operazione, condotta sia sul piano propagandistico (per additare i lavoratori come fannulloni, assenteisti e irresponsabili), sia sul piano ricattatorio ai danni degli stessi lavoratori (adottando pratiche di terrorismo psicologico e minacciando formalmente di sanzionarli per non obbedienza ai dettati dei vertici).

Governo. Il governo è stato pronto ad approfittare dell'occasione per lanciare un attacco complessivo ai dipendenti pubblici: con l'evidente obiettivo è di rendere più facile il licenziamento per “scarso rendimento” e, sostanzialmente, di uniformare al ribasso il trattamento dell'impiego pubblico alla stregua di quello privato.

Sindacato. Altro dato che chiaramente emerge è il consueto e ormai ben noto ruolo del sindacato: non solo di pompiere di possibili iniziative di lotta – che sono lungi da esso proporre e organizzare (se non con generiche dichiarazioni (11) – ma soprattutto esclusivamente interessato a tutelare e mantenere – e dunque rivendicare, quando gli vien negato - quel ruolo di contrattazione che pretende gli venga sempre ed esclusivamente riconosciuto a livello generale (sistemico diremmo) poiché dal suo mantenimento dipende anche e soprattutto la sua esistenza e sopravvivenza come struttura istituzionale e di potere (12). Ruolo di contrattazione i cui risultati, peraltro, ben conosciamo da quanto sin qui avvenuto nel settore privato: contrattazione all’assoluto ribasso (13) su condizioni salariali e contrattuali!

Istituzioni e forze politiche. Folkloristicamente colorito troviamo anche l’unanime disappunto pompato ad arte mediaticamente (e utilizzato elettoralisticamente) anche negli scontri tra fazioni politiche: i sottili distinguo fra Forza Italia e PD di cui abbiamo dato conto quanto a meriti e paternità delle leggi antifannulloneria.

Evidente quindi, sopra a tutto, l’utilizzo strumentale di un “casus belli” provocato ad arte, che consentisse di veicolare, nell’indignazione collettiva, la necessità di stringere la cinghia anche attorno al collo dei lavoratori pubblici e dunque di giustificare la necessità di estendere l’applicazione del jobs act (precarizzazione ulteriore e massima libertà di licenziamento) anche al settore pubblico. Ossia di giustificare l’applicazione della spending review (anche grazie al trasferimento dei controlli all’INPS e alla semplificazione della legge Brunetta) ai soliti noti (i lavoratori).

È questo il concetto di “efficienza e riformismo” che è dei padroni e nell’interesse dei padroni “in crisi”, e di cui Renzi è solo il portavoce politico attuale, niente di più, conformemente ai vari diktators europei, in nome e per conto dei famigerati mercati che – come ben sappiamo – non hanno frontiere di sorta quanto ad interessi e a “strategie di spremitura” dei lavoratori.

Lotta o protesta? Individualismo e corporativismo o unità di classe?

Chiaro che la risposta da parte dei lavoratori – dal nostro punto di vista – non è né stata all’altezza del piano di attacco, né producente alcunché sul piano del risultato. Si è rivelata piuttosto un porgere sopra un piatto d’argento, agli architetti di tutta questa vicenda, il prezioso pretesto, ossia una golosa occasione per strumentalizzazione i fatti e soprattutto occultare i veri retroscena che li hanno originati.

Evidenziata la falsità dei dati riportati e i più interessanti risvolti politici dell’intera vicenda (la consueta calata di braghe dei sindacati e il ruolo delle istituzioni, entrambi contro gli interessi dei lavoratori), ciò che però teniamo più a sottolineare è il profondo limite della reazione dei lavoratori di fronte all’ennesimo attacco sferrato alle loro condizioni di lavoro e di vita. Lo stesso ormai da decenni sferrato ai lavoratori del settore privato - e solo oggi portato alle sue estreme conseguenze col jobs act – ma anche ai lavoratori autonomi (vere o false partite iva che siano), ai pensionati, ai sempre più precari e privi di alcuna tutela (esodati inclusi). Una spending review che tocca sempre e solo le tasche di chi lavora, con tagli ai salari, ai redditi e alle pensioni, aumenti dei ritmi e tempi di lavoro, aumento delle tasse, taglio dei servizi sociali (salario indiretto).

