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Home ›I no global difendono il sindacato... e la flessibilita'
Alcune dichiarazioni dei no-global rilasciate nei giorni seguenti la manifestazione della CGIL del 23 marzo e riportate dalla stampa, meritano sicuramente una certa attenzione. A fronte di un attacco governativo alla manifestazione in difesa dell'articolo 18 e in preparazione dello sciopero generale del 16 aprile, alcuni rappresentanti del movimento contro la globalizzazione hanno appoggiato senza riserve il sindacato. Non sembra essere solo una convergenza momentanea o tattica perché riguarda l'impostazione di fondo di una protesta in difesa della democrazia, dei diritti civili e di uno stato sociale sempre più esile e anemico. Ma procediamo con ordine per capire meglio. Prima di tutto occorre ribadire, per chi non l'abbia ancora capito, che il sindacato si è mobilitato sì contro la legittimazione anche formale dei licenziamenti senza giusta causa, ma ha accettato e accetta come irrinunciabile la flessibilità nei luoghi di lavoro. Vuole soltanto avere voce in capitolo nel decidere le forme della flessibilità, accettando, di fatto, la logica padronale. Se la CGIL non avesse organizzato la manifestazione per una questione così evidente avrebbe perso credibilità nei confronti dei lavoratori, i quali purtroppo non riescono ancora a divincolarsi dalla nefasta concezione della rappresentanza e della delega delle decisioni. Può dunque sembrate strano che il movimento trovi punti di contatto con un sindacato che, anche se sembra difendere le istanze dei lavoratori dal duro attacco del governo Berlusconi e della Confindustria, ha sempre, anche a detta di molti aderenti al movimento stesso, accettato le compatibilità del sistema capitalistico e le regole della concertazione, quelle, vale a dire, che prevedono, per le decisioni importanti di politica economica, sempre a sfavore dei lavoratori, di sedersi al tavolo delle trattative con i padroni. Un movimento che vuole porsi su un terreno critico e antagonista nei confronti del neoliberismo certamente stupisce quando appare così vicino alle posizioni concertative, di compromesso sociale. Invece tutto assume un aspetto meno episodico se ci spostiamo dal piano nazionale a quello europeo e mondiale ricordando che i sindacati, sia quelli moderati come l'IG metall tedesco che quelli più radicali come i latinoamericani e Sud francese delle poste e telecomunicazioni, erano presenti al secondo Forum sociale dei noglobal. Probabilmente i sindacati più radicali e antagonisti voteranno il testo comune conclusivo dei movimenti sociali, presenti a Porto Alegre, indirizzato contro il neoliberismo, il militarismo, la guerra e per la pace e la giustizia sociale. E in ogni caso anche l'IG metall, come riportato nell'inserto Rivoluzioni di Liberazione di domenica 31 marzo, nel prospettare le linee di un sindacato europeo, ricordiamo che è già operante la Confederazione sindacale europea (Ces), punta su un'unità d'azione basata sulla difesa dello stato sociale, dei diritti civili e anche su una critica al burocratismo dei sindacati tradizionali. Per quanto riguarda poi Sud, che incalza da sinistra la Cgt, i rapporti col movimento sono ancora più evidenti, perché intrattiene rapporti con varie associazioni umanitarie e contro la globalizzazione ed è inoltre membro fondatore di Attac, una delle associazioni più attive del movimento. Sembra dunque di poter pensare che vi siano rapporti non di secondo piano tra no-global e sindacati, anche se diverse sono le modalità di approccio ai problemi. Qui da noi il movimento e il sindacato hanno trovato un terreno o una spinta comune nella critica al governo di destra, i cui provvedimenti in favore del leader sono di un'estrema sfacciataggine, e nelle volontà di provocare la caduta di Berlusconi. I noglobal si fermano qui e non mettono sotto accusa l'intero sistema che si basa sullo sfruttamento e l'oppressione e produce dissesti di ogni tipo, anche ambientali, nel mondo: il capitalismo. Si basano cioè su una visione immediata e niente affatto concreta, come invece loro spesso affermano. Difatti il ruolo dei governi che si succedono, di destra o di "sinistra" è quello di far "quadrare" i conti del bilancio con le famigerate Finanziarie, di attuare sgravi fiscali alle imprese e aggredire il residuo stato sociale, di abbattere il costo del lavoro per innalzare i profitti, operando contro i lavoratori, i precari, i disoccupati. I governi sono governi della borghesia o di frazioni della borghesia che redistribuiscono, le briciole, quando possono ridistribuire e sottraggono ciò che hanno concesso nei momenti, come l'attuale, di crisi acuta. Può esserci solo un'altra politica che non abbia nulla a che vedere con la politica dei politicanti, quella del proletariato contro tutti i governi borghesi, comitati di affari di destra o di "sinistra" eletti per la gestione e per il rafforzamento del catastrofico modo di produzione in cui viviamo, generatore di guerre imperialiste e distruzioni. Al contrario, nel movimento, sembra prevalere, nei momenti decisivi, proprio la logica dello schieramento politico e di appoggio al ceto politico, così in contrasto con una coerente critica dell'esistente. Ma il movimentismo, proprio per la sua parziale comprensione della realtà e per la tendenza ad una critica antipolitica idealistica, quando si trova in difficoltà per carenza progettuale tende a cercare sponde politiche di appoggio. Disarmato da un punto di vista teorico è mosso dalla fretta di trovare alleati, cede di fronte agli attacchi reazionari di esponenti governativi o alle provocazioni terroristiche antioperaie. Quello dei no-global è sostanzialmente un pensiero debole, riformista, interclassista e pluralista, indirizzato alla difesa dei diritti civili negati e ad una redistribuzione delle risorse tramite tassazione dei capitali, soprattutto bancari e finanziari, interessato a promuovere forme di commercio equo e solidale e a sviluppare la cooperazione, restando in un'ottica del tutto interna, dunque, al mercato capitalistico, nel vano tentativo di umanizzarlo attraverso l'espansione di settori presunti alternativi. Riformismo con una punta di utopismo, di prefigurazione di un mondo migliore che si affermi dall'interno dell'attuale mondo mercificato e alienato. Contro gli effetti più aberranti della mercificazione ma senza aggredire le cause oggettive materiali delle diseguaglianze e delle ingiustizie, che risiedono nella contraddizione capitale/lavoro e nella caduta tendenziale del saggio di profitto. Ci si dovrebbe chiedere come è possibile, in un regime di dura concorrenza internazionale tra imprese e gruppi di imprese, di pressione costante all'abbattimento del costo del lavoro e delle garanzie elementari per ottenere i superprofitti, avallare o riproporre le vecchie ricette aggiornate delle politiche redistributive o concertative, cercare di migliorare un sistema ormai marcio, in cui i momenti di espansione economica generano le crisi economiche successive, il lavoro morto prevale sul lavoro vivo, le macchine sugli uomini. La posizione giusta è quella invece di rifiutare gli inganni ideologici dei compromessi borghesi e di orientarsi, e questo vale a maggior ragione per gli operai, verso una prospettiva strategica, verso una critica e una lotta intransigente in senso classista e anticapitalista in direzione della rivoluzione comunista, dell'emancipazione cioè del proletariato e, attraverso questo, dell'intera umanità.
SBBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2002
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