Bielorussia: tra faide imperialiste e moti di classe

Dopo il contributo dei compagni della CWO, proseguiamo l'analisi di quanto avviene in Bielorussia, con queste ulteriori riflessioni.

La costituzione di uno strettissimo legame, necessariamente dialettico, tra proletariato – soprattutto quando lotta - e Partito rivoluzionario resta l’unica possibilità di esprimere un’alternativa sociale valida al capitalismo. Qualunque organizzazione che non sia in grado di oltrepassare le logiche della spontaneità e del tradunionismo, anche nelle forme “rivoluzionarie”, non dispone degli strumenti per esprimere una corretta impostazione classista nell'analisi critica dei rapporti sociali vigenti, aprendo in tal modo il campo al riformismo e all’ideologia piccolo borghese, il cui unico orizzonte è il miglioramento dentro il modo di produzione capitalistico, indipendentemente dal corso economico che esso si trova a percorrere.

Le sovrastrutture sociali espresse dal capitale entrano in contraddizione con quegli stessi rapporti economici che le hanno generate nel momento in cui le crisi, da cicliche, diventano strutturali, erodendo così i margini di contrattazione economica in grado di garantire pace e stabilità sociale. Mai come in questi momenti gli appelli democratici svelano la loro natura sostanzialmente antiproletaria e controrivoluzionaria.

I focolai di lotta che si vanno manifestando ad ogni latitudine, tutti legati al declino delle condizioni materiali sia della classe operaia (intesa in senso lato) che di strati significativi della piccola borghesia, purtroppo non è raro che assumano connotazioni nazionalistiche o razziali all’insegna, appunto, della collaborazione tra classi tanto cara ai “democratici”. La borghesia ha dunque buon gioco nel riproporre sempre un unico partito, indipendentemente dalle bandiere che agita: quello dei padroni.

Ciò che accade in Bielorussia, finora, sembra collocarsi in questo solco. Di fronte a una massiccia mobilitazione – scioperi diffusi in molti settori lavorativi, cortei, scontri con le forze dell'ordine – ancora, per quello che ne sappiamo, la nostra classe non sta assumendo un ruolo autonomo, rispetto alle forze borghesi in campo.

Ad oggi, dopo l’accordo siglato da Lukashenko con Putin per garantire la “sicurezza” del paese, rifiutata la mediazione offerta da altri paesi, trascorsa più di una settimana di scioperi, oltre seimila arresti, due morti e centinaia di feriti, le proteste continuano e, con le industrie - in primis quelle del settore statale statale - ferme, l’economia del paese rischia di trovarsi in ginocchio.

In questo quadro in movimento, la nota positiva, va da sé, è la forte partecipazione della classe operaia, con il fermo della produzione e l’interruzione della catena del profitto, unico elemento genuinamente di classe; ovviamente però tutto ciò non basta: è una buona partenza, certamente, ma occorre altro.

Al di là delle valutazioni fin troppo ottimistiche di chi vorrebbe un movimento spontaneo immediatamente rivoluzionario - in grado cioè di produrre “sul campo” una organizzazione politica di classe - le tensioni imperialistiche dell'area inevitabilmente cercano di inserirsi nei “disordini”, strumentalizzando le lotte. Da una parte Putin, che sa bene – e non solo lui– come l'economia bielorussa non possa fare a meno di punto in bianco degli scambi economici, strettissimi, con l'economia russa. Dall'altra, “l'Occidente”, ossia USA e UE, che vogliono “scippare” a Mosca un altro pezzo dell'ex impero sovietico. Le due bande imperialiste si appoggiano e sono appoggiate – sintetizziamo, anche a rischio di semplificare troppo - dalla borghesia che gestisce il capitalismo di stato (circa il 70% dell'economia) e da quella che invece vorrebbe impadronirsi del capitale statale (imprese di ogni tipo), adottando, diciamo così, il modello cosiddetto neoliberista. Per ora la richiesta avanzata dai manifestanti, da quanto riferiscono i mass media, sono le dimissioni di Lukashenko, che evidentemente, al di là della possibilità di essere soddisfatta, lascerebbe inalterati i rapporti di classe, di sfruttamento e di oppressione borghesi. Dunque, il rischio per la classe lavoratrice di ritrovarsi “massa di manovra” per una delle frazioni imperialiste in gioco è, appunto, quasi certo; stando almeno a quello che si riesce a sapere dai mezzi di informazione e dai social,