Il costo della crisi è sempre addossato, da parte dei padroni e dello Stato (sui cui servigi questi possono sempre contare) sulle spalle dei lavoratori, di coloro che non solo con il loro lavoro producono la ricchezza (materiale e immateriale) della società, ma che sono progressivamente derubati di quella ricchezza, costretti a lavorare con ritmi e fatica sempre maggiori anziché, grazie al loro numero e agli enormi progressi della tecnologia, per un tempo di lavoro ben più ridotto in favore di un tempo di vita ben più consistente. Il tutto per il fatto che è dallo sfruttamento del lavoro che il datore (pubblico o privato che sia) trae il suo guadagno, che è dalla spremitura dei lavoratori che deriva il profitto di pochi, che è dal ricatto, oltre che dalla presenza di un intero e crescente esercito di nullatenenti, di precari, di disoccupati (poco importa se bianchi o neri, se connazionali o extracomunitari) che è consentito al datore di lavoro di soggiogare e rendere docili e ricattabili i sempre meno lavoratori impiegati.

Denunciando come politicamente e oggettivamente perdente (ossia privo di sbocchi) e controproducente (se non sul piano della semplice autodifesa o auto protezione personale rispetto all’abuso) quella che abbiamo definito la “singolare” iniziativa di mera protesta, intendiamo denunciare la necessità che essa si tramuti in lotta, di classe: perché noi lavoratori siamo un’unica classe (qualsiasi sia il colore della nostra pelle o la nostra provenienza geografica), i padroni e il loro Stato un’altra, i cui interessi sono del tutto contrapposti ed inconciliabili coi nostri, come ci dimostrano ogni giorno di più che passa.

La necessità di lotte unitarie, solidali e organizzate oltre i confini delle singole categorie

Ma la nostra non vuole e non può essere solo una “denuncia”. Vuol diventare un’indicazione politica precisa, rivolta direttamente ai lavoratori tutti.

Finchè i lavoratori resteranno divisi, sceglieranno la via dell’escamotage e della protesta isolata, individuale e individualistica, di quell’istinto di “autodifesa” o “auto protezione” tanto comprensibile quanto privo di risvolti ed esiti migliorativi (14), rinunciando ad organizzarsi unitariamente – al di là e al di fuori dei sindacati che da decenni li utilizzano solo per le loro logiche di potere e sopravvivenza istituzionale, ma al servizio degli interessi dei padroni – e a forme di lotta chiare, aperte, unificate, al di là delle singole aziende o uffici, al di là dei propri interessi di categoria, finchè ciò avverrà l’attacco non solo non avrà fine, ma diventerà progressivamente più aggressivo e spietato (15).

L’ennesima crociata sferrata oggi contro i lavoratori fannulloni, assenteisti e “privilegiati” è solo un pretesto, certo, ma che dimostra ampiamente e con evidenza che per il datore di lavoro (sia esso lo Stato o il privato), il lavoratore è frutto da spremere e buttar via quando non serve più, o osa alzare la testa, o ricorre anche solo a meccanismi di mera “autodifesa individuale”.

Quella del privilegio e dello spreco non è affatto questione e roba che riguarda i lavoratori, ma piuttosto chi li utilizza e li spreme per godere di potere e privilegi e per consolidare le proprie posizioni di potere e/o di “prestigio istituzionale”. Ossia chi alimenta l’ennesima “guerra tra poveri” per dividerli e metterli gli uni contro gli altri e indebolirli: statali contro privati, pensionati contro disoccupati, precari contro garantiti.

Tutti pretesti ed espedienti per offrirci in pasto i soliti capri espiatori tanto utili, da sempre, a spezzare la nostra unità e distrarre la nostra attenzione dal nostro vero nemico. Per simili impostori ogni arma è buona per proporsi oggi come i paladini (16) della giustizia contro il privilegio, rubando peraltro mestiere e "motivo di originalità politica" ai nuovi populisti e moralisti di cui strabocca nauseabondo l'attuale panorama politico pseudo-alternativo (o 'antipolitico' che dir si voglia).

Lotte dunque unitarie, aperte, solidali, organizzate, senza mediatori, senza deleghe in bianco: cioè in autonomia rispetto a coloro – i sindacati – i quali si reputano delegati a vita a non prendere alcuna iniziativa nel nostro vero interesse di lavoratori. Lotte in cui e di cui i lavoratori stessi siano gli unici protagonisti in prima persona, scelgano le loro iniziative di lotta in libere assemblee autoconvocate e le coordinino con quelle degli altri.

La sola strada percorribile, per i lavoratori tutti, per fronteggiare adeguatamente il feroce attacco sferrato alle loro condizioni di vita e di lavoro, è ritrovare la loro unità e solidarietà, ricostituire quella comunanza di interessi che - a partire dal comune disagio di un lavoro salariato sempre più insopportabile e sotto ricatto - possa aiutarli a ricomporre e organizzare verso l’unità le loro stesse lotte, orientandole contro coloro che - sindacati in primis - dall'altro versante, lavorano meticolosamente alla loro divisione e al loro isolamento, perché ciascuno resti chiuso nella propria azienda o nel proprio settore.

