Pessimismo e riformismo

Pessimismo sulle tendenze attuali del capitalismo e delle sue formazioni sociali; riformismo imbelle nel tentativo di invertire o frenare quelle tendenze.

È la sostanza degli ultimi allarmati e allarmanti numeri di Le Monde Diplomatique (LMD), ma è anche la sostanza della politica di grande parte di quella sinistra borghese che va da Il Manifesto e Rifondazione a spezzoni consistenti dell’Autonomia.

In fondo è possibile e giusto considerare Le Monde Diplomatique come il più autorevole e serio think-tank della attuale sinistra borghese internazionale: attenzione ai dati reali dell’economia e ai movimenti del capitale, serietà nel presentarli, impegno del considerarne le implicazioni sulla società e la sua parte più povera. Ed è per questo che gli prestiamo grande attenzione.

Ed è sempre per questo che ci troviamo a denunciare l’errore di fondo del loro riformismo e la sua sostanziale inutilità alla difesa reale delle masse proletarie e semiproletarie attaccate dal capitale nel modo pesante che LMD così bene illustra.

In una serie di articoli e di editoriali dei maggiori redattori di LMD, in particolare dal Novembre 97 ad oggi, sono stati dettagliatamente denunciati i guasti sociali e umani del più recente corso economico del capitale. Ma è nel bel mezzo della “serie” (a dicembre) che appare un articolo di Ignacio Ramonet nel quale, dopo l’espressione di una sacrosanta indignazione per il recente accordo AMI (vedi articolo su questo numero) si legge:

Il disarmo del potere finanziario deve diventare un principale cantiere civico se si vuole evitare che il mondo del prossimo secolo si trasformi in una giungla ove i predatori faranno la legge.

Ora se è vero che, se lasciato a sé il potere finanziario, combinerà i disastri annunciati, resta il problema di come fermarlo. La risposta di LMD, e nello specifico di I. Ramonet, non ha esitazioni: mettendo in moto la società civile che costruisca qualcosa capace di disarmare il potere finanziario stesso (questo è il senso del cantiere civico).

Ma cosa è la società civile? Chi e cosa si metterebbe in cantiere? Forse i milioni di poveri e diseredati, vittime del capitale globale, e che giustamente LMD computa in cinque miliardi di persone, sui sei miliardi che popolano il pianeta? No, non sono questi a costituire la famosa società civile. Sono bensì i giornalisti, gli attivisti politico-sindacali, avvocati e bottegai, medici e piccoli imprenditori, gli operai e gli impiegati, che hanno talvolta da dir la loro e si mobilitano nei grandi movimenti civili, che riguardano cioè le forme e i modi del rapportarsi fra esseri umani nella formazione sociale data - all’interno cioè dei dati rapporti di produzione e sociali.

Una osservazione superficiale subito si impone: i suddetti grandi movimenti civili vanno sempre più scarseggiando, e non è un caso. Chi matura rabbia in corpo, cade facilmente per ora sotto l’influenza delle sirene più bieche e reazionarie (Le Pen dove pesca?, compagno Raponet). E gli altri sono troppo pochi per andare a costituire un vero movimento civile.

Ma al fondo c’è che la società civile non ha mai inciso sui corsi del capitale, non ha mai modificato le loro conseguenze sull’assetto sociale. I suoi grandi movimenti (aborto, divorzio, pacifismo quando c’è pace, parità sessuale...) sono sempre stati espressione di una necessità propria della formazione sociale allo stadio di sviluppo raggiunto. Le sovrastrutture, ci insegna Marx e ci confermano storia e cronaca, sono sempre in ritardo, più o meno accentuato, sulle sottostanti strutture reali e accade così che la formazione sociale abbia bisogno dello stimolo da parte delle sue minoranze più avvertite, comunque necessariamente cospicue, per mettersi al passo con le sue stesse necessità. Le leggi dello stato (particolarmente in ritardo sulla realtà, quanto a regolazione dei rapporti civili) alle quali passivamente tutti si adeguano e che i più interiorizzano come leggi etiche, cambiano solo sotto la pressione di forti movimenti civili, i quali a loro volta svolgono esattamente questo ruolo.

