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Home ›Primo Maggio 2017 - Contro lo sfruttamento, la crisi e la guerra - Nessuna guerra, ma guerra di classe!
Documento della TCI per il primo maggio 2017
Contro sfruttamento, crisi e guerra
Ancora un Primo maggio all'insegna dell'acutizzarsi delle tensioni imperialistiche, che stanno producendo guerre, che minacciano di estenderle o di accenderne di nuove, che evocano il fantasma di conflitti ben più ampi e distruttivi di quanto abbiamo visto negli ultimi decenni. Il crollo dell’URSS era stato presentato, da ogni corrente ideologica del capitale, come l'alba di una nuova era di pace e prosperità. La realtà, ora sotto gli occhi di tutti, è esattamente l'opposto né poteva essere diversamente. Le cause che hanno portato all'implosione il “blocco dell’Est” non hanno certo risparmiato l’“Occidente” né, tanto meno, sono state rimosse, anzi, nonostante “l'emersione” di nuovi protagonisti sul teatro economico mondiale, le fondamenta del sistema capitalistico mondiale continuano a deteriorarsi.
Crisi...
La chiave di questo scenario è, infatti, la crisi strutturale del processo di accumulazione del capitale, che da oltre quarant'anni tormenta il sistema. Per decenni, per compensare la sua caduta del saggio di profitto, il capitale ha fatto affidamento sulla complessiva ristrutturazione del processo produttivo e sul massivo incremento del saggio di sfruttamento. Alla deindustrializzazione/ridimensionamento che ha interessato molte aree dei centri capitalisti è corrisposto un esodo dei capitali in quei territori, sparsi per il mondo, dove la forza lavoro è pagata pochissimo, dove la dittatura padronale e dunque lo sfruttamento non hanno limiti. La cosiddetta apertura dei mercati ha posto i differenti segmenti della forza lavoro mondiale in concorrenza diretta gli uni con gli altri, cioè in una rincorsa al ribasso delle condizioni generali di lavoro e quindi di vita. Finora questo declino delle condizioni di vita della classe lavoratrice è stato inarrestabile. La classe lavoratrice è stata scompaginata, ha perso parte della sua organizzazione e unità. La sua frammentazione e il diffondersi delle condizioni di lavoro precarie pongono grandi sfide allo sviluppo di una difesa collettiva. Allo stesso tempo la speculazione finanziaria continua con vigore. Questa speculazione aggiunge solamente nuova instabilità e un’insostenibile crescita del debito complessivo. È solo questione di tempo, prima che la prossima bolla finanziaria esploda.
… e guerra
Ovunque guardiamo, queste crisi stanno inasprendo il conflitto tra gli opposti interessi imperialisti e spingendoli verso la guerra aperta. Al centro di questo intensificarsi dei conflitti per il potere e il controllo delle sfere di influenza sono gli sforzi degli Stati Uniti, che cercano di difendere la propria egemonia contro un crescente numero di contendenti.
L'ascesa di Trump, contrariamente a quanto era stato promesso in campagna elettorale, ha rilanciato l'attivismo dell'imperialismo statunitense, sia contro gli avversari tradizionali che contro gli “amici”. Al di là del “bullismo” caratteriale del presidente americano, questa è la riprova che nel mondo dell'imperialismo esistono solo interessi contrapposti da imporre anche e non da ultimo con la forza, se necessario.
Chi paga il conto, salatissimo, di tutto questo sono i civili inermi, i proletari, i diseredati: massacrati, immiseriti, costretti ad abbandonare le loro case per cercare un rifugio precario in paesi che non li vogliono, dove diventano il bersaglio di campagne razziste e dove sono sfruttati come massa di lavoro a basso costo.