Sarebbe ingenuo del resto aspettarsi il sorgere di una nuova organizzazione rivoluzionaria semplicemente dai sommovimenti attuali, tanto più che, da quello che se ne sa, è infatti l’opposizione, lamentando i brogli, le violenze della polizia e la mancanza di diritti, che riesce a “politicizzare” parte dei manifestanti e parte dei giovani, scaricando l’intera colpa del malessere sociale sul sistema “comunista” dittatoriale di Lukashenko, e ad erodere la base di consenso ancora presente tra le vecchie scarpe dello stalinismo e tra settori della società legati al capitalismo di stato…

Le ragioni oggettive che hanno spinto gli operai nelle piazze sono legate al peggioramento, alle incertezze delle condizioni di vita e di lavoro, come del resto di solito avviene: la coscienza politica classista è qualcosa che, pur affondando le sue radici nelle condizioni materiali della classe stessa, è qualcosa che viene dopo e solo se opera il partito di classe. I vantaggiosi accordi economici con la Russia per le forniture di prodotti petroliferi insieme all’export dell’industria pesante nazionale, hanno permesso il mantenimento di posti di lavoro e servizi che la crisi e l’abbassamento su scala internazionale del costo del greggio, con i relativi proventi, ha spazzato via; a questo va aggiunta la pandemia da Covid-19 che ne moltiplica gli effetti.

Il ribasso del greggio favorisce la comparsa di nuovi attori sulla scena bielorussa e mette in crisi le vecchie alleanze.

Su questo contesto si innestano le speculazioni politiche dell’opposizione a Lukashenko, ora impersonate da Sviatlana Tsikhanuskaya, che incassa anche il sostegno delle varie fazioni dell’opposizione, le cui promesse di rivalsa democratica e “libero” mercato cercano di incanalare le spinte delle piazze verso approdi legalitari, in vista di scontate ricette economiche a base di “lacrime e sangue” per il proletariato; benché, naturalmente, questo sia taciuto dagli “apostoli della democrazia”.

Nell’eventualità che i lavoratori arrivino ad avanzare richieste autonome, un intervento diretto della Russia come quello ungherese del 1956 non sarebbe da escludere, e l’accordo con Putin non lascia presagire nulla di buono, avendo questi già schierato le truppe sul confine, anche se è lo stesso Putin a smentire ogni eventualità in tal senso. Diversamente, un recupero del controllo del paese sul modello polacco - Solidarnosc 1980 - con la nascita di organismi (per esempio, sindacati) “indipendenti”, favorirebbe il rinnovo dell’apparato statale, consentendo a una delle fazioni della borghesia bielorussa la gestione del paese medesimo e quindi della forza lavoro, in un ambito di rinnovata collaborazione di classe – il che significa sottomissione di classe - e riconquistata “pace sociale”.

La mancanza di un riferimento politico di classe, rivoluzionario, operativo e radicato sul territorio lascia presagire scenari cupi in cui, ancora una volta, la classe lavoratrice, la sua lotta generosa e determinata vengono capitalizzate da una delle fazioni borghesi in conflitto per la gestione del plusvalore e del potere.

Lo scontro di classe, determinato dalle condizioni obiettive, in assenza di un programma comunista che cammini sulle gambe dei settori più coscienti del proletariato, di per sé non garantisce alla classe stessa di superare il disorientamento in cui stalinismo e post-stalinismo (si fa per dire) l'hanno precipitata, quindi di essere preda dei “creatori di consenso” professionali schierati dalla borghesia a tutela dei propri interessi. Una volta che questi sono raggiunti, per la nostra classe non rimane altro che la repressione aperta e brutale. Giusto per fare un esempio, tra i tantissimi: le immagini dei corpi torturati a Genova nel 2001 possono sovrapporsi a quelle di Minsk 2020; le cariche ai picchetti operai della logistica sono la fotocopia di quelle che avvengano contro la classe lavoratrice in lotta in ogni angolo del pianeta e sotto ogni regime borghese.

Oggi più che mai un'organizzazione politica di quadri rivoluzionari è necessaria alla lotta di classe, pena la dispersione della forza e dell’iniziativa proletarie, prima o poi inevitabilmente fagocitate e/o represse dal sistema.

GC, 18 agosto 2020
Mercoledì, August 19, 2020