Questa unità e solidarietà può trovare fondamento solo nella coscienza di essere tutti parte della classe sfruttata e depredata del frutto del proprio sforzo lavorativo (che appartiene ad altri sia nelle modalità che nelle finalità) in quanto sottomesso a scopi che lo rendono merce tra le merci, strumento di arricchimento e di privilegio di ben altri soliti noti, e non libera e consapevole attività creatrice, che dunque soddisfi gli individui in tutte le loro potenzialità e capacità umane, consentendo loro di esprimersi al massimo grado nel servizio alla comunità sociale finalmente resa umana, ossia indirizzata alla soddisfazione dei bisogni materiali e immateriali di ciascuno, col minor sforzo possibile in termini di ore di lavoro, fatica, abbrutimento, alienazione e frustrazione.

Assieme a tutto ciò, diamo corpo al nostro impegno in prima persona per costruire e dar forza e radicamento ad una una vera avanguardia politica di classe, perché quando l’attacco si fa “politico” (e vede lo Stato in prima linea: altro che “super partes”!), la lotta deve sollevarsi anch’essa ad un piano politico e lì affrontare il suo avversario. Perché un corpo senza la sua testa (il suo partito) e la sua coscienza di essere tale (ossia un’unica classe dai medesimi interessi), è e non può che essere un cadavere.

Non cadiamo nella trappola! Non fermiamoci alla protesta individuale! Non accettiamo le disgustose manovre di chi ci vuole divisi per renderci deboli!

Organizziamoci e lottiamo uniti e solidali: siamo tutti lavoratori, sfruttati e sotto attacco! Noi siamo un’unica classe!

PF

(1) Ricordate come - in quel degli anni intorno al '70-'80 - erano gli operai (in primis delle officine Fiat) i peggiori "fannulloni" di turno? Oggi la clava si rivolge minacciosa contro i fannulloni pubblici, accusati d'approfittare della propria condizione 'privilegiata' (il posto fisso e inamovibile) per assentarsi bellamente e, in più, ‘quando più la collettività ne avrebbe bisogno’.

Già in passato si era, molto più timidamente certo, tentato qualche primo affondo: prima contro conducenti di mezzi pubblici (responsabili del caos cittadino e dei disagi agli utenti ogni qualvolta osavano incrociare le braccia), poi contro gli insegnanti (accusati di godere del privilegio di circa due mesi estivi di non-lavoro remunerato), poi a ruota contro i dipendenti degli uffici pubblici (impegnati in prolungate e frequenti chiacchierate al bar o timbratori dei cartellini dei colleghi), dulcis in fundo contro i medici assenteisti come contro i medici di famiglia compiacenti (emanatori di falsi certificati medici) e più in generale i lavoratori di quei settori definiti all'uopo 'servizi pubblici essenziali". Ne derivò - con l'entusiastica approvazione pressoché generale - una rigida e articolata normativa (La legge 146 del 1990 che “disciplina l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici e solo all’interno delle regole da essa previste possibile scioperare”) che di fatto limita fortemente il diritto di sciopero di intere categorie di lavoro sotto l'incubo della precettazione che prelude al e precede il licenziamento. Si decretava così, senza alcun anche minimo conato di dissenso, la fine degli scioperi 'selvaggi' e il cosiddetto obbligo di preavviso, che di fatto toglie ogni incisività alle iniziative di lotta. Inutile, ci pare, disquisire sul grado e livello di soddisfazione popolare generalizzata ricevuto da simile provvedimento, anche a prescindere poi dai concreti risultati non ottenuti in termini di tanto blaterati e promessi “migliori e più efficienti servizi”.

(2) La querelle riguarda anche i dipendenti ATAC romani (lavoratori metro e bus): a fronte di una necessità di 24 macchinisti per coprire lo straordinario dalle 23.30 alle 2.30 su una delle linee metropolitane, solo 7 erano presenti. Analogo episodio a Napoli, dove 200 spazzini si sono dati malati.

(3) Che si aggiunge alla già eliminata “causa di servizio e indennizzo” (legge 201 del 2011, targata governo Monti) che fungeva anche da assicurazione per gli infortuni. «Se oggi io e un carabiniere siamo in servizio allo stadio e ci rompono un braccio, a lui tocca il risarcimento, io sto un mese a casa e mi vengono detratti 25 euro al giorno dalla busta paga».