Non a caso, da decenni, il Medio Oriente è l'area dove le potenze imperialiste più si sono scontrate. Il gioco per il controllo di una grossa parte dei flussi energetici mondiali e, attraverso di esso, del mantenimento della supremazia del dollaro, si gioca là. E' in gran parte grazie a questa supremazia, unita allo strapotere militare, che gli USA, nonostante non siano più da tempo la prima potenza industriale, come nella seconda guerra mondiale, possono continuare a interpretare il ruolo di superpotenza globale. Dall’altra parte l'euro è stato un altro momento fondamentale nel percorso accidentato di costituzione di un polo imperialista europeo, uno dei principali strumenti con cui contrastare l'egemonia imperiale statunitense, il primato del dollaro negli scambi commerciali e nei movimenti finanziari a livello planetario. Uno strumento, anche, per amministrare al meglio – così pensa una parte della borghesia europea – una crisi che non passa. E' questa crisi, non l’attuale moneta, che spinge i governi a imporre politiche economico-sociali – tra cui i famigerati aggiustamenti strutturali ai conti pubblici – che deprimono i salari, tagliano lo “stato sociale”, che hanno effetti micidiali per l'occupazione (precarietà, disoccupazione).
La miseria del riformismo...
Nelle attuali condizioni non c’è un organizzazione che la classe lavoratrice possa riconoscere come propria. Al suo posto l'arcipelago delle sinistre variamente riformiste, spesso eredi dello stalinismo, affronta tutto questo con le armi spuntate e patetiche degli appelli alla democrazia o a quelle istituzioni, come l'ONU, che, nel migliore dei casi, sono impotenti a fermare i conflitti, quando non danno loro una copertura giuridica e persino “umanitaria”. E' una sinistra che illude (e si illude) il “popolo di sinistra” con ricette economiche e sociali che, se avevano avuto una qualche ragione d'essere – sul piano borghese – durante gli anni del boom economico, hanno oggi ben poca credibilità. Non sono solo le “banche” e il “neoliberismo” il problema, ma il capitalismo in tutte le sue espressioni: è con questo che bisogna rompere. Ma ciò significa imboccare una via che quella sinistra, per sua natura, non si sogna nemmeno di ipotizzare. La vergognosa, ma non sorprendente, vicenda di Syriza in Grecia dovrebbe essere la pietra tombale delle illusioni riformiste, invece viene continuamente riproposta come se niente fosse successo.
… e la crescita della destra autoritaria
Dall'altra parte il cosiddetto populismo dell’estrema destra cresce. Le ideologie reazionarie si nutrono sempre della decomposizione sociale, dell’atomizzazione e della crescente insicurezza. La pericolosa propaganda mista di razzismo e demagogia sociale cattura strati non indifferenti di piccola borghesia declassata e anche di proletariato, disilluso da una sedicente sinistra sempre pronta ad assecondare i diktat del capitale. Le “sinistre” al governo hanno sistematicamente tradito le promesse elettorali, hanno fatto e fanno il lavoro tradizionale della destra, mettendo così quest'ultima in condizioni di dire, demagogicamente, anche cose “di sinistra”.
In ogni caso, la destra autoritaria non rappresenta né la protesta e nemmeno l’opposizione alle condizioni dominanti e alla classe dirigente ma, al contrario, i suo compito è quello di approfondire quelle divisioni tra i lavoratori che la classe dominante impone quotidianamente. Facendo questo attrae tutti quei personaggi autoritari, che cercano di compensare la loro debolezza con aggressioni contro i più deboli. La destra autoritaria differisce dalla sinistra riformista per gli aspetti nazionalisti e razzisti, ma le ricette populiste per “uscire” dalla crisi non sono, in fondo, molto diverse da quelle della suddetta sinistra, perché tutte e due rimangono fermamente radicate sul terreno capitalistico: uscita dall'euro, protezionismo, intervento dello stato e la difesa della tanto elogiata “sovranità nazionale.
