Borsa alle stelle, lavoratori alle stalle

Per la stampa borghese la crescita di Piazza Affari è un regalo della Befana o una magia del Capitalismo invece è una rapina ai danni dei lavoratori

Il 1997 è stato un anno di vacche grasse per la Borsa italiana. L’incremento medio del valore dei titoli quotati è stato del 55 per cento e la tendenza al rialzo non sembra destinata a rallentare. L’anno nuovo si è aperto infatti con il mercato borsistico tutto proteso verso nuovi record tanto che gli osservatori più prudenti prevedono che alla fine dell’anno l’incremento medio delle quotazioni non sarà inferiore al 20 per cento. Salvo imprevisti, in due anni il valore medio del mercato mobiliare italiano rischia di raddoppiare. L’incremento del Pil, che misura grosso modo l’effettiva crescita della ricchezza prodotta, pur sfiorando un inaspettato due per cento nel 98, secondo le previsioni più ottimistiche non supererà invece il 2,5 per cento. In due anni cioè, e sempre che tutto vada per il meglio, la sua crescita risulterà inferiore al 5 per cento.

È una divaricazione enorme che il pensiero economico e politico dominante assume come la miglior prova che la produzione di capitale fittizio sia una vera e propria produzione di ricchezza; e quindi leva al cielo osanna per aver donato all’umanità questo magico insieme, il sistema capitalistico, che è riuscito nell’immane impresa di rendere possibile la trasformazione non delle pietre, come invano avevano tentato gli alchimisti, ma addirittura di volgari pezzi di carta in oro.

Ma si sa, gli economisti, i giornalisti e i politici borghesi si sono sempre distinti per la loro - chiamiamola così - inventiva. In passato, pur di dimostrare che la fonte della ricchezza non è il lavoro, ne hanno inventate di tutti i colori e non c’è studente di economia che non abbia dovuto immaginare di essere ora Robinson Crosuè, ora un disperato smarritosi nel deserto per spiegare il perché delle variazioni di valore di un bene. Con simili precedenti, per essi è uno scherzo da ragazzi dimostrare la trasformabilità della carta in oro tanto più che per qualcuno questo effettivamente accade.

Il più pirla dei ricchi -- ha dichiarato un anonimo operatore di borsa a Giuseppe Turani su La Repubblica del 31.12.97 -- ha guadagnato, rispetto all’inizio dell’anno, fra il 30 e il 35 per cento.

I più furbi invece hanno anche raddoppiato i loro capitali. Nondimeno solo degli allocchi possono credere che questo oro è frutto della magia.

Nella divaricazione, in realtà, c’è solo la prova che i possessori di capitale finanziario hanno accresciuto i loro titoli di possesso di una quota di ricchezza reale che non è stata prodotta, ovvero si sono assicurati il diritto alla remunerazione addirittura prima che il processo D-M-D’ sia stato avviato e senza neppure sapere se mai sarà avviato.

Lasciamo il compito di spiegare come stanno le cose al nostro anonimo operatore di borsa:

Quelli che hanno i soldi si sono abituati a guadagnare cifre pazzesche. E quindi adesso pretendono. Siamo tutti sotto pressione, noi poveri operatori, perché ormai c’è una ricerca spasmodica del profitto, dei guadagni. E la ricerca comporta che i soldi vadano a investirsi in quelle Borse che sembrano avere di fronte a sé un buon tratto di strada da fare... Nel 1997, Piazza Affari è cresciuta sui sogni, sulle speranze. Adesso ci vogliono gli utili in fondo ai bilanci. E questo il duro lavoro che attende Prodi e gli imprenditori privati... [Prodi] Nel 1997 ha fatto il miracolo con i conti dello Stato, adesso deve farlo con quelli delle aziende private. Deve trovare il modo di far decollare le imprese. Ma anche gli imprenditori devono tornare in fabbrica e pestare sui pedali... Adesso devono farci vedere i risultati. Perché se questo non dovesse accadere, i soldi dei miei riccastri prenderebbero il volo nel giro di pochi secondi. Si sono talmente abituati a guadagnare somme impossibili, che sono disposti ad andare a cercare fortuna fino in Nuova Zelanda o in Patagonia.

