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Home ›Yamaichi o delle bolle di sapone
Scioppiano le bolle finanziarie e ricadono sulle spalle dei proletari
Nella sua storia ormai secolare non è la prima volta che la società finanziaria giapponese Yamaichi finisce nei guai. Era fallita già nel 1964, e fu salvata dall'intervento dello stato e dell'establishment industriale e finanziario per timore che l'innesco di una qualche reazione a catena potesse procurare danni ancora maggiori. Ma erano altri tempi. La stessa Yamaichi, pur essendo già da allora uno dei colossi della finanza mondiale era una piccola cosa rispetto a ciò che è diventata nel corso di questi ultimi trent'anni, ma soprattutto un'altra cosa era la dimensione della speculazione finanziaria. C'era ancora il sistema dei cambi fissi e non erano state inventati i derivati finanziari. Le obbligazioni spazzatura, le junk bonds, e le opzioni sia azionarie sia sulle valute erano ancora nella mente del dio denaro. Il fulcro dell'economia occidentale, e non solo di questa, era l'industria e quando si faceva la graduatoria delle maggiori imprese mondiali si cominciava sempre con General Motors, Ford, e, a seguire tutte le altre grandi fabbriche automobilistiche del mondo, le sette sorelle (petrolio), le imprese chimiche, elettriche ed elettro-meccaniche. Il monetarismo con il suo corollario neo-liberista era poco più di un vezzo intellettuale del gruppo di Friedman e soci e nessuna persona sana di mente avrebbe avuto il coraggio di spacciare la produzione dei derivati finanziari come vera produzione di ricchezza.
Prima che fallisse, la Yamaichi era insieme a Nomura, Nikko e Daiwa, uno delle prime quattro società di borsa giapponesi e perciò una delle più grandi imprese del mondo visto che ormai ai primi posti delle graduatorie mondiali si trovano solo società e istituzioni finanziarie. Insomma, un gigante, ma un gigante con i piedi di argilla anzi di carta. Yamaichi, come tutte società e le istituzioni finanziarie (fondi pensioni, Fondi comuni ecc.) è cresciuta a ritmi esponenziali con l'abbandono definitivo del sistema dei cambi fissi, la trasformazione del debito pubblico statunitense in debito obbligazionario e la liberalizzazione del credito che hanno consentito la nascita dei derivati finanziari e in particolare di quelli sulle valute. Dalla seconda metà degli anni `70 ai primi anni `80, uno dietro l'altro, tutti i pilastri su cui si reggeva il modello di accumulazione basato sulla crescita dell'industria sono caduti per lasciare campo libero a queste vere e proprie fabbriche di carta moneta, più esattamente di quella forma particolare di capitale finanziario che è il capitale fittizio, quel capitale, cioè, creato a partire da un altro capitale finanziario senza alcun riscontro in investi-menti produttivi e scambiabile con titoli che costituiscono un anticipazione su un reddito futuro. Un tempo era costituito quasi esclusivamente da titoli del debito pubblico e dai titoli azionari quotati in borsa; oggi anche dal mare incontrollato e incontrollabile di derivati finanziari emessi appunto da società come la Yamaichi. Si calcola che da una base di 100 mila dollari si possa giungere a muovere sui mercati finanziari mondiali dai 30 ai 40 milioni di dollari, figuriamoci con una base di qualche milione di dollari come possono fare queste grandi società finanziarie. Ma sono dollari fittizi, come abbiamo già visto, basati cioè su una promessa, sull'antici-pazione di un reddito che non solo non è stato ancora prodotto, ma per il quale non sono stati effettuati neppure gli investimenti (fabbriche ecc.) perché possa mai essere prodotto.
Al posto delle fabbriche si creano altri pezzi di carta che, emessi in gran quantità, fanno crescere i listini azionari o il valore dei beni immobiliari, si creano cioè le cosiddette bolle finanziarie. E in questo caso il termine, che pur richiama alla mente quelle bolle di sapone che almeno una volta nella vita consentono di fare il giro del mondo in ottanta giorni, indica veramente la sostanza del fenomeno. Ma mentre a nessuno verrebbe in mente di cavalcare una bolla di sapone perché anche il bambino più ingenuo e fantasioso sa che essa appena sfiorata da un raggio di sole o anche solo dall'alito di un insetto sfuma in un fulmineo arcobaleno, quelle finanziarie trovano invece cavallerizzi a migliaia. Ma il sole è li anche per loro e le trafigge con impressionante puntualità; e loro con altrettanta puntualità scoppiano. Qualche cavallerizzo fa in tempo a scendere e mettere i piedi su qualcosa di più solido, molti invece si rompono le ossa e non tengono fede agli impegni presi. La stessa cosa è successa quando è scoppiata la bolla che si era creata intorno all'economia delle cosiddette Tigri asiatiche a opera soprattutto del capitale finanziario giapponese e statunitense.
