Denaro e menzogne: gli eterni motori della propaganda borghese

A proposito de “Il libro nero del comunismo”

Anche in Italia è arrivato puntualmente un libro che in Francia ha dato modo alla propaganda borghese di scatenarsi una volta di più contro gli orrori del “comunismo”. Il volume in questione, pubblicato manco a dirlo dalla Mondadori di Berlusconi, si intitola Il libro nero del comunismo e raccoglie saggi di autori diversi, coordinati da un certo S. Courtois, il quale, però, sembra che, come un bovino da corrida, si sia fatto prendere la mano dal suo furore contro il colore rosso, sparando scemenze e falsità così grosse da costringere alcuni dei coautori a dissociarsi dal loro coordinatore (Le Monde diplomatique, dicembre ‘97).

Pur confessando di non averlo (per il momento) letto e di servirci dunque delle recensioni apparse su parecchi giornali per criticare questo libraccio, respingiamo preventivamente ogni eventuale accusa di scarsa scientificità del nostro metodo. Primo, perché le recensioni sono sostanzialmente concordi nel presentare la tesi di fondo della pubblicazione ossia che il “comunismo”, avendo fatto più morti del nazismo, è uguale (se non peggiore) a quest’ultimo, tanto da meritare un altro processo di Norimberga; secondo, ma non certamente da ultimo, perché respingiamo nettamente - e da parecchi decenni ! - il presupposto di partenza di quei figuri, e cioè che tra Lenin, Stalin, Pol Pot vi sia continuità genetica, per cui i “comunismi realizzati” del novecento non solo non hanno mai avuto un solo grammo di comunismo, ma essi ne sono o ne sono stati l’esatto contrario, non essendo altro che varianti del capitalismo, nella fattispecie capitalismo di stato. I milioni di morti della Russia degli anni trenta (tra cui, non dimentichiamolo mai, migliaia di comunisti rivoluzionari oppositori della controrivoluzione staliniana), le vittime dei khmer rossi o di Sendero Luminoso, non vanno imputati - e lo diciamo forte e chiaro - alla coscienza del comunismo, ma alla logica spietata del capitalismo, che per meglio affermarsi nelle singole realtà nazionali - le contraddizioni dialettiche della storia ... - si è travestito con gli abiti del suo mortale nemico: il marxismo rivoluzionario.

Ma agli scribacchini servili, ubriachi di odio per gli sfruttati del mondo intero, per i potenziali negatori della loro lercia società, non vale dimostrare la differenza abissale che passa tra Lenin e Stalin, anzi: se mai questa verità, elementare purtroppo solo per sparute avanguardie rivoluzionarie, diventasse patrimonio della coscienza di larga parte del proletariato, allora non basterebbero più i libri dalle copertine patinate o i civili dibattiti televisivi, ma sarebbero di nuovo costretti a posare la penna per brandire la mannaia del macellaio. L’idea stessa che gli oppressi e i diseredati del pianeta possano un giorno ritrovare dignità e coraggio e ribellarsi contro un mondo disumano, guidati dal marxismo non adulterato, terrorizza la borghesia, che scatena i suoi ben pagati ciarlatani affinché rovescino fiumi di fango su chi, più di ogni altro, ha minacciato il dominio del capitale. Per questo, il “peccato originale” è individuato nell’Ottobre bolscevico e nel regno del terrore che avrebbe instaurato. Che serve, quindi, sbattere sul muso a quei signori verità storiche talmente incontestabili da risultare ovvie, quali, per es., che i bolscevichi furono costretti a stabilire il “terrore rosso” solo dopo che i bianchi controrivoluzionari ebbero dato il via alla guerra civile compiendo massacri indicibili, spesso dopo aver mancato alla parola data? Oppure che i milioni di morti della carestia del 1920 - 21 furono la diretta conseguenza, oltre che della guerra, del cordone sanitario con il quale le potenze imperialiste (Francia e Italia comprese) cercarono di strangolare la rivoluzione? Si potrebbe continuare per giorni a enumerare le cataste di morti prodotte dalla violenza aperta della borghesia (guerre, repressioni...), ma non ci interessa misurarci con personaggi a cui, se non manca l’ansia di servire i potenti e le proprie tasche, manca certamente la buona fede, perché ad essi non importa nulla della verità, ma, molto semplicemente, solo la difesa dei propri privilegi di classe.

Per dare un piccolo esempio del modo di falsificare la storia di Courtois, basta riportare un passo del libro in cui afferma che “raramente il fascismo italiano si è spinto fino all’omicidio” (Le Monde dipl., cit.); neanche il più distratto studente di quinta superiore oserebbe fare un’affermazione del genere, se non altro per paura del ridicolo, mentre questo “storico” di grido diffonde in migliaia di copie bugie talmente grossolane che fino a ieri erano patrimonio solamente dei più ottusi naziskin.

La critica delle falsificazioni di quella losca genìa non è e non vuole essere un civile confronto culturale, né, del resto, ad essa ci rivolgiamo, bensì agli operai e agli sfruttati per sottolineare - non ci stancheremo mai - che il capitalismo è violenza, che lo sfruttamento è violenza, che il mercato è per natura assassino: a quale specifico regime politico addossare la morte per fame di 40.000 bambini al giorno se non ai meccanismi anonimi e spietati del capitalismo? È la borghesia nel suo insieme, sia che parli il linguaggio dell’ “Occidente” che quello non meno spudoratamente falso degli ex “socialismi reali” a tormentare la stragrande maggioranza degli esseri umani, a praticare ogni genere di nefandezze pur di conservare il suo dominio. Per questo, noi, comunisti rivoluzionari, materialisticamente rivendichiamo fino in fondo il diritto di ricorrere all’unico uso legittimo della violenza, quello del proletariato rivoluzionario, non per sopprimere fisicamente i singoli borghesi, come invece hanno sempre fatto le classi dominanti nei confronti delle classi oppresse, ma la borghesia in quanto classe e il modo di produzione capitalistico che la genera.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.