Lotta di classe e organizzazione
Dopo decenni di attacchi sociali, la classe lavoratrice internazionale affronta la sfida di dare una risposta che sia all'altezza della guerra sociale condotta dal suo nemico di classe. Una minoranza di lavoratori - appartenenti in genere ai settori più oppressi della nostra classe – hanno iniziato a condurre lotte determinate e coraggiose (per esempio nelle lotte della logistica in Italia), oltre e spesso contro la prassi del sindacalismo “maggioritario, più integrato nei meccanismi di gestione e controllo della forza lavoro per conto del capitale. Quelle lotte hanno potuto, spesso, attenuare i modi più brutali di sfruttamento e oppressione, ma le forze politiche che le dirigono rimangono rinchiuse nell'ottica sindacalista, sia pure di un sindacalismo radicale, il quale non va mai oltre i successi (parziali) della prima fase di lotta. Il loro impianto teorico-politico è necessariamente limitato e trattiene dal compiere quel salto verso il livello politico necessario nel conflitto con il capitale. La crisi, rendendo lampante l'inconciliabilità tra gli interessi proletari e borghesi, rafforza la necessità di dare allo scontro di classe una prospettiva non sindacale – che, cioè, di fatto accetta il quadro complessivo del capitale – ma comunista, radicalmente antagonista alla società borghese.
E' importante, dunque, e necessario prendere coscienza dei meccanismi del capitale, delle logiche del dominio borghese, dei criminali giochi di potere dell'imperialismo ed esprimere un chiaro rifiuto al carattere truffaldino dei programmi della sinistra riformista e della destra populista.
Esiste un’alternativa alla miseria del capitale! Questa inizia dal riconoscimento che le spietate esigenze del capitale sono incompatibili con il nostro mondo, quello del lavoro dipendente (o della sua mancanza). Passa dall’intraprendere la lotta contro il capitale - oggi meno che mai facile - e che si contrapponga ad esso in tutte le sue articolazioni economico-politiche. Passa per la costituzione dell'organizzazione rivoluzionaria che sappia raccogliere la rabbia contro questo sistema disumano ormai antistorico e la incanali in maniera coerente verso il suo superamento.
1917: un’ispirazione e una lezione
Giusto cent'anni fa, il proletariato rivoluzionario dell'impero zarista, con i propri organi di potere basati sulla democrazia diretta – i soviet, organizzati politicamente nel partito bolscevico, - aveva rotto, in piena guerra mondiale, un anello della catena con cui la borghesia opprimeva il proletariato e i diseredati del mondo intero. I rivoluzionari russi sapevano bene che se la “loro” rivoluzione fosse rimasta isolata, se la classe operaia degli altri paesi, soprattutto di quelli più avanzati, non avesse a sua volta rotto con la propria borghesia, sarebbero stati sconfitti. E così, purtroppo, è stato. Certo, non mancarono errori politici anche gravi, fraintendimenti drammatici sul senso da attribuire alla parola “socialismo”, scarsa lucidità, a volte, nell'affrontare una situazione completamente nuova, mai apparsa prima nella storia, se si fa eccezione per la troppo breve, benché luminosa esperienza della Comune parigina del 1871.
L’esperienza rivoluzionaria russa degenerò fino alla sua definitiva trasformazione in aperta controrivoluzione, in capitalismo di stato travestito, per la gioia di tutti i reazionari, come “socialismo”. Questo fu dovuto alle difficoltà enormi, persino sovrumane, che il proletariato russo dovette affrontare da solo.
Se ricordiamo l'Ottobre 1917 non è per una sorta di patetico sentimentalismo, ma per sottolineare come quell'esperienza abbia dimostrato che una radicale trasformazione della società è davvero possibile.
Le esperienze della Rivoluzione Russa dimostrano che una rivoluzione proletaria non può continuare a sopravvivere isolata in un solo paese e che noi possiamo solamente combattere e rovesciare il capitalismo (come sistema globale) su scala internazionale. Il primo tentativo di entrare in un mondo nuovo è stato sconfitto, ma non è detto che debba essere così per sempre.
È un compito elementare di un organizzazione comunista salvare l’esperienza dell’autoemancipazione proletaria dall’oblio, indicandone al contempo i limiti. Solo attraverso una riflessione critica e sviluppando la prospettiva che cent'anni fa entusiasmò e guidò il proletariato cosciente di tutti i paesi potremo fermare il degrado delle nostre vite, la distruzione irreversibile dell'ambiente, le guerre imperialiste con i loro tragici effetti non collaterali di morte e sofferenza.
COMUNISMO O BARBARIE, non c'è altra scelta!
Tendenza comunista internazionalista, 1° maggio 2017Battaglia Comunista #05-06
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