Finora, quando a rompersi le ossa erano società come la Yamaichi, lo stato correva ai ripari ripianando le perdite a spese della collettività e a lasciarci le penne erano sempre i piccoli risparmiatori e il proletariato su cui in definitiva quelle perdite venivano scaricate.
E di perdita in perdita un po' ovunque si sono tagliati i salari, poi l'assistenza sanitaria, le pensioni i sussidi alla disoccupazione, insomma tutti quei privilegi che facevano della vita di un lavoratore quel famoso Eldorado che anche il più ricco borghese sogna, ma non può permettersi. E non è bastato neppure questo. Mentre le bolle crescevano e scoppiavano, il debito cresceva e basta tanto che oggi Il debito mondiale, compreso quello delle imprese, degli stati e delle famiglie supera i 33.100 miliardi di dollari, pari al 130% del Pil mondiale e aumenta a un tasso del 6-8% l'anno, vale a dire oltre il quadruplo della crescita del Pil mondiale. Di questo debito, il Giappone ne possiede una parte consistente. Il suo disavanzo pubblico è pari al 6% del Pil, ma ciò che è peggio è che secondo studi
ancora segreti -- come scrive V. Zucconi su La Repubblica - Affari e Finanza del 1 dicembre 1997 -- ... il portafoglio di crediti irrecuperabili delle banche nipponiche, i “non performing loans” come si dice con eufemismo finanziario, [ha] superato i sei milioni di miliardi di lire.
Vale a dire tre volte il debito pubblico italiano. Con questi chiari di luna, ripianare i debiti della Yamaichi (pari a 40mila miliardi di lire) e di tutte le Yamaichi in circolazione, è impossibile anche per la seconda potenza mondiale, tanto più che il suo attivo finanziario comprende qualcosa come il 70% di titoli emessi a fronte di un altro gigantesco debito: quello pubblico degli Stati Uniti che ammonta a oltre 4000 miliardi dollari. Per il momento sembra scongiurato il pericolo che il Giappone, per fronteggiare il suo debito, metta sul mercato i buoni del tesoro statunitensi in suo possesso attivando un effetto domino che potrebbe trasformare la crisi asiatica nella più grande crisi finanziaria della storia. Ma una qualche contromisura dovrà pur prendere. Gli Stati Uniti, che di questo vorticoso giro di cambiali scadute sono i maggiori beneficiari, temendo che la risposta possa essere una crescita delle esportazioni dei paesi asiatici, compreso il Giappone, verso di loro e/o che si scoprano gli altarini sul loro debito pubblico, tramite il Fondo monetario Internazionale, che dovrebbe concedere alle Tigri prestiti per 60 miliardi di dollari, premono affinché si adottino politiche di tagli alla spesa sociale, si abbandonino al loro destino le imprese indebitate e intanto minacciano di chiudere i loro porti alle merci provenienti dai paesi asiatici. I tagli alla spesa sociale e ai salari sicuramente ci saranno ma ciò comprimerà la domanda interna di questi paesi e li indurrà a cercare sbocchi alternativi alle loro merci. In passato, in simili circostanze, è stata l'Europa ad assorbire la maggior pressione delle esportazioni asiatiche e giapponesi; potrà essere così anche questa volta? L'Europa è da anni in piena deflazione e ha, a sua volta, una domanda interna fortemente compressa; se dovesse essere invasa dalle merci provenienti dai paesi asiatici molte delle sue fabbriche rischierebbero di dover chiudere i battenti. Non ci vuole un indovino per prevedere che ben presto anche in Europa le richieste di tagli alla solita spesa sociale e di riduzioni dei salari per poter reggere i nuovi livelli di competitività si faranno assordanti e si imporranno così come ormai fanno le stagioni. Ma alla fine prendendo un po' di qua e un po' di là ma soprattutto nelle tasche degli operai giapponesi, indonesiani, tailandesi sud coreani europei e americani, anche questa bolla probabilmente sarà assorbita, ma intanto ne nasceranno altre, altre Yamaichi salteranno e continuerà a crescere quella del debito mondiale. Quando anche questa scoppierà, quanti secoli di miseria saranno necessari per riassorbirla?
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 1997
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