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Home ›Considerazioni sui fatti di Dallas
I tragici fatti riportati dalla cronaca ci dicono che un nero, ex militare dell'esercito Usa, che ha combattuto in Afghanistan, stanco di vedere i suoi “fratelli” neri essere uccisi come cani randagi dalla polizia di stato, ha imbracciato un fucile e ha ucciso 5 poliziotti bianchi durante una manifestazione antirazzista organizzata per l'ennesima uccisione di un ragazzo nero, reo non si sa bene di che cosa e disarmato.
L'episodio in sé potrebbe essere rubricato in mille modi: opera della disperazione, atto di un folle, sintomo di un malessere sociale diffuso, risposta all'ennesimo atto di razzismo e si potrebbe andare all'infinito ricorrendo alla sociologia spicciola e alla criminologia di parte.
Obama, da buon pompiere conservatore, ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte, dicendo che gli omicidi perpetrati contro giovani neri disarmati vanno condannati così come va condannata la strage dei cinque poliziotti bianchi eseguita da un cittadino nero. L'America è grande, la sua democrazia è la più forte e la giustizia equa e tempestiva, per cui i fatti vanno deprecati, ma tutto va bene sotto il cielo di Washington e all'ombra della bandiera a stelle e strisce.
Ipocrisia a parte, non c'è una parola di vero in queste dichiarazioni. L'economia americana, ben lontana dall'aver superato quella devastante crisi che essa stessa ha provocato, sopravvive ai suoi mali distribuendone gli effetti negativi ai quattro angoli del mercato mondiale. E' in perenne guerra sui vari fronti internazionali, dall'Africa al Medio oriente, anche se l'amministrazione Obama preferisce agire indirettamente usando il soft power e i finanziamenti alla forze politiche presenti nelle varie guerre civili che essa stessa ha provocato. Combatte sui mercati finanziari per consentire al dollaro di continuare ad essere la divisa dominante e un bene-rifugio rassicurante per la speculazione. Ma nonostante l'esborso di 3300 miliardi di dollari a favore delle banche, il capitale non va all'economia reale che stenta a riprendersi. La speculazione è sempre dietro l'angolo, il debito pubblico aumenta (130%), il deficit federale è di 15 mila miliardi di dollari, la disoccupazione è almeno il doppio di quella dichiarata (6,2%) e il rischio di esplosioni di nuove bolle speculative è all'ordine del giorno.
Da un punto di vista sociale le cose vanno ancora peggio, ed è all'interno delle pieghe del suo disastro che vanno ricercate la cause di tanta violenza da parte della polizia e dell'insofferenza del mondo della negritudine americana e non solo.
Questa crisi ha raggiunto cifre allarmanti per gli stessi organismi di potere economico e politico. Persino le statistiche emesse dagli organismi ufficiali del governo hanno calcolato che il processo di pauperizzazione ha intensificato in maniera allarmante quelle cifre che erano già preoccupanti prima del 2008. Il che ha prodotto alla base della piramide sociale, composta prevalentemente da neri e latinos, una maggiore propensione a delinquere con reati contro le persone, furti, contro il patrimonio e rapine. Il che ha dato il destro all'establishment di rovesciare i termini della questione, scaricando la responsabilità delle morti “nere” sulla stessa comunità afroamericana.
L'argomentazione è semplice e lineare. Su di una popolazione di 320 milioni di abitanti solo il 13% è afroamericano. Ma il 13% compie il 57% degli omicidi e il 63% dei furti. La conclusione è altrettanto semplice: armativi e fatevi giustizia da soli, per la gioia di Donald Trump e della potentissima lobby delle armi. Per cui le forze di polizia devono agire con il pugno di ferro nei confronti della devianza nera; se poi si eccede è solo perché i poliziotti non vogliono rischiare più di tanto, meglio un potenziale delinquente nero in meno che un poliziotto bianco ferito. Se poi il nero non era nemmeno un delinquente pazienza, ma era nero, quindi potenzialmente un delinquente. In base a questa logica, nel 2015 ci sono stati 346 morti tra la popolazione afroamericana, tra cui molti minorenni e disarmati. A giugno 2016 il numero è già di 123 ed è destinato ad aumentare, nonostante le proteste di massa che si sono verificate nelle maggiori città americane.