I “conflitti” di civiltà attraversano le classi: modernisti da una parte e parrucconi dall’altra, aperturisti e conservatori, sono in ogni classe e strato sociale cosicché la classe dominante regola di fatto al proprio interno tali faccende.

Ma l’ipotetico cantiere civico di Ramonet mette in questione ben altre faccende, sulle quali la borghesia ha un opinione sola, quella espressa dal suo stesso essere e muoversi.

Sono gli stessi scrittori di LMD a dirci che il potere vero oramai è concentrato nelle poche centinaia di mani che maneggiano i 1500 miliardi di dollari che quotidianamente si spostano sui mercati finanziari. E questi proiettano la loro “opinione” sull’intera borghesia e su buona parte della piccola borghesia. Non sarà certo, allora, il movimento civile di un po’ di giornalisti, avvocati, bottegai, operai e impiegati a disarmare quel potere. Apparentemente questo è chiaro anche a un bambino: di fatto è lingua marziana per chi è riformista nel DNA. E tali sono i giornalisti del Le Monde Diplomatique.

Ramonet infatti si spinge oltre, sin quasi al ridicolo:

C’è urgenza di gettare granelli di sabbia nei meccanismi di movimento dei capitali devastatori. In tre modi: soppressione dei paradisi fiscali; aumento della fiscalità delle rendite da capitali; tassazione delle transazioni finanziarie.

Per il primo obiettivo (soppressione dei paradisi fiscali) la proposta è delle più sceme: perché non decretare il boicottaggio finanziario- si chiede Ramonet - imponendo alle banche che lavorano con i poteri pubblici di non aprire (o chiudere) le loro filiali nei suddetti paradisi? Semplice: i poteri pubblici si servono delle banche che fanno migliori condizioni (non ci inoltriamo qui nella natura e forme di tali condizioni) e queste sono tali proprio perché trafficano in piena libertà sui mercati finanziari di tutto il mondo anche, se non soprattutto, attraverso le filiali nei paradisi fiscali.

La tassazione delle rednite da capitali - dice sempre Ramonet - è una “esigenza democratica minima” (espressa anche da Keynes, aggiungiamo noi, nei suoi deliri riformisti), e dovrebbe essere pari alla tassazione sui redditi da lavoro. Vecchia storiella anche dei nostrani rifondazionisti; ma ve lo immaginate lo stato, alle prese coi suoi mostruosi debiti, che si azzarda a spaventare i possessori dei suoi titoli di credito, tassandoli? Qui il movimento civile impegnato nel cantiere di Ramonet si riduce a un pugno di romantici viaggiatori nelle nuvole.

La tassazione delle transazioni finanziarie, infine, è l’esatto contrario dei più recenti accordi in seno agli infami organismi citati del capitale transnazionale (FMI, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio) e che sono indicati come i veri detentori del moderno potere. È come se di fronte a una armata si pretendesse di vincere dicendole di buttar le armi e tornare indietro.

Ancora: ciò che potrebbe far sorridere un bimbo, diventa “arma politica” (o civile?) dei riformisti.

Il cantiere civico che si raccoglie intorno a Ramonet, di fronte al cancro, propone l’acqua fresca.

La nostra risposta è secca: la barbarie avanzante, e bravamente denunciata da LMD, può essere fermata solo dall’insorgere delle sue vittime reali - che sono anche quelle che producono la ricchezza di cui poche centinaia di miliardari in dollari sul pianeta si impossessano. È la classe lavoratrice, in tutto il mondo, che deve riarmarsi in piena autonomia e nella difesa combattente dei suoi interessi, perché la lotta, inizialmente di difesa, diventi di attacco, con un unico grande obiettivo, il solo risolutore, l’abbattimento del modo di produzione capitalista.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.