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Home ›Trattato MAI: maggiore libertà al capitale per sfruttare il proletariato
Lo scorso mese di febbraio si è svolto a Parigi un’importante incontro tra i delegati dei paesi aderenti dell’OCSE, durante il quale è stato discusso il contenuto del nuovo trattato internazionale M.A.I. (Multilateral Agreement on Investments), che dovrebbe entro il prossimo anno abbattere le ultime barriere che si frappongono alla libera circolazione dei capitali. L’elaborazione del MAI è iniziata alla fine del 1995 ma, dopo anni di colpevole quanto interessato silenzio da parte dei negoziatori dell’Ocse e dei mezzi d’informazione borghesi, il contenuto dello schema del trattato è stato reso pubblico solo agli inizi dello scorso anno grazie all’immissione del testo di ben 190 pagine su Internet.
Dopo la riforma del GATT, sostituito dall’Organizzazione mondiale del Commercio O.M.C., con la quale sono state rimosse le ultime barriere doganali alla libera circolazione delle merci, la globalizzazione dell’economia impone ai vari governi di liberalizzare la circolazione del capitale. Lo sviluppo abnorme delle attività finanziarie, la ricerca di profitti in attività speculative di breve termine, trovano in alcune leggi nazionali degli ostacoli che limitano di fatto la circolazione dei capitali, danneggiando, secondo il moderno pensiero liberista, soprattutto le aree meno sviluppate del pianeta. Secondo il “moderno” pensiero liberista, sono proprio gli ostacoli legislativi ancora vigenti ad ostacolare un’allocazione ottimale delle risorse finanziarie tra le diverse aree del pianeta. Nonostante i continui aggiornamenti legislativi alle esigenze del capitale, molti paesi, anche fra quelli a capitalismo avanzato, presentano un quadro normativo ancora incentrato sulla tutela dei singoli interessi nazionali che mal si concilia con le istanze di liberalizzazione che provengono dai grandi gruppi monopolistici internazionali.
Tuttora, almeno formalmente, i singoli governi nazionali possono stabilire delle norme con le quali, per esempio, vietare agli investitori stranieri di assumere il controllo azionario di una particolare impresa, oppure imporre di effettuare gli investimenti in una determinata area del paese anziché in un’altra. Inoltre sono numerosissime le previsioni legislative con le quali s’impone agli investitori stranieri l’obbligo di assumere obbligatoriamente una certa percentuale di lavoratori locali, oppure vietare agli operatori economici nazionali di concludere affari con imprese straniere ritenute poco rispettose dei diritti umani o/e dell’ambiente.
Questo quadro è destinato a mutare profondamente con l’approvazione del nuovo trattato. Uno degli obiettivi del M.A.I. è rimuovere gli ostacoli che limitano la mobilità dei capitali, garantendo parità di trattamento agli investimenti nazionali e stranieri. Nell’economia globalizzata non sarà più possibile concedere degli incentivi fiscali o delle esenzioni alle sole imprese locali; infatti i governi dei paesi aderenti al trattato dovranno concedere gli stessi incentivi anche alle imprese multinazionali straniere. A quest’ultime non sarà più possibile richiedere “standard di performance” come, per esempio, l’uso di materiali di provenienza locale nelle attività produttive, obbligo d’assunzione di lavoratori locali, rispetto dei criteri ambientali o trasferimento di tecnologie sostenibili.
Il principio della parità di trattamento tra gli investimenti nazionali ed esteri è così pregnante da rendere nulle anche quelle leggi che, pur non essendo discriminatorie in quanto si applicano a tutte le imprese, solo potenzialmente possono rallentare l’ingresso nel paese di capitali stranieri. Se, per esempio, il governo di un qualsiasi paese decidesse di vietare nuovi investimenti, nazionali e stranieri, in un determinato settore per limitare il degrado ambientale, le compagnie straniere potrebbero impugnare tale provvedimento per il fatto che sarebbero favorite le imprese locali in quanto già presenti sul mercato. Il nuovo trattato, pensato esclusivamente per tutelare gli interessi delle grandi multinazionali, rischia di avere un impatto catastrofico sul piano ambientale. Infatti, con il pretesto di rispettare il principio della parità di trattamento tra le varie imprese, le multinazionali possono contestare agli stati aderenti al trattato scelte politiche che mirano a tutelare l’ambiente.
Nel capitolo relativo agli “espropri e indennizzi” sono contenute delle norme che attribuiscono ad ogni impresa o investitore straniero la facoltà di contestare tutte le scelte politiche del governo considerandole come minacce potenziali sui profitti. Emblematico è il caso della Ethyl, una società americana che produce un additivo per la benzina chiamato Mmt, che pretende, in base all’accordo Nafta, dal governo canadese un indennizzo di ben 251 milioni di dollari per il fatto che una legge vieta l’uso sul territorio canadese dell’additivo considerato dannoso per i dispositivi antinquinamento delle auto. In base al nuovo trattato ogni multinazionale può impugnare scelte governative di questo tipo con la certezza matematica di ottenere l’indennizzo. Il proletariato mondiale oltre a subire pesanti attacchi alle proprie condizioni di lavoro, dovrà sborsare il proprio contributo per pagare gli indennizzi alle imprese.
Il capitolo centrale del M.A.I. è quello dedicato alla libertà di trasferire capitali dentro e fuori da un paese senza nessun limite di tempo e senza nessun tipo di controllo da parte del governo interessato. La completa liberalizzazione nella circolazione dei capitali e la consequenziale impossibilità per i singoli paesi di regolare entrate e uscite monetarie, determinerà un moltiplicarsi dei fenomeni di speculazione finanziaria e valutaria. L’attuale crisi asiatica è destinata a riproporsi in termini ancor più contraddittori in altre aree del pianeta, aggravando le difficoltà di autovalorizzazione del capitalismo internazionale. Il nuovo trattato non fa altro che sancire, anche da un punto di vista formale, il diritto in capo ai grandi gruppi economico-finanziari di saccheggiare, con operazioni speculative di breve termine, l’economia di interi paesi.
Sembra paradossale che la risposta del capitalismo internazionale ai problemi posti dall’attuale crisi finanziaria del sud-est asiatico sia ancora una volta più libertà al mercato, mentre è proprio quella libertà di mercato che sta distruggendo l’economia di interi paesi ed affamando milioni di proletari. Ma il paradosso non sta nelle scelte della borghesia ma esclusivamente nella contraddittorietà del sistema capitalistico. I mutamenti nei processi di accumulazione del capitale, le maggiori difficoltà di conseguire adeguati margini di profitto negli investimenti produttivi, spinge i capitali non solo a ricercare la propria remunerazione in investimenti finanziari di breve termine ma anche a muoversi nella più completa libertà d’azione. Se da un lato la crisi asiatica evidenzia la necessità di fissare precise regole per prevenire i rischi di una speculazione selvaggia, dall’altro lato le esigenze di autovalorizzazione del capitale impongono alla classe dominante scelte che vanno nella direzione di una maggiore libertà di movimento dei capitali stessi.
Ma dell’aggravarsi della crisi del capitale non sembra preoccuparsi il presidente dell’ O.M.C., Renato Ruggiero, che in preda ai soliti “deliri globali” dipinge il nuovo trattato come “la costituzione di un’economia mondiale unificata”, con la quale “sfruttare e affamare meglio il proletariato internazionale” aggiungiamo noi.
lpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo 1998
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