(4)

Hanno deciso di smantellare questo impianto, mettendoci in produttività di sistema, con valutazioni arbitrarie e unilaterali non oggettive, il che significa lavorare a cottimo. Visto che la maggior parte del nostro lavoro consiste nel vigilare sul codice della strada, ci valuteranno in base alle multe che facciamo? Non penso che i cittadini siano contenti.

Testimonianza di un vigile romano, “assenteista” per … ferie regolarmente concessegli!

(5) Brunetta, da parte sua, batte i pugni sul tavolo per rivendicare la “paternità” di quei provvedimenti anti-fannulloni, nel tentativo di ridare legittimità alla sua parte politica davanti all’opinione pubblica, approfittando dei suoi malumori e del “caldo” (al punto giusto”) clima di ormai diffusissima indignazione generale per i fatti di Roma.

Le regole per combattere fannulloni e assenteisti nel pubblico impiego ci sono già_ (sottinteso: le abbiamo fatte noi, non tu!) – tuona il nostro – E _le leggi relative portano il mio nome. Altro che leggi da cambiare.

E ancora:

Chiedi scusa agli italiani per quello che non hai fatto in questi tuoi 10 mesi di governo. Non nasconderti dietro il disegno di legge Madia, è ridicolo. (…) Riconosci che le regole ci sono già e applicale da subito.

Chiari i termini politici (ed elettoralistici) della “rivendicazione”, no?!

(6) «Domani ho il turno notturno, sa quanto me lo pagano? Appena 14 euro lordi in più e senza nemmeno il diritto a un giorno di riposo, al contrario di quanto avviene per vigili del fuoco, infermieri, polizia. Voglio andare a fare le carte di identità allora. Il lavoro di polizia a queste condizioni non lo facciamo più».

(7) Angelo Rughetti, sottosegretario alla PA e alla semplificazione, lo scorso febbraio così dichiarava in commissione Affari Sociali riferendosi al settore pubblico: «… il nostro livello di assenza per malattia è ormai più o meno nel range europeo”, chiedendo che si valutasse perciò addirittura uno slittamento della visita medica dall’attuale primo giorno di malattia al terzo (come già nel settore privato). Gli stessi dati ufficiali dicono che tra i dipendenti pubblici ci si assenta per malattia 16,7 giorni di media all'anno mentre nel settore privato i giorni di assenza per malattia salgono ad oltre 18. Conta poco ricordare che le regole sulle malattia sono già oggi molto più penalizzanti per il pubblico impiego.

(8) Facendo recapitare ai lavoratori, dalla Prefettura, lettere di diffida (con forti e insistenti richiami all’ordine pubblico da garantire) e dalla Commissione di Garanzia per gli scioperi una circolare indirizzata ai responsabili sindacali nella quale – come denuncia il Direttivo Nazionale CGIL - il Garante minacciava esplicitamente pesanti sanzioni (qualcuno riferisce addirittura di una minaccia di precettazione sui lavoratori che avessero aderito all’assemblea assentandosi dal lavoro) per responsabilità “in ordine al mancato esercizio del potere di vigilanza sindacale sui propri iscritti”. Iscritti che, evidentemente, si sarebbero dovuti convincere a lavorare, subendo il ricatto-ritorsione, e non certo a partecipare ad una assemblea in orario di lavoro “forzato”…

Qualcuno denuncia anche telefonate intimidatorie a poche ore dal cambio-turno imposto, della serie (dai seguenti toni): “Se non ti presenti sarai punito disciplinarmente”, o ancora “Anche i malati saranno denunciati”.

(9) Come gli stessi sindacalisti di regime si affrettano a precisare da buon “ponzio pilato” per togliersi di dosso ogni presunta responsabilità sull’accaduto e “accreditarsi” presso il governo e, non si sa mai, pure il padronato privato:

Noi come sindacato, con senso di responsabilità_, (verso chi?! Non certo verso il lavoratori! – ndr) _abbiamo sospeso le assemblee. (…) Il sindacato più che sospendere le assemblee durante uno stato di agitazione, non poteva fare. (…) è il comandante che forse dovrebbe dialogare con i sindacati.

Franco Cirulli, responsabile UIL polizia municipale di Roma Capitale

E ancora:

Siamo di fronte a un’aggressione da parte dei media (…): nessun sindacato ha dato indicazioni di assenteismo. (…) Le assenze non sono da imputare ad alcuna azione sindacale.

