Grecia, “l'ultimo” sacrificio

Il massacro del proletariato greco continua. Il governo Syriza chiama “all'ultimo” sacrificio in nome della salvezza della borghesia nazionale, del risanamento del capitalismo greco al di fuori e contro una qualsiasi difesa degli interessi dei lavoratori che, al contrario, sono chiamati per l'ennesima volta a sopportare il peso di una improbabile uscita dalla crisi.

Il referendum è ormai lontano ma non così tanto da dimenticare i “giochini” di Tsipras che, con il suo No referendario alla vessatoria politica dei sacrifici imposta dalla Troyka , prometteva al proletariato greco tempi migliori, sulla base di un impossibile dolce riformismo che avrebbe messo a posto le cose senza penalizzare “il popolo greco”. Che le falsità siano state espresse per furbizia elettorale o per cecità politica non cambiano il senso delle cose.

A un anno di distanza possiamo dire a chi ha creduto che il radical riformismo di Tsipras con le sue irrealizzabili promesse fossero la praticabile soluzione alla devastante crisi greca: i signori sono serviti. Qualche sprovveduto potrebbe teorizzare il solito assunto del meno peggio. «Meglio che a gestire le politiche dei sacrifici sia una formazione di sinistra che di destra. Meglio poco che niente, meglio accontentarsi di quello che passa il “convento laico” piuttosto di correre il rischio di subire il peso delle penalizzazioni economiche e sociali per mano della dichiarata reazione di destra». Potremmo rispondere che chi si accontenta gode anche se, francamente, non riusciamo a scorgere nessuna forma di godimento nel vedere l'aumento della disoccupazione, la diminuzione delle pensioni, dei salari, lo smantellamento dello stato sociale, l'aumento della miseria e la generale pauperizzazione di un'intera popolazione, fatte salve ovviamente le caste degli armatori, dei grandi capitalisti e dei grandi finanzieri dediti alle più rischiose manovre della speculazione.

Se a fare quello che ha fatto e continua a fare il governo Tsipras,( il quale non si è limitato ad accondiscendere alle pesanti richieste della Troyka e di tutti gli altri creditori, ma è andato oltre, presentando in Parlamento un progetto di sacrifici ancora più pesante), fosse stata una forza di destra, non solo i risultati finali sarebbero stati assolutamente gli stessi ma ci sarebbe stata in più una conseguenza “positiva” . Quella di una più probabile risposta di classe alla politica dei sacrifici, proprio in virtù di quell'assioma in base al quale la scelta politica oscillerebbe tra il peggio e il presunto meno peggio. Certo, che anche un governo di sinistra non potrebbe, alla lunga, costituire un argine perenne a risposte di classe più o meno intense ma, certamente, il suo temporaneo fascino di credibilità può, nel breve periodo, mantenere calma la piazza o fare in modo che il suo agitarsi rimanga all'interno delle compatibilità economiche e degli steccati politico-istituzionali. Cosa che per il momento è riuscita alla borghesia greca sotto le non tanto mentite spoglie del governo Tsipras. In più, per quello che può contare, lo stesso governo di Atene, pur di rimanere al potere, ha dovuto imbarcare al suo interno una forza politica di destra, con buona pace del “meglio poco che niente”.

Fatti e cifre sono a dimostrare l'ennesima truffa perpetrata nei confronti del più martoriato proletariato europeo. In una dichiarazione del maggio scorso, il capo del governo greco ha chiamato lo stremato popolo dell'Ellade ad un ultimo (?) sacrificio con la solita promessa che poi ci sarebbe finalmente un tranquillo benessere per tutti. Ancora promesse fraudolente; la cosa certa è che il proletariato greco dovrà subire l'ennesima, vile aggressione, in termini di salario, disoccupazione, riforma del mercato del lavoro e...sul successivo benessere per tutti ci sarebbe da ridere se non fosse in atto un'orribile tragedia. Di certo Atene, per ottenere altri prestiti senza i quali sarebbe costretta alla bancarotta, è obbligata a sottoscrive un nuovo “pacchetto”che prevede di erogare alla Grecia i tanto necessari finanziamenti pari a 10,3 miliardi di euro, come previsto dal terzo “step” del programma di consolidamento economico da complessivi 86 miliardi di euro firmato nel 2015. La prima tranche di 10,3 miliardi verrà erogata a giugno 2016, la seconda di 2,8 miliardi dopo l'estate, probabilmente, se le cose dovessero andare per il “giusto verso”, a settembre, poi a seguire il resto dei prestiti alla solita condizione del rispetto dei sacrifici. Va immediatamente detto che l'afflusso di questi capitali non servirebbe a rilanciare l'economia, ma prevalentemente a rimborsare i debiti pregressi e a pagare le prossime scadenze obbligazionarie. In altri termini, prestiti per pagare i debiti, lasciando le cose come stanno, per non dire contribuendo al loro peggioramento.

