Bilancio 1997 - E’ scontro interborghese nell’assenza di classe operaia

L’anno 1997 si è chiuso con un bilancio negativo per la classe operaia: lotte di difesa degli interessi proletari al minimo, di contro a una escalation dei movimenti di protesta e rivendicativi di categorie in via di proletarizzazione, forse, ma ancora del tutto interne al fronte borghese.

Dai “produttori” di latte ai “produttori” di olio d’oliva, dagli artigiani ai benzinai, molte delle categorie che siamo soliti catalogare come piccola borghesia piùo meno imprenditrice, si sono fatti sentire nelle strade e soprattutto sui mezzi di comunicazione di massa (i media).

Due osservazioni innanzitutto: la prima è che si sono mossi con determinazione, la seconda è che sono riusciti ad avere un’eco sui media che nessuna lotta operaia, a meno che si trattasse di scioperi generali o delle categorie più forti, ha mai avuto.

Entrambi i fatti richiedono qualche spiegazione.

La determinazione. Dal rallentamento dei camion sulle vie di traffico, ai blocchi ferroviari degli allevatori, abbiamo assistito a forme di mobilitazione certamente rilevanti. E val la pena sottolineare (a monito della nostra classe) che tanto gli allevatori quanto i camionisti lavorano ognuno per sé: negli allevamenti c’è un solo padrone (con magari due o tre operai), distante qualche chilometro (nella migliore delle ipotesi) dall’altro; i padroncini di camion viaggiano isolatamente sul loro bestione incontrandosi con altri colleghi generalmente sconosciuti nei momenti del pasto presso le famose trattorie dei camionisti.

Eppure le rispettive categorie sono scese compattamente in lotta e si sono fatte sentire.

Qualcuno potrebbe pensare che la organizzazione di lotta e la solidarietà di... categoria siano trasmigrate abbandonando la classe operaia verso altre stratificazioni sociali. In realtà non si tratta di perdita di qualcosa da una parte e acquisto dall’altra. Si tratta invece di due classi e di due fenomeni distinti che è opportuno chiarire.

  1. Gli interessi operai (maggior salario, minore orario, migliori condizioni di vendita della forza lavoro) sono osteggiati in partenza, costituzionalmente dalla società capitalistico-borghese che si fonda principalmente proprio sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro.
  2. La lotta dei lavoratori dunque prevede e comporta lo scontro/contrattazione con i padroni, che rappresentano i principi e i valori fondanti di questa società, il capitalismo. Fintanto che al capitale è consentito trattare si tratta, quando i margini si riducono, o è lo scontro (e i sindacati a tutto servono tranne che allo scontro con il capitale) o è il nulla: i sindacati si dileguano - e anzi trattano ancora, ma gli interessi del capitale presso i lavoratori - e se i lavoratori non si organizzano in proprio fuori e contro i sindacati, nessuna lotta può partire.
  3. Di converso gli interessi difesi dalle suddette categorie piccolo-borghesi sono quelli riconosciuti, costituzionali, carne e sangue della società borghese (un “giusto” profitto dell’impresa, una sua difesa da parte dello stato che amministra la società borghese medesima).
  4. Le organizzazioni “di lotta” di queste categorie difendono interessi leggitimi, per il capitalismo, e stanno a pari, - quanto a ruolo e funzione, se non certo a forza - di Confindustria o di Assocredito.

Questo spiega anche il diverso comportamento della stampa e dei media. La stampa (e la radio la TV) è lo specchio della formazione sociale, dei suoi principi e valori. L’infamia del giornalista, bollata dal movimento operaio sin dal secolo scorso, è connaturata alla funzione: contro la lotta dei lavoratori, in difesa di san Profitto e Santa Redditività d’impresa. Se profitto e redditività d’impresa dei piccoli borghesi entrano in conflitto con quelli del grande capitale - dei grandi borghesi - potrà nascere qualche conflitto di coscienza... ma non si può ignorarli.

E qui si entra nell’altra grande questione intessuta nei fenomeni in esame. È un fatto che allevatori, olivicoltori e camionisti si siano incazzati perché lo stato li ha abbandonati e in certo senso attaccati. Ciò significa che lo stato non difende più abbastanza i loro interessi/privilegi. Lo stato ha altro a cui pensare e precisamente la salvezza del capitale nazionale nel concerto europeo e internazionale, e se essa comporta qualche danno alla borghesia più debole e ai ceti-medi, pazienza: fra l’entrare autorevolmente in Europa e salvare i redditi della piccola borghesia, la scelta è obbligata.

Non è un fatto nuovo, è sempre stato così, da quando il capitale domina incontrastato le collettività umane. Solo che ora le masse di piccola borghesia danneggiata sono in crescita: anche quelle iniziano a soffrire del dominio globale ... dei mercati. Sono in via di proletarizzazione, potremmo dire utilizzando una “vecchia” dizione marxista sempre valida. Di qui a pensare che tali masse possano da subito configurarsi come possibili alleate del proletariato nella sua guerra storica per il comunismo, corre tutto lo spazio e il tempo necessari alla loro presa di coscienza della proletarizzazione stessa e della necessità dunque di abbattere il capitalismo: nel frattempo possono scoppiare guerre e rivoluzioni.

No per ora, e per chissà quanto ancora, siamo in presenza di uno scontro interno alla borghesia, fra la grande e la piccola che è destinato a crescere, se il proletariato non interviene come terzo incomodo.

E mentre il proletariato indugia dissolto nella massa dei “cittadini” tutti i borghesi cercano di farli schierare: da una parte o dall’altra, con lo Stato e la “economia nazionale” contro artigiani, bottegai e contadini o con artigianim, bottegai e contadini contro lo “Stato ladrone”.

Per quanto ci riguarda, non siamo con lo Stato perché non siamo con il capitale e non siamo con la piccola borghesia per la medesima ragione. Piccolo o grande che sia il capitale, l’impresa e i loro valori sono sempre reazionari.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.