Giovanni Torluccio, segretario generale UIL FPL

Per poi concludere all’unisono:

Stigmatizziamo con forza i disagi verificati… CGIL FP, CISL FP e UIL FPL anche questa volta_ (evviva la sincerità – ndr) _non hanno in nessun modo dato indicazioni ai lavoratori difformi da quanto previsto dalle norme.

Nota congiunta dei segretari generali CGIL, CISL e UIL: Di Cola, Chierchia e Bernardini

(10) Ricordano i vigili, a titolo di cronaca, che il comandante Clemente usufruisce del lautissimo compenso di circa 170 mila euro annui, di certo anche per le competenze che dovrebbe avere in materia di organizzazione del personale.

(11) Come quella di Francesco Croce, sindacalista UIL, che all’indomani dei fatti dichiara solennemente:

Ci sarà un crescendo di proteste tra assemblee generali e denunce pubbliche, che arriverà al primo sciopero di categoria della storia di Roma. Tutti i sindacati scenderanno in piazza insieme.

Inutile dire che ad oggi, inizi febbraio, di quello “storico” sciopero non vi è traccia alcuna. USB, per bocca di Mencarelli (dell’Esecutivo nazionale Pubblico impiego) si è peraltro solo limitato a rispedire al mittente le strumentalizzazioni politiche, evidenziando l’attacco contrattuale ai lavoratori, nonché denunciando sia la “grande disorganizzazione” e incapacità della dirigenza del Corpo, sia il tentativo di utilizzare l’episodio come pretesto per giustificare, agli occhi dell’opinione pubblica, la necessità dell’estensione del jobs act anche ai pubblici dipendenti. Ma senza andare in alcun modo oltre la necessità di coinvolgere il sindacato nella discussione in atto sulla riforma della PA. Non la proclamazione di un solo sciopero.

(12) Lo dimostrano le dichiarazioni e prese di posizione di suoi esponenti ufficiali (vedi nota 7), ma anche la dinamica dei fatti (revoca dell’assemblea convocata) e il preferire schierarsi, da subito, “dalla parte degli utenti danneggiati” limitandosi a rifiutare strumentalizzazioni dell’accaduto e fermandosi ad imputare quanto accaduto ad un generico “crescente clima di esasperazione, di disagio e di malessere fortissimo” (ma va?!) tra i lavoratori di cui “occorrerebbe tener conto nella ricerca a 360° delle responsabilità”.

(13) Come testimoniano i più recenti episodi. Rinviamo solo ad alcuni di essi:

E ancora, per citare una pericolosa fonte “bolscevica” (Avvenire): Retribuzioni ai minimi dal 1982 (grazie a chi?! NDR)

(14) Citando Marx, rinviamo volentieri ad un nostro 'datato' articolo che riteniamo, nella sostanza delle valutazioni, ancora attualissimo - leftcom.org .

Se il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e un potere estraneo gli sta di fronte, ciò è possibile soltanto per il fatto che esso appartiene ad un altro estraneo all’operaio. Se la sua attività è per lui un tormento, deve essere per un altro un godimento, deve essere la gioia della vita altrui. (…)
Se quindi egli sta in rapporto al prodotto del suo lavoro, al suo lavoro oggettivato come in rapporto ad un oggetto estraneo, ostile, potente, indipendente da lui, sta in rapporto ad esso in modo che padrone di questo oggetto è un altro uomo, a lui estraneo, ostile, potente e indipendente da lui. Se si riferisce alla sua propria attività come a una attività non libera, si riferisce a essa come un’attività che è al servizio e sotto il dominio, la coercizione e il giogo di un altro uomo.

K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1949, pagg. 81-83

(15) Ultima notizia in ordine di tempo – ma è solo una piccola goccia nel mare magnum delle “gloriose battaglie sindacali contro i padroni” – è l’abolizione delle pause alla catena di montaggio nello stabilimento Fiat di Menfi: al lavoratore non sarà più neanche concessa la fatidica “fermata per pisciare” (come cantava qualcuno…), perché egli sia interamente ridotto ad ingranaggio di quella macchina di sfruttamento selvaggio e senza scrupoli chiamato capitalismo, produzione per il profitto!

(16) Manovra tanto più ipocrita quando ad assumere il ruolo di “paladini della giustizia sociale” contro gli sprechi e privilegi - di cui godrebbero, a loro dire, i lavoratori (e non invece i loro dirigenti e/o padroni) – sono proprio coloro che su di essi, per decenni e tuttora, hanno basato il loro bacino elettoralistico e clientelare di consenso. Sprechi e privilegi goduti che la crisi oggi rende non più sopportabili e tollerabili, e dunque da eliminare.

Lunedì, February 16, 2015