In cambio il “pacchetto” prevede un nuovo piano di austerità pari a 5,4 miliardi, il più pesante mai presentato al Parlamento greco. Si parte da un aumento dell'IVA che passa dal 23 al 24%, che fatalmente penalizza i già martoriati consumi. Ridimensionamento della spesa pubblica con licenziamenti nel pubblico impiego: il numero dei futuri perdenti posto e stipendio è ancora da stabilire ma saranno certamente decine di migliaia. Ulteriori tagli alle pensioni. Il governo assicura che i tagli saranno orientati verso le pensioni alte salvaguardando quelle minime, anche perché, va detto, quelle minime sono già state tagliate di un quasi 40% e più di tanto non possono essere toccate, a meno di cancellarle del tutto, ma in queste situazione e con questo governo non si sa mai. Il governo Syriza ha dimostrato di essere sempre all'altezza delle esigenze della crisi del capitalismo greco. Non ha fatto nulla e nulla sta facendo per impedire la diminuzione dai salari, in compenso ha consentito una riforma del lavoro che favorisce la contrattazione aziendale rispetto a quella collettiva e ha dato mano libera alla flessibilità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro (come si vede, tutto il mondo capitalistico è paese). Il tutto per avere la tranche di 5,4 miliardi per pagare i debiti, per evitare il fallimento, nella speranza che Troyka e creditori accettino l'apertura delle trattative sulla ristrutturazione del debito che tutti, ma proprio tutti, sanno essere impossibile da estinguere. Lo stesso FMI ha dichiarato che, se il governo greco non ottempererà alle imposizioni del “pacchetto” con relativi tagli, si sgancerà dal piano “salvataggio” con tutte le conseguenze del caso. Nell'eventualità, del tutto probabile, che gli obiettivi dell'ennesima austerity non venissero raggiunti, non da ultimo l'avanzo primario al 3,5% entro il 2018, ci saranno altre sanzioni e altre politiche dei sacrifici in una spirale infernale che il solito proletariato greco è chiamato a pagare in nome della sua borghesia, della salvezza del capitalismo greco e in ossequio ai flussi finanziari della crisi economica internazionale. Intanto il debito pubblico è già arrivato al 180% del Pil, la disoccupazione è quasi al 35%( si prevede che entro la fine del 2016 possa salire al 38%) e quella giovanile al 51%, con la stessa tendenza all'aumento. I tagli sono stati così pesanti, e i prossimi non potranno che aggravare la situazione, che le “necessarie” spese sociali per la sanità sono state contratte al punto tale che gli ospedali sono carenti dei medicinali di prima necessità come buona parte di quelli a scopo terapeutico. Solo con l'aiuto di alcune Istituzioni europee, tra cui Enti italiani, sono arrivati in Grecia (2015)1.230.365 medicinali per un valore di circa 11 milioni di euro. Una sorta di emergenza umanitaria che si somma a quella di 50 mila migranti dopo la chiusura della “via balcanica”.

A tanto è arrivata la gestione della crisi greca da parte del radical riformista Tsipras. D'altro canto chi, chiacchiere e velleità a parte, agisce all'interno del quadro capitalista in crisi, ne subisce inevitabilmente le necessità di sopravvivenza, l'impellenza delle sue insuperabili leggi economiche e non può andare contro le problematiche sociali che esprime ma, al contrario, le deve assecondare nei tempi e nei modi che la crisi economica determina. Anzi, il quadro capitalistico in crisi impone che qualunque sia la forza politica che si faccia carico del “bene comune”, che altro non è se non quello del capitale, deve muoversi all'unisono con le sue compatibilità e con le sue ineludibili necessità. Per cui o si sta con le priorità di sopravvivenza del capitale o si sta dalla parte del mondo del lavoro, avendo ben presente che gli interessi sociali ed economici delle due classi non solo sono diversi ma inconciliabili. Già il porsi nel presunto mezzo “del meno peggio” sta a significare che si vuole salvare il capitalismo dalle catastrofi che genera (crisi, guerre, pauperizzazione), nell'illusoria speranza che ciò possa avvenire riformisticamente e pacificamente, senza ledere gli interessi del mondo del lavoro. Speranza vana oltre che fraudolentemente falsa, come dimostrano le vicende greche, che, oltretutto, finisce per agire nei fatti da baluardo della conservazione borghese e in elemento di disturbo, se non, addirittura, di preventivo tamponamento nei confronti di una possibile ripresa della lotta di classe.

FD
Venerdì, June 17, 2016