La riduzione del tempo di lavoro

È il limite invalicabile del capitalismo e la caratteristica fondamentale del comunismo

Il lavoro è un fuoco vivente che modella la materia. È ciò che vi è di provvisorio e di temporale in essa; è la lavorazione dell’oggetto ad opera del tempo vivente.

Marx

Le leggi che presiedono al modo di produzione capitalistico impongono un continuo, frenetico aumento della massa della produzione. La quantità dei prodotti industriali, nella loro forma di merci utili o soprattutto inutili, deve continuamente aumentare. E poiché l’economia capitalistica si basa sullo sfruttamento del lavoro salariato, sulla accumulazione di ricchezza a un polo e di miseria all’altro polo, il risultato è una sovrapproduzione per le capacità di assorbimento dei mercati (non certo per i bisogni insoddisfatti delle grandi masse di uomini e donne). Questa sovrapproduzione, che è legata alla ricerca di sempre maggior profitto, porta a crisi catastrofiche, guerre commerciali, conflitti militari, devastazioni dell’intero pianeta per la rapina di risorse e materie prime, affamamento dei due terzi dell’umanità.

La tendenziale diminuzione del saggio medio del profitto, cioè del rapporto fra tutto il capitale investito (materie prime, impianti e salari) e il plusvalore ottenuto, sta proprio a dimostrare che la “crescita” - in termini di redditività sociale - non corrisponde più alla potenza produttiva dell’attuale modo di produzione.

Giunto al suo apice storico, quale sistema economico che trasforma il lavoro in merci, contemporaneamente il capitalismo si dimostra chiaramente come il modo di produzione più dissipatore sia del lavoro vivo che di quello delle passate generazioni.

Fine ultimo del capitalismo è la produzione per la produzione; il suo scopo è unicamente l’aumento della ricchezza e della proprietà privata. Indissolubilmente legato alla produzione e realizzazione di plusvalore (che poi si divide in profitto, rendita e interesse), il capitale prosegue quindi nella sua pazza corsa, scavando con le proprie mani la fossa per sé e per l’intera umanità se al più presto la rivoluzione socialista non porterà alla “distruzione delle miserabili condizioni esistenti e delle illusioni che se ne fanno i borghesi”. (Marx)

Nella sua fame di plusvalore il capitale ha fin qui fatto uso delle macchine e della tecnica per aumentare lo sfruttamento della forza-lavoro venduta dal proletariato e per intensificare gli sforzi e i tormenti degli operai. La conquista, costata decenni di lotte anche sanguinose, delle 8 ore giornaliere di lavoro è tuttora, e alle soglie del 2.000, vanificata dal prolungamento del lavoro straordinario o dalla introduzione dei turni con la diffusione del lavoro notturno. E nello stesso tempo aumenta l’esercito dei disoccupati e dei diseredati, a fronte di una moltitudine di oziosi, di parassiti e servitori del capitale, il cui unico interesse non è certamente quello di produrre ma bensì di consumare il plusvalore estorto agli operai, i soli soggetti produttivi nella società borghese. Questi ultimi, anche quando il capitalismo sembra aver loro ridotto qualche mezz’ora di permanenza in fabbrica, sono sottoposti alla intensificazione della fatica, al tormento e allo stress di frenetici ritmi di lavoro. Il consumo della sovrapproduzione che ne deriva è a loro negato perché essi non possiedono i redditi per acquistarla: parte di quella sovrapproduzione, nella forma di prodotti di lusso, inutili e dannosi, è destinata alla classe borghese e alle mezze classi che la circondano.

La conservazione del capitalismo e la sopravvivenza della classe borghese sono così legati alla impossibilità - pena il crollo di tutto il sistema economico e sociale - di suddividere il lavoro necessario almeno fra tutti i moderni schiavi del capitale, i proletari, i membri della classe operaia sfruttata sempre più divisi in occupati (a tempo parziale) e disoccupati (a tempo totale). Il capitale giunto al suo massimo sviluppo non è in grado di mantenere tutti i suoi schiavi: sfrutta e opprime centinaia di milioni di uomini, emargina e affama tutti gli altri.

La riduzione delle ore di lavoro - attraverso forme legislative all’interno della società borghese - viene presentata dai riformisti e dagli pseudo “antagonisti” come una possibilità reale se graduata nel tempo e condizionata dal crescente progresso della economia capitalistica. Ma quanto è accaduto fino ai giorni nostri e ciò che in prospettiva si va delineando nella “globalità” del capitalismo, smentiscono tutte queste affermazioni. La riduzione del tempo di lavoro a parità di salario è incompatibile con il modo di produzione capitalistico e con la distribuzione dei prodotti-merci che ne deriva.

Soltanto lo scontro ad oltranza con l’interesse dominante del capitale, la lotta di classe organizzata e guidata dal partito del proletariato, può dare concretezza alla rivendicazione della generalizzata riduzione dell’orario di lavoro, indicando nel programma della futura società comunista il realizzatore di tale fondamentale obiettivo.

La diminuzione dello sforzo di lavoro e l’aumento del tempo libero saranno il risultato di un superiore modo di produzione e di distribuzione quale è il comunismo. Punto di partenza e di arrivo sarà la fine della divisione in classi della società, borghesi e proletari, con l’obbligo del lavoro per tutti gli uomini e le donne abili (non più di tre ore al giorno) e l’inizio di una produzione pianificata ed esclusivamente rivolta a soddisfare i bisogni della società umana e a consentire il pieno sviluppo di ciascun individuo e della intera collettività.

cd

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.