La Repubblica - cit.

In poche parole, grazie alla liberalizzazione e alla globalizzazione dei mercati finanziari, i riccastri ovvero le grandi imprese finanziarie e le grandi transnazionali hanno messo al collo dell’economia reale, quella cioè che deve trasformare i sogni e le speranze in concretissime merci, un vero e proprio cappio pronto a stringersi se non verranno soddisfatte le proprie aspettative. Qualcuno potrebbe osservare che ciò accadeva anche in passato visto che gran parte del capitale finanziario è stato sempre remunerato come capitale produttore di interessi; ma ciò che è nuovo non è tanto il fenomeno in sé quanto la sua dimensione e il fatto che gran parte di questo capitale non è stato accumulato mediante la sua trasformazione in capitale industriale, ma per mezzo di altro capitale finanziario mediante la creazione di capitale fittizio. È più esattamente è nuovo il fatto che questa specifica forma di accumulazione, tenuta fino a tutti gli anni ottanta ai margini del processo di accumulazione capitalistica, sia assurta, con la globalizzazione e la liberalizzazione dei mercati finanziari, al ruolo di primo attore facendo crescere enormemente la quota di plusvalore destinata alla appropriazione parassitaria. Ciò fa si ché la speculazione finanziaria pur rimanendo un gioco a somma zero rispetto alla reale produzione di ricchezza, determina enormi spostamenti di plusvalore all’interno della società e fra le diverse aree economiche del mondo. E quindi nonostante che il saggio medio del profitto industriale tenda, in questa fase del ciclo di accumulazione e per le ragioni che più volte abbiamo esposto, a diminuire, le imprese, per accontentare i riccastri del nostro operatore di Borsa, sono costrette a cedere a questa forma di appropriazione quote crescenti del plusvalore estorto ai lavoratori e per far ciò non hanno altro mezzo che l’intensificazione dello sfruttamento della forza-lavoro.

Gli Stati, a loro volta, sono chiamati a ridurre tutti i costi indiretti del lavoro quali la spesa per l’assistenza sanitaria, quelle per la previdenza ecc. e a favorire l’inserimento delle loro economie nazionali in contesti economici e monetari di dimensioni continentali alimentando la tendenza alla creazione di quello Stato a due dimensioni (nazionale e continentale) in cui tutte le variabili macroeconomiche vengono poste sotto il controllo insindacabile dei centri del potere finanziario (Banche centrali, FMI, ecc.).

Si tratta di una vera e propria dittatura che, articolandosi ai vari livelli, nazionali e internazionali, di produzione del plusvalore, determina una separazione sempre più netta fra ricchi e poveri cosicché quanto più aumenta la ricchezza dei primi tanto più si allarga l’area della miseria e della povertà e la più completa subordinazione della forza-lavoro agli interessi del capitale finanziario. Di più, non corrispondendo a questa specifica forma di appropriazione un’espansione della base produttiva, la divaricazione fra accumulazione di capitale fittizio e accumulazione reale è destinata ad accrescersi e a generare periodicamente crisi destinate ineluttabilmente a interessare ogni volta aree economiche e monetarie sempre più grandi e perciò a essere sempre più devastanti. Ne discende un circolo vizioso in cui la spinta alla svalutazione del valore della forza-lavoro è permanente: prima delle crisi per evitare che i capitali fuggano; dopo, per far fronte alle devastazioni da esse prodotte.

Al mondo nulla si crea dal nulla tanto più la ricchezza. E se proprio di magia si deve parlare è solo perché c’è un incredibile numero di allocchi o finti allocchi che crede ancora alla Befana.

Giorgio

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.