Anche la verità empirica è molto semplice. Mentre ai bianchi è riservata la concentrazione della ricchezza e l'esclusiva del crimine finanziario che ha messo sul lastrico milioni di americani, alla popolazione nera è riservata la microcriminalità da sopravvivenza. La crisi ha prodotto, secondo la Supplemental Poverty Measure, ben 49,7 milioni di americani che vivono sotto la soglia di povertà, calcolata a 23.283 dollari annui per nucleo familiare monoreddito di quattro persone. Di questi, 20 milioni sono abbondantemente al di sotto perché sopravvivono con 20 mila dollari all'anno. Poi ci sono circa 50 milioni che sono sopra la soglia di povertà, ma di poco, e in proiezione rischiano di essere risucchiati nell'inferno dei “sotto soglia”. Il che statisticamente significa che quasi un terzo dei cittadini americani vive o sopravvive danzando al di qua e al di là della soglia, e che la popolazione afroamericana occupa una spazio enorme all'interno di questa categoria. Il 90% del suo 13% quale componente della popolazione complessiva è sotto la fatidica soglia. Niente assicurazione sanitaria, molto spesso senza casa, nessun lavoro o lavori saltuari mal pagati. Scarsa scolarizzazione e alta mortalità infantile. Dei tre milioni di bambini poveri due e mezzo sono di famiglie afroamericane. Mancanza di integrazione economica significa impossibilità d'integrazione sociale, significa solo fame, miseria economico-sociale e maggiore propensione alla devianza. In una società capitalistica, ovviamente, non si spendono soldi in prevenzione, in scolarizzazione, nella sanità per tutti. A proposito, la riforma della sanità di Obama è naufragata nelle maglie della lobby delle Società di Assicurazione per cui si è parzialmente estesa a qualche milione di cittadini di medio livello sociale e a qualche benestante in più, ma è rimasta al palo per il popolo del “sotto soglia”. I soldi si spendono in operazioni di repressione, di potenziamento degli organismi di polizia: costa di meno e rende di più. I soldi si spendono sia per gestire l'emergenza nell'immediato, sia per una operazione preventiva, non tanto o non solo contro la microcriminalità, quanto per la paura che dalle viscere dal capitalismo sofferente possa nascere una risposta di lotta che metterebbe seriamente in crisi tutto l'apparato della più grande società borghese al mondo.
L'inferno sociale in cui sono stati ghettizzati i nuovi schiavi del capitale sta lambendo il perimetro della ricca cittadella borghese.
La loro paura è che, con il perdurare della crisi, dalle manifestazioni contro il razzismo, contro l'uccisione di cittadini neri, si possa passare ad episodi di protesta più intensi e gravi. Nella memoria delle classi dirigenti americane è ancora vivo l'episodio di rivolta di Los Angeles del 1992, quando la città degli angeli prima, e mezza America poi, è stata attraversata dalla rabbia dei disperati e dei sottoproletari neri che hanno dato vita ad un cieco scontro con i reparti di polizia, senza una organizzazione, senza un obiettivo e al minimo di qualsiasi livello di coscienza politica.
Il nostro timore, invece, è che, se l'esasperazione di milioni di neri, proletari, sottoproletari e diseredati dovesse far rialzare la loro testa, non si ripeta l'esperienza fallimentare del '92 di Los Angeles. Né che si ripercorrano strade già malamente battute come quelle riformistiche alla Martin Luter King, o quelle velleitarie delle Pantere Nere o dei Musulmani neri di Malcom X. La prima è in qualche modo ripresa dal movimento del Black Lives Matter, e le seconde stanno vivendo una riedizione ormai ventennale (New Black Panther Party) dopo la loro messa al bando alla fine degli anni Settanta. In ogni caso, il pericolo è sempre quello di privilegiare l'aspetto razziale rispetto a quello classista. All'ordine del giorno non c'è il “black power”, né tanto meno lo scontro tra bianchi e neri, ma la lotta del proletariato internazionale contro il potere del capitale, che sia bianco o nero, giallo e con gli occhi a mandorla.
Il razzismo è una forma di controllo della forza lavoro agli ordini del capitale. Il contro razzismo dei neri contro i bianchi è uno strumento di divisione tra proletari che fa tanto comodo alle classi dominati. La forza lavoro salariata non ha colore se non quello grigio dello sfruttamento che ha sempre di più forti le tinte della miseria, dell'affamamento, della guerra e della morte. E questo vale per i disoccupati e i diseredati delle vecchie “cittadelle” imperialistiche come per i proletari neri che sono i primi ad essere colpiti. Vale per i proletari bianchi che subiscono la stessa sorte solo con qualche mese di ritardo e con qualche garanzia in più. Vale per i migranti che fuggono da un inferno per entrare in un altro, dove tutti i proletari hanno lo stesso colore grigio e vivono nella medesima condizione di sudditanza nei confronti della crisi del capitale che li opprime per terra e per mare.
Non è una scontro tra le razze ma deve essere una scontro tra le classi. Non deve essere una lotta di razze ma una lotta di classe.
FDBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #09-10
Settembre-ottobre 2016
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