L'Europa sociale dei disoccupati

Il capitale cerca lavoro superfluo non potendo dividere il lavoro necessario fra tutti i membri della società

Il vertice straordinario a Lussemburgo dei capi di Stato e di governo della Unione europea aveva per tema: "la sfida all'occupazione". Il risultato è stato un nulla di fatto, una dimostrazione di impotenza da parte degli esperti politici e dei gestori del capitalismo. Incapaci di fornire una diagnosi sulle cause della disoccupazione, gli economisti borghesi hanno già sperimentato e fallito tutte le terapie possibili all'interno di questo modo di produzione e distribuzione.

Se fra gli oltre 18 milioni ufficiali di senza lavoro si diffondono frustrazioni e segnali di disperazione (la classe operaia, ancora in ginocchio, non si muove), fra i massimi rap-presentanti delle borghesie europee le illusioni si sgretolano, l'impotenza si trasforma in nervosismo. Meglio allora lasciare le cose come stanno, poiché ridurre entro il 2003 la disoccu-pazione al 7 per cento (giudicato il tasso fisiologicamente soppor-tabile dal capitalismo) signifi-cherebbe creare in Europa 12 milioni di posti lavoro in 5 anni. Qualcuno comincia a temere il contrario, nonostante il coro unanime dei mass-media esalti la raggiunta "filosofia di conver-genze" fra le politiche degli Stati nazionali.

La "peste del Duemila" dilaga ovunque: la diffonde il capitalismo che ne è la sola e vera causa, costringendo due terzi della umanità al sopralavoro e l'altro terzo alla inoccupazione, alla miseria e alla fame. Non c'è da meraavigliarsi se anche nella Europa più industrializzata, culla del capitalismo oggi globale, la stessa esaltata convivenza civile cominci a manifestare allarmanti segnali di imbarbarimento.

Si smaschera così il tentativo di abbellire di contenuti sociali (cioè di misure pseudo democratiche per garantire un pacifico sfruttamento della forza-lavoro secondo i bisogni del capitale) gli assetti istituzionali della Unione Europea. La quale ha per unico scopo quello di arginare sul terreno economico e monetario le offensive mercantili e finanziarie degli imperialismi d'Oltre Oceano, attenuando i contrasti fra gli Stati aderenti per far fronte a Usa e Giappone. Aprire il mercato europeo alla concorrenza interna, togliendo barriere tariffarie e quantitative; liberare la circolazione dei capitali e della forza-lavoro: tutto ciò fa parte del tentativo di reggere la competitività internazionale e di rispondere alle necessità di sopravvivenza del capitalismo. In questa realtà non c'è posto per incrementi dell'occupazione, garanzie sociali, legislazioni in favore del lavoro e altri illusori palliativi cari alla propaganda dei poteri dominanti. Al contrario, la cosiddetta "evoluzione sociale" dell'Occi-dente europeo non potrà che arretrare costantemente sotto la spinta di quella "razionalità economica" che condiziona la vita di miliardi di uomini e donne, diseredati e oppressi.

In soldoni, a Brusselles tutto si è esaurito in una promessa della Banca europea per un investimento triennale a favore di piccole e medie imprese, per innovazioni tecnologiche e infrastrutture. Non più di 20 mila miliardi di lire, e 900 miliardi per la creazione di posti di lavoro. Se gli Stati membri accetteranno nei prossimi 5 anni le "guide linee" indicate, una minima quota di disoccupati (il 20 per cento) potrebbe essere toccata gradualmente dalle "politiche attive del lavoro": un corso di formazione o riqualificazione, e forse una "occasione" di lavoro precario. Una pacchia invece per le imprese: riduzione dei costi (fisco e contributi sociali), flessibilità del lavoro e degli orari, salari tagliati, eccetera.

Nel falso dilemma Stato e Mercato, i provvedimenti consigliati oscillano tra l'ipocrisia politica e l'arroganza del potere di classe, secondo i vincoli delle leggi economiche del capitale. E fra dirigismo statale e liberismo sfrenato, governi di sinistra o di destra, la borghesia prosegue la vecchia strada: aiuti alle imprese e randellate, flessibili, ai proletari perché accettino la adattabilità della loro forza-lavoro alle superiori esigenze della competizione globale.

Disoccupazione compresa.

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.