Il gatto e la volpe a caccia di finanziamenti per coprire le falle del loro improbabile riformismo

Ci avevano promesso un nuovo boom economico, la nascita di nuovi posti di lavoro, un miglioramento dell'assetto pensionistico e, non da ultimo, una politica sociale finalizzata al miglioramento della vita di 5 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà.

In 11 mesi di governo si è visto ben poco, praticamente nulla, di quanto promesso in campagna elettorale, se non un continuo rilancio nel tempo delle riforme annunciate in un clima di conflittualità tra le due componenti di governo che sta diventando insopportabile.

La prima di una lunga serie di “sparate” è stata quella relativa alla presunta partenza di un ciclo economico (nuovo boom degli anni '20 pari, se non superiore, a quella degli anni Sessanta del secolo scorso). Un preannunciato incremento del Pil attorno al 3% con, a cascata, tutte le realizzazioni promesse in termini di sviluppo, posti di lavoro e conquiste sociali. Questo è il segno tangibile che questi governanti “sovranisti e ignoranti” non hanno la minima idea di che cosa sia la crisi che ancora ci opprime, quali le cause e, ammesso e assolutamente non concesso che ci siano, le praticabili vie d'uscita, in modo che la baracca del capitalismo italiano possa sopravvivere alla bell'e meglio. Nemmeno di fronte alla impietosa realtà dei fatti i nostri governanti hanno fatto marcia indietro. Nel primo semestre della loro amministrazione, invece dell'inizio del pronosticato boom, si sono trovati in “recessione tecnica” con un decremento del Pil dello 0,1%, con una disoccupazione generale stabile attorno all'11% e con quella giovanile ben sopra il 30%, tra le più alte in Europa, con la diminuzione dei contratti a tempo indeterminato e l'inevitabile incremento di quelli a tempo determinato a salari bassissimi . Il debito pubblico è aumentato al 132% e il famigerato spread è continuato a salire verso quota 300. Un disastro. Certo, il non superamento della crisi non è imputabile a questo goliardico governo, ma la sua politica economica è certamente il modo migliore per non mantenere la promesse elettorali e per aggravare il già precario stato di salute dell'economia italiana. Il che comporta un significativo peggioramento delle fasce sociali meno abbienti, tra le quali il proletariato al quale, come al solito, spetterà il compito di subire il peso della impossibile manovra “espansiva”, a colpi di maggior sfruttamento, di decurtazione delle pensioni e di ancora meno Stato sociale in termini di sanità, scuola ecc... Ma l'ineffabile ministro degli interni, specialista in pose mussoliniane e non solo, sostiene la tesi che una “sana” politica economica in deficit, alla faccia dei parametri imposti dalla UE, sarebbe il motore primo della rinascita economica e del boom promesso. Solo che per bocca dello stesso primo ministro Conte, il costo della manovra per il biennio 2020/2021 non sarebbe inferiore ai 52 miliardi di euro. Nel Documento di Economia e Finanza, Conte ha dichiarato ufficialmente “necessarie nuove entrate fiscali per circa 52 miliardi tra il 2020 e il 2021”. Queste entrate non sarebbero solo necessarie per sanare i dissesti contratti durante la recessione del 2008 ed il conseguente crollo del PIL, ma anche per affrontare la crescita del debito pubblico e l’aumento dei tassi d’interesse, se non soprattutto per finanziare le tanto annunciate riforme, come il Reddito di Cittadinanza e “Quota 100”. Un simile programma di finanza pubblica imporrebbe necessariamente l’aumento dell'IVA e delle accise più importanti, anche se Salvini e Di Maio giurano del contrario. Il gatto e la volpe pensano di trovare i soldi con le privatizzazioni, con l'eliminazione delle agevolazioni fiscali e risparmiando sul costo di alcuni ministeri, con le solite politiche della lotta all'evasione, cosa che, per altro, non ha mai funzionato. Ma queste misure possono eventualmente coprire solo una piccola frazione del fabbisogno complessivo. Come se non bastasse, c'è anche la proposta di abbattimento delle aliquote fiscali ( flat tax), che, per tutti gli economisti, compreso il ministro dell'economia Tria, farebbe schizzare il disavanzo tra i 12 e i 17 miliardi all’anno. In una simile prospettiva, il Ministero del Tesoro dovrebbe piazzare sul mercato almeno 300-400 miliardi di titoli pubblici per ogni anno a venire, gonfiando il disavanzo pubblico oltre il 3,4% del PIL nel 2020, mentre il debito pubblico schizzerebbe al 139% già nel 2024. Le proiezioni, si badi, non sono nostre ma del FMI.

Secondo il segretario di Confindustria Boccia, una simile politica economica, oltre a contrastare i parametri europei aumentando la diffidenza nei confronti del governo, sarebbe un grave azzardo dalle conseguenze economiche e finanziarie catastrofiche e facile preda degli assetati mercati e delle loro pratiche speculative. In una sua dichiarazione stigmatizza la situazione: “Non usare l'Europa come alibi per non affrontare la situazione italiana, con il nostro debito pubblico non possiamo sforare il deficit per fare spesa ordinaria [... ] Lo sforamento del 3% non è una questione europea ma italiana, penso che nessun alleato ce lo consentirebbe, questa è una questione tutta italiana e solo italiana". La prossima manovra finanziaria dovrà prevedere forzatamente o un consistente aumento dell'IVA al 25% o inventarsi un'altra finanziaria di almeno 23/25 miliardi. Se a questo si aggiunge un aumento degli interessi sui Titoli di Stato con un enorme esborso per i contribuenti (oggi siamo già vicini ai 90 miliardi all'anno), un disavanzo pubblico del 3,5% e un debito pubblico al 139% con il relativo declassamento dei Titoli di Stato con un minore indice di “investment grade”, il fosco quadro è completato. Ne conseguirebbe una precipitosa fuga dai capitali all'estero e il timore di quelli esteri ad investire in Italia, il tutto con preoccupanti ricadute sulla stabilità del sistema bancario, ancora sofferente, nonostante un diluvio di miliardi di euro fatti cadere dal dio della pioggia Draghi sul sistema bancario italiano. Così il cerchio del radical-riformismo destrorso (come di qualunque riformismo) tragicamente si chiude. La conclusione è già drammaticamente scritta. Chi offre sotto forma di riforme radicali, ma sempre all'interno del quadro capitalistico, mari e monti quale condizione necessaria a vincere le elezioni, o mente sapendo di mentire o è un irresponsabile politico. Non importa se sia di destra o di sinistra del marcescente schieramento borghese, quello che purtroppo conta è che frange di proletariato, orfane di una sinistra rivoluzionaria, sono cadute nella rete elettorale di questi pescatori di illusioni. In un simile quadro economico, fuori dalle sceneggiate elettoralistiche dei due vice premier, la ripresa economica, il nuovo miracolo italiano stanno alla realtà come la foto truccata di un pellicano che fuma la pipa. Di certo, invece, avremo una economia più debole, debiti più alti, tasse maggiorate, più sfruttamento e meno posti di lavoro, con il rischio che i 5 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà diventino 7 od 8, se non il doppio. Il che vuol anche dire che il massimalismo riformista con qualunque veste si presenti, quella del sovranismo nazional-popolare o quella confusa e goliardica del pentastellismo, sono destinati al fallimento del loro programma, per il semplice motivo che non rientra nelle compatibilità del sistema economico che vergognosamente dichiarano di voler salvare, ma che in realtà spingono verso il fondo del barile. Che poi alle elezioni europee la Lega possa mantenere, e rafforzare, un ruolo di prima forza e che il PD riguadagni spazio a spese delle 5S fa parte del consunto teatrino schedaiolo, dove Destra e “Sinistra”si alternano al potere di un sistema ormai alla frutta e che solo la spallata di un proletariato deciso e determinato dalla presenza di un partito rivoluzionario può demolire, mettendo fine allo scempio che questa società borghese mette in scena in ogni occasione di crisi.

FD
Lunedì